di Giuseppe Gatti
In un business regolato, come è quello della rete elettrica, con tariffe fissate in modo da remunerare comunque il capitale investito, perdere è quasi impossibile, ci si dovrebbe proprio impegnare a fondo. Altrettanto difficile è però fare un margine superiore a quello (invero non esaltante) definito dal Regolatore. Insomma non si può perdere, ma non è facile creare valore per gli azionisti, per usare lo stereotipo oggi di moda. Non per nulla le azioni dei gestori di rete, si tratti di Terna o di Snam Rete Gas, vengono viste sul mercato più simili ad obbligazioni che a titoli industriali. Bassissimo rischio, modesto rendimento.
Terna, però, è sempre stata alquanto riluttante ad accettare questo mediocre destino e sin dal suo esordio ha cercato di liberarsi di questa camicia di Nesso del margine assegnatole come vincolo esterno. Ecco allora le scorribande in Brasile prima e nel fotovoltaico poi, tutte iniziative che con la sua mission c’entravano poco o nulla, ma che indubbiamente hanno rimpinguato i bilanci, con comprensibile soddisfazione degli azionisti.
Non ci si potrebbe certo lamentare di una performance superiore alle attese, non fosse che gli investimenti all’estero e nel fotovoltaico hanno rallentato quelli necessari all’adeguamento della rete italiana (evidentemente meno redditizi), con il risultato che abbiamo centinaia di MW di eolico (soprattutto in Puglia) che sono limitati nella loro produzione perché la rete non può ricevere la loro energia.
Si aggiunga, nel caso del fotovoltaico, che Terna avrebbe potuto ugualmente valorizzare i propri siti collocandoli sul mercato con gare trasparenti, senza mettersi a fare un mestiere che non è il suo. [...]
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