Cromoterapia verdazzurra per sopravvivere a tristi vicende
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di Federico Santi



Dopo le tristi, ben note, vicende del nucleare, del carbone e del petrolio – si tende a dimenticare la fontana oleosa della BP; caratteristica diabolica nella nostra epoca è una memoria cortissima, segno evidente di decadenza: chi non ha memoria, non ha futuro – assistiamo ad un “ritorno di fiamma” del gas naturale, abbinato ad un rinnovato interesse per le rinnovabili. L’IEA parla di Golden age of natural gas come, oltre un decennio fa, l’autorevole Nebojsa Nakicenovic profetizzava una natural gas era (fu, peraltro, il mio primo contributo a questa rivista). Nel frattempo, c’è stata una mezza rivoluzione nel mondo del gas naturale, con l’improvvisa entrata in scena di riserve non convenzionali abbondanti e competitive. Questo scenario “gas + rinnovabili” coglie l’Italia in una curiosa posizione dominante, forse immeritata, certamente non pianificata.

Tra i primi Paesi al mondo a far uso industriale di metano, grazie anche alla grandezza visionaria di Enrico Mattei, l’Italia consuma oggi moltissimo gas naturale, sia per il riscaldamento degli edifici, sia per la produzione di energia termica negli stabilimenti industriali, sia per la generazione di energia elettrica dopo lo straordinario ciclo di investimenti innescato dall’apertura del mercato elettrico (e dal decreto “sblocca- centrali”) che ha portato ad un sovrabbondante parco di centrali CCGT.
Oggi il gas naturale è la prima fonte energetica italiana, quanto a copertura del fabbisogno energetico nazionale; nel settore elettrico il gas naturale copre i due terzi della produzione complessiva sul territorio nazionale. Vi sono eccellenti utility - ad esempio Sorgenia, per non fare nomi - che sulla strategia “gas&rinnovabili” hanno puntato tutto, rinunciando al pur conveniente carbone pulito e al sogno nucleare.

È vero che il gas naturale italiano è per la gran parte importato, non disponendo la nazione di riserve abbondanti. Ed è vero che il gas arriva in Penisola da nazioni come Algeria, Libia, Russia, Qatar - oltre che Norvegia e Olanda - non senza rischi geopolitici; basti pensare all’attuale crisi libica e alla conseguente scomparsa dalle importazioni italiane di circa 8 miliardi di metri cubi/anno di capacità di importazione, superiore al complesso della produzione nazionale. Ed è ancor più vero che, con tante forniture a rischio e con un segmento di domanda sensibile quale è quello del settore termoelettrico, il sistema italiano di stoccaggi del gas è fortemente sottodimensionato; da anni si tenta invano di potenziarlo, finché oggi è diventato l’elemento più critico dell’intero sistema energetico nazionale.
Ed è vero, infine, che il mercato del gas è ancora largamente dominato da un solo, potentissimo incumbent, che: porta il proprio gas alla frontiera e lo vende ai competitor; detiene la proprietà della rete di trasposto; detiene la proprietà della più grande società di distribuzione e vendita ai clienti finali; si oppone, con la sua potenza di fuoco, ad ogni tentativo di aumento della flessibilità delle importazioni (ad esempio attraverso nuovi terminali LNG) e/o del grado di liberalizzazione/concorrenza del mercato.

In queste quattro verità è riassunta l’agenda principale per l’ammodernamento del sistema-gas italiano: rapido e forte potenziamento degli stoccaggi; realizzazione di nuovi terminali LNG; miglioramento dei meccanismi di mercato (Borsa del gas, unbundling, metering, condizioni di concorrenzialità, eccetera); razionalizzazione delle reti di distribuzione cittadine. Si aggiunge un punto fondamentale: l’auto a metano. Se la strada presa - lasciati alle spalle carbone e nucleare - è quella del tutto gas, bisogna allora tornare a pensare al sistema-gas italiano come ad un hub del gas nel Mediterraneo, come si diceva a gran voce qualche anno fa, nonché ad utilizzare tecnologie a metano in settori nuovi come appunto il trasporto o il raffrescamento degli ambienti.

