di Dario Cozzi
Sul settore della raffinazione abbondano le preoccupazioni. Che cosa sta succedendo e che cosa potrebbe succedere?
**Sulla raffinazione il discorso è complesso. Sono almeno un paio d’anni che abbiamo lanciato l’allarme con una serie di iniziative informative, nel tentativo di richiamare l’attenzione delle istituzioni su un problema che andrà affrontato prima o poi. A rischio è la struttura industriale, non solo italiana ma anche europea, di un settore strategico sotto moltissimi punti di vista.
Abbiamo infatti un eccesso di capacità produttiva dovuto in gran parte al restringersi del canale delle esportazioni, e l’esigenza di nuovi investimenti per adeguare la produzione alla domanda sempre più orientata verso i distillati medi (gasolio).
Inoltre, occorre fare i conti con la concorrenza dei Paesi emergenti, che non hanno i nostri vincoli ambientali e sociali. Basti pensare, ad esempio, che il nuovo schema dell’emission trading - cui i Paesi non-OCSE non sono sottoposti - comporta per l’industria europea un maggiore esborso stimato in un miliardo di euro l’anno per i prossimi vent’anni.
Da Paese esportatore corriamo dunque il rischio di diventare Paese importatore di prodotti raffinati?
**Sì, lo abbiamo ribadito recentemente alla nostra assemblea annuale e mi sembra che il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, presente all’evento, abbia condiviso le nostre preoccupazioni. Il problema va però affrontato in chiave europea e non solo nazionale.
Nella recente assemblea della sua associazione lei ha posto l’accento sull’impegno ambientale, con riferimento anche alla cattura e sequestro dell’anidride carbonica. Come si stanno muovendo le aziende?
**Considerato che alla luce dell’abbandono del nucleare da parte di molti Paesi, compreso il nostro, le fonti fossili saranno ancora centrali per soddisfare il 60-70 per cento della domanda mondiale di energia nei prossimi 20-30 anni, si pone il problema di come rendere più sostenibile il loro sfruttamento. La cattura e il sequestro della CO2 è in questo senso una tecnologia chiave che sta attirando investimenti per miliardi di dollari, sia da parte del settore pubblico sia privato.
I costi sono elevati, soprattutto la cattura vera e propria che assorbe l’80 per cento del totale. Bisogna andare avanti nella ricerca per abbattere i costi e sfruttare questa tecnologia su larga scala. In Italia si stanno portando avanti alcuni progetti sperimentali che però - in alcuni casi - stanno incontrando una forte resistenza da parte dei movimenti ambientalisti. La Commissione europea nel 2009 ha approvato una direttiva che è in via di recepimento nel nostro ordinamento e penso sia un’occasione da non sprecare.
Ultimamente lo shale gas è sotto i riflettori. Quanto può pesare, se non ora, almeno in prospettiva?
**Il discorso dello shale gas interessa soprattutto gli Stati Uniti, che grazie a questa nuova risorsa nei prossimi anni puntano all’autosufficienza nell'appprovvigionamento di gas. In Europa le possibilità sono minori perché esistono difficoltà di carattere sia ambientale sia tecnologico, che sono più sentite nel Vecchio Continente. Sicuramente potrà dare un contributo importante, se è vero che le riserve di shale gas tecnicamente recuperabili amplierebbero del 40 per cento le riserve mondiali di gas. Non bisogna però dimenticare che esiste anche il greggio non-convenzionale la cui consistenza permetterebbe, secondo alcune stime, di triplicare le attuali riserve conosciute di petrolio convenzionale. Insomma, il problema nel futuro non sarà la mancanza di risorse ma la ricerca di tecnologie che permettano di sfruttarle con costi sostenibili, minimizzandone l’impatto ambientale.
Da anni si parla e si auspica una liberalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti. A che punto siamo?
**La rete carburanti è un altro tema con cui ci stiamo ormai confrontando da anni. Nell’ultimo anno e mezzo è stato al centro dell’azione del ministero dello Sviluppo economico con il coinvolgimento di tutti gli attori della filiera, consumatori compresi. Diversi veti incrociati, non certo da parte nostra, hanno sinora impedito di tradurre in atti concreti le intese raggiunte.
Ultimamente molto clamore ha sollevato l’iniziativa di alcune associazioni dei gestori denominata Libera la benzina che ha trovato un ampio sostegno in ambito parlamentare tanto da essere tradotta in ben 9 disegni di legge tra Camera e Senato, praticamente identici. Una proposta francamente inaccettabile che peraltro mutua principi da settori non confrontabili con il downstream petrolifero e che non hanno ragione né economica né giuridica. È semplice trovare facile consenso su presunti principi di rottura della filiera e superamento dell’esclusiva.
Se passasse una tale idea...
**Allora dovreste spiegarmi per quale motivo le aziende dovrebbero continuare ad investire in Italia se sul tuo impianto, che hai pagato tu, con il tuo marchio dovesse essere venduto il prodotto di un altro. I primi ad essere messi fuori da un simile sistema sarebbero, paradossalmente, proprio i gestori. Spesso si dimentica che l’obbligo dell’esclusiva non esiste per gli operatori indipendenti che hanno un proprio impianto con un proprio marchio. La soluzione è semplice: se vuoi superare l’esclusiva già puoi farlo, ma sul tuo punto vendita e non su quello di altri.
Bisogna invece intervenire sulla struttura e sui costi di sistema ed è quello che sembrano fare le nuove misure del Governo inserite nel decreto legge sulla manovra finanziaria, che affrontano il problema senza facili demagogie e sono peraltro in linea con il lungo lavoro di approfondimento e confronto fatto con tutti i soggetti interessati.
Le compagnie non godono certo di grande simpatia da parte dei consumatori. Lo scontro continua ad ogni aumento e da tempo immemorabile. In Europa va meglio?
**Devo dire che il lavoro di informazione e sensibilizzazione svolto dall’Unione Petrolifera in questi ultimi anni qualche risultato sembra averlo dato. Noto un po’ meno diffidenza nell’opinione pubblica. Certo, le distanze rimangono ma sono certo che l’unica strada per superare le resistenze sia quella del confronto e della continua informazione. Diverse istituzioni super partes tra cui Banca d’Italia, ministero dello Sviluppo economico, ministero dell’Economia e Antitrust negli ultimi tempi, in diversi studi e analisi hanno smentito l’esistenza di anomalie nell’andamento dei prezzi interni rispetto a quelli internazionali.
Se c’è un settore di cui si conosce veramente tutto è proprio quello petrolifero, come ben sanno Antitrust e Commissioni parlamentari che in questi anni hanno ripetutamente indagato, e a fondo, i meccanismi che lo presiedono. In Europa non c’è tutta questa attenzione ma problemi similari li hanno anche loro. Resto dell’idea che solo con una comunicazione costante e puntuale si può aiutare il consumatore a delle scelte consapevoli. Come, ad esempio, la ricerca del distributore più conveniente che offre sensibili risparmi. Ce ne sono molti, basta guardarsi intorno.
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