Che ne sarà della pisola di Putin?
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di Giuseppe Gatti



Dopo la primavera araba avremo la primavera russa? Appena alle soglie dell’inverno è difficile pronosticare cosa porterà il disgelo, ma i sintomi ci sono tutti. L’esito delle recenti elezioni per la Gosudarstvennaya Duma (la camera bassa dell’Assemblea Federale russa), nonostante le pressioni, le intimidazioni dell’apparato di governo e i clamorosi brogli, unito alle aperte contestazioni personali verso Putin, dicono chiaramente che si è aperta una profonda crepa nella società russa e che il processo di democratizzazione – interrotto prima dal declino psico-fisico di Eltsin e poi dal 1999 dall’avvento di Putin, con l’affermazione di un potere autocratico di stampo zarista – sta riprendendo forza.
Per l’Europa si presenta un problema di enorme portata nel quale, ancora una volta, come già nel caso del Nord-Africa, politica estera e politica energetica si trovano strettamente intrecciate con effetti dirompenti sugli equilibri politici ed economici mondiali. Putin ha cercato di ricostruire il potere imperiale della Russia e il consenso di cui ha indubbiamente goduto negli scorsi anni si è basato sul ribaltamento dello stesso elemento fondatore dello Stato sovietico: la cesura e la totale discontinuità con la Russia zarista.
Al contrario, con Putin si è affermata un’interpretazione del ruolo della Russia come potenza imperiale che poteva benissimo ricomprendere in una prospettiva storica di lunga durata l’espansionismo zarista (dalla Carelia al Caucaso, dalla Vistola all’Alaska) con l’espansionismo sovietico, che sposta i confini dell’impero sino all’Elba e si proietta nei Balcani. Ricostruire una dimensione imperiale dopo la dissoluzione dell’URSS è il disegno politico di Putin e le risorse energetiche sono il primo strumento in funzione di questo obiettivo, non solo e neppure tanto per le risorse finanziarie che generano, ma in primo luogo per il potere di condizionamento che possono esercitare sul piano politico. [...]



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