Avendo a disposizione in Italia una rete capillare di distribuzione del metano, è inoltre essenziale cogliere l’occasione per una seria ed efficace promozione della generazione distribuita ad alta efficienza (CHP, microturbine, motori a gas, celle a combustibile, eccetera); per fare ciò, il passaggio più importante è di tipo regolatorio, essendoci la necessità di una seria e puntuale regolazione dei Sistemi Efficienti di Utenza (l’AEEG dovrebbe averla tra le priorità assolute!) e delle Reti Interne di Utenza come i grandi condomini/quartieri residenziali, i distretti commerciali, i porti/aeroporti, eccetera… [in questo senso, è scoccata l’ora che i distributori di energia elettrica la smettano di fare cieca opposizione per biechi interessi! Chiusa parentesi].

Poiché dunque non ci resta che il gas, concentriamoci sul gas. La sorte benigna ha voluto regalare all’Italia metanizzata un rigetto planetario di nucleare (Fukushima) e carbone (Kyoto&co), almeno allo stato attuale delle tecnologie, che vuol dire venti/trent’anni. Approfittiamone! Riprendiamo l’idea del caro Edgardo Curcio di inserire una componente tariffaria nella bolletta del gas - pur piccolissima - per finanziare un centro di eccellenza pubblico per le ricerche sulle tecnologie del gas (modello RSE/ Cesi per il settore elettrico, per intenderci). Sosteniamo a livello governativo le imprese che vanno all’estero a procurarsi il gas (tutte le imprese, non una sola!) che sia in forma di LNG, di GTL, di CNG, di gas aeriforme da portare via gasdotto. Sfruttiamo quella che era una nostra debolezza (l’eccessiva dipendenza dal gas) e che sembra poter diventare un punto di grande forza nel sistema energetico europeo e nordafricano dei primi decenni del duemila. Raccogliamo i doni della sorte benigna e dell’eredità di Mattei, lavorando duramente e con serietà per ripartire a tutto gas.

Oltre che sul fronte metano, anche sul versante rinnovabili non siamo messi affatto male! Enel Green Power è tra le più grandi renewable-company del mondo intero e le altre nostre utility non stanno certo a guardare. La quota di rinnovabili nel sistema energetico italiano è tra le più alte nel mondo industrializzato. Abbiamo una secolare esperienza nell’idroelettrico che esportiamo in tutto il mondo, con opere di ingegneria straordinarie.
Abbiamo i tassi di crescita del fotovoltaico più alti del mondo. Abbiamo sviluppato un sistema di windfarm di tutto rispetto. Continuiamo a crescere nel biodiesel miscelato al gasolio per l’autotrazione. Con un po’ di sforzo in più sulle biomasse, il solare termodinamico e l’eolico offshore, dal punto di vista energetico potremo veramente porci come modello di renewable-country, in un Paese che non ha certo le risorse naturali e la densità di popolazione della Scandinavia.

L’agenda per le rinnovabili dovrebbe prendere almeno questi punti essenziali: definizione dei meccanismi incentivanti, chiara, precisa, dettagliata, esauriente, univoca, definitiva, immutabile (!!!) per almeno 5 anni (meglio 10, o comunque blindando alcuni elementi di fondo); profonda revisione, una volta per tutte, dei percorsi autorizzativi: chi se ne è occupato sa che la cosiddetta Autorizzazione Unica, peggio ancora se è affetta da VIA, è un concentrato di burocrazia unico nella storia del pianeta Terra, è indegno che chi, obtorto collo, si incammini su questa strada debba affrontare l’inferno dantesco girone per girone; deciso potenziamento dei sistemi che incentivano lo sviluppo e l’utilizzo di tecnologia italiana, esportabile nel resto del mondo; avvio/rinforzo di progetti di ricerca di ampio respiro su poche nicchie inesplorate e di grandi potenzialità per l’uso delle fonti energetiche rinnovabili; potenziamento fortissimo e rapidissimo delle reti, sia di distribuzione che di trasporto dell’energia elettrica (e obbligo per i gestori di rete di allestire uffici adeguati ad una gestione civile delle connessioni, pena, ad esempio, la revoca della concessione del servizio! Prima di cianciare di reti smart, sarebbe opportuno rendere smart i funzionari e i dirigenti dei gestori di rete).

