Fotovoltaico: dal TAR della Toscana alcuni spunti interessanti
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di Giovanni Battista Conte | avvocato in Roma




Torniamo ancora una volta a parlare di Valutazione d’Impatto Ambientale per commentare una recente pronuncia del Tar Puglia che ha nettamente affermato l’illegittimità di atti di VIA che pretendano di pronunciarsi su aspetti del progetto totalmente estranei dall’ambito di tutela a cui la valutazione è preposta o che, pur valutando aspetti inerenti al giudizio ambientale, si limitino a motivare con affermazioni generiche e stereotipate.
Con la sentenza 954/2011 il Tar Puglia ha infatti ribadito che “la VIA … ha la precipua finalità di proteggere la salute umana, contribuire con un migliore ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie e conservare la capacità di riprodurre l’ecosistema in quanto risorsa essenziale per la vita ed a questo scopo essa prende in esame l’impatto diretto ed indiretto dell’opera sui seguenti fattori (nonché sulla loro reciproca interazione): l’uomo, la fauna e la flora; il suolo, l’acqua, l’aria ed il clima; i beni materiali ed il patrimonio culturale”.


Ciò detto, afferma il Tribunale, non si vede quale attinenza con tali finalità possano avere fattori come la distanza fra le macchine o la possibilità tecnica di immettere l’energia in rete, solo per citarne alcuni. Sebbene tali aspetti siano comunque rilevanti e considerati dall’iter autorizzativo, in quanto afferenti ad interessi pubblici che l’ordinamento tutela, ciò non toglie che l’amministrazione preposta alla tutela ambientale non deve né può arrogarsi un potere di cui non dispone. Tali interessi saranno infatti opportunamente tutelati in altre e differenti fasi del procedimento, per cui “il richiamo di tali circostanze all’interno della decisione sulla valutazione di impatto ambientale costituisce sintomo di uso sviato del potere”. E ancora, anche rispetto ad aspetti che effettivamente ineriscono all’attività che compete al procedimento ambientale, giova rilevare la netta asserzione del Tar che contesta il comportamento dell’autorità procedente che si limiti a opporre “motivazioni stereotipate, astrattamente adatte a qualunque sito caratterizzato dalla presenza minima di risorse naturali suscettibili di compromissione”.

Per quanto le affermazioni della sentenza in commento non presentino in realtà alcun carattere innovativo, essendo perfettamente coerenti con la precedente giurisprudenza in materia, sembra interessante porre ugualmente l’accento sulla recente sentenza in quanto, nonostante tale considerazione, pare che le amministrazioni coinvolte nei procedimenti autorizzativi dimentichino spesso i confini e le finalità dei poteri che sono loro conferiti. Non sono certo pochi, infatti, i provvedimenti amministrativi che vengono annullati proprio in considerazione di vizi simili a quelli più sopra riferiti.

E sebbene l’ordinamento appronti valide soluzioni a problematiche di tale sorta, non ci sembra comunque peregrino ribadire quanto utile sarebbe un migliore utilizzo del potere pubblico, quanto più possibile svincolato dalla convinzioni personali o politiche delle varie amministrazioni e diretto meramente alla tutela degli interessi che è preposto a tutelare. Forse allo scopo potrebbe rivelarsi utile una maggiore propensione degli organi giurisdizionali alla condanna al pagamento dei danni che tali comportamenti producono in capo agli operatori del settore ma, come si sa, questa è un’altra, lunga storia.