Non c’è dubbio che un sistema elettrico (e, in futuro, energetico) basato su gas naturale e fonti rinnovabili sia low-emission, sia rispetto agli agenti inquinanti che rispetto ai gas climalteranti. Gli handicap di un siffatto sistema sono gli alti costi, sia di investimento (rinnovabili) sia di esercizio (gas naturale) e la scarsa diversificazione delle fonti, da compensare per lo meno con una forte diversificazione delle aree geografiche di approvvigionamento del gas naturale, nonché delle relative infrastrutture di trasporto. La perdita di competitività dovuta agli alti costi energetici può essere compensata dalla relativa riduzione dei costi ambientali. In termini assoluti, ciò è possibile: per una nazione come l’Italia, un sistema energetico gasrinnovabili avrebbe, al giorno d’oggi, il minor impatto tecnologicamente possibile sull’ambiente.
È però necessario che i rappresentanti dell’Italia all’estero, a Bruxelles in particolare, facciano riconoscere con grande forza a livello internazionale l’indiscutibile valore economico di un sistema energetico low-emission, secondo il principio chi inquina paga applicato senza distinzioni di alcun genere, con buona pace di Germania, Francia, Gran Bretagna, nonché USA, nonché, perché no, Russia, Cina, India, eccetera...

Questo impegno internazionale è davvero fondamentale per evitare che la qualità ambientale del sistema energetico vada a scapito della competitività del Paese. Ancora una volta, la politica energetica e la politica estera italiane devono essere strettamente, indissolubilmente unite da una strategia comune portata avanti con grande forza, senza esitazioni, dubbi, incertezze e senza tema di inimicarsi Paesi amici. Il Governo ha una grande sfida in questo senso e questo connubio energia/diplomazia dovrebbe rinascere ed essere posto in cima alla lista delle priorità di qualunque governo nazionale, anche considerato che, ahimè, l’Europa non ci è di grande aiuto in questo ambito.
Al 2020 (o giù di lì...) è possibile - e abbastanza sostenibile: ce lo dice uno studio articolato che la Fondazione Energia ha predisposto per Assoelettrica negli anni 2007-2010 - un sistema elettrico italiano che soddisfi i circa 400 TWh di fabbisogno complessivo con 190 TWh di generazione da gas naturale e 95 TWh da rinnovabili, oltre a 80 TWh da carbone, olio combustibile e altre fonti e 35 TWh da importazioni. Un siffatto sistema elettrico rilascerebbe circa 140 Mt CO2, in sostanziale stabilizzazione rispetto ai valori degli ultimi anni.

Però c’è un però… Le fonti rinnovabili non programmabili (fotovoltaico ed eolico principalmente) hanno bisogno di un back-up di sistema, oltre che di una rete elettrica adeguata. I CCGT a gas naturale sono in grado di fungere da back-up, entro certi limiti, e offrono nuova energia 4-2011 una flessibilità che certamente nucleare e carbone non hanno. Tuttavia, l’uso di tali impianti per il back-up di sistema è costoso. Se ne sta discutendo in queste settimane, a proposito delle modifiche che l’AEEG sta affrontando al sistema del capacity payment. È stata su tutti i giornali la diatriba tra Enel e Terna su chi debba occuparsi dei pompaggi. In realtà, il solo fatto che si discuta di pompaggi e non di “sistemi di accumulo dell’energia elettrica” dimostra già la limitatezza dell’orizzonte visivo degli attori: oltre ai metodi idraulici, l’energia elettrica si può al giorno d’oggi accumulare in molti modi diversi (meccanica, elettrica, elettrochimica) sia a livello di generazione centralizzata che di generazione distribuita.
Ma di questo vorrei raccontare diffusamente nel prossimo numero di Nuova Energia, dopo l’estate. Per ora, sorseggiando sulla spiaggia Coca Cola ghiacciata con immancabile fetta di limone, auguro a tutti un’estate a colori, verde come le rinnovabili, azzurra come il gas naturale... e la nazionale.