Maranesi: “Va rafforzato il dialogo con le imprese”

di Piero Magri
Piero G. Maranesi, presidente RSE



Il percorso professionale di Piero G. Maranesi, presidente di RSE, ha avuto inizio nell’elettronica nucleare, è proseguito nell’elettronica di potenza ed è poi approdato all’energetica.
E gli ha consentito di osservare il settore elettrico ed energetico con gli occhi del ricercatore, del docente e dell’amministratore di società del comparto (Terna e Acquirente Unico).
Una posizione privilegiata per parlare di R&S e delle potenzialità che questo settore ancora può esprimere, non solo nel nostro Paese
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Quali potrebbero essere i filoni di ricerca più promettenti nel settore energetico nei prossimi tre anni?
In prima battuta, attingendo dal contesto interno RSE, citerò le reti intelligenti. Informatica, telecomunicazioni, elettronica di segnale e di potenza sono determinanti in questo ambito di ricerca e sviluppo. Tale mix di tecnologie e di competenze si sovrappone a quelle elettriche, aprendo spazi di innovazione che potranno essere sfruttati anche delle imprese nazionali in termini di nuovi prodotti.
Esula completamente dal tradizionale l’altro filone di ricerca che vorrei segnalare per il suo potenziale innovativo e che scaturisce dalla recente scoperta di Craig Venter, nota come DNA artificiale. Le porte dell’energetica si aprono alla genetica, secondo le stesse affermazioni dell’inventore che ha indicato - tra le prime forme biologiche con genoma sintetico che si accinge a produrre - le alghe in grado di assorbire CO2 e i batteri con capacità di generazione accelerata di biocombustibili.

Quale peso avranno - accanto ai Paesi più sviluppati - le economie emergenti e quali ricadute potranno esserci sul settore della ricerca?
Accanto ai vantaggi storici in termini di costo e di efficienza complessiva del lavoro, le nazioni emergenti stanno evidenziando un passo di avvicinamento alle tecnologie più evolute - che fino ad oggi sono state appannaggio principale dell’area occidentale - molto più rapido del previsto. E superiore anche a quello che - in passato - aveva mostrato il Giappone. Questo vale per la Cina e per l’India, ma non solo, come dimostra la Corea del Sud.
La capacità di progettare e di innovare che queste economie vanno maturando ne amplifica il ruolo, non più essenzialmente esecutivo. Questa vitalità si riscontra anche nel settore formativo. Soprattutto in Cina le Università stanno raggiungendo livelli qualitativi molto elevati, grazie anche ad una selezione draconiana delle risorse umane, a noi sconosciuta. Dell’India si parla meno, ma anche là ci sono aree di assoluta eccellenza come nel caso della matematica e delle sue applicazioni tecnologiche. A tutto ciò si aggiunge la variabile energetica.

Questione di mix...
Il costo dell’energia nei Paesi emergenti è sensibilmente inferiore rispetto al nostro, proprio per la scelta di alimentare la crescita economica soprattutto attraverso il ricorso alle fonti tradizionali (a partire dal carbone) senza dover rispondere a vincoli ambientali troppo stringenti. Quello della competitività del kWh è un aspetto che può penalizzare meno realtà come Francia o Germania, per lo specifico mix energetico locale, ma che invece rappresenta un grave handicap per l’Italia.

In questo contesto, che ruolo potrà giocare l’Italia per non dover considerare persa in partenza la partita?
Le premesse precedenti e l’esperienza che ho maturato nel settore dell’elettronica di potenza - che ha registrato un massiccio trasferimento delle competenze, sia nel settore consumer sia in quello industrial, dove si riteneva che l’Italia potesse ben difendere le proprie posizioni - non mi inducono all’ottimismo. Potremo ancora ritagliarci nuovi spazi nelle produzioni industriali ad alto valore aggiunto, e là dove serve un approccio su misura e il cliente richiede soluzioni tailor made. Ma dove la domanda è più standardizzata...

E nel settore della ricerca?
Partendo dalle considerazioni precedenti, penso che dovremmo modificare alcuni dei criteri attuali di approccio all’innovazione.
A titolo di esempio, entro in un tema di ampia portata e di notevole complessità, che andrebbe affrontato in un ambito più ampio di un’intervista. Mi limito a due semplici opinioni personali che riguardano la distribuzione delle risorse per la ricerca.
Nel caso della ricerca applicata riferibile a contesti produttivi ormai persi, dovremmo procedere con maggiore cautela in termini di finanziamenti, sapendo che non avremo ritorni economici significativi per il nostro Paese. Dove le ricerche si stimano a bassa probabilità di successo o implicano termini lunghissimi di svolgimento (per esempio, la fusione nucleare), suggerisco di rapportarne con maggior realismo il gravame finanziario alla difficile situazione in cui ci troviamo.

Nello specifico di RSE, quali sono le linee di ricerca più importanti che vi vedono coinvolti?
Una prima considerazione non scontata: stiamo lavorando sull’energia, quindi su uno degli elementi di debolezza che pesano sulla nostra capacità concorrenziale e sulle potenzialità di sviluppo economico. Siamo dunque convinti - senza mai promettere ricette miracolistiche - che il nostro lavoro possa dare un ritorno serio e significativo al Paese anche perché viene svolto in un contesto di competenze che abbracciano l’intera problematica energetica consentendo un vantaggio sinergico rilevante.
Le linee della ricerca di RSE investono l’ambito elettrico ed energetico nella sua quasi totalità e dal loro insieme traggono la valenza maggiore. Per i ritorni pratici e di breve termine che offre, cito la linea denominata governo del sistema elettrico che fa capo a uno specifico dipartimento, ma raccoglie dati, risultati di misure, competenze, innovazioni, anche dagli altri dipartimenti (trasmissione e distribuzione, generazione, ambiente).
Elabora su base scientifica, con obiettività scevra da ogni tipo di condizionamento, scenari che descrivono la situazione dell’oggi e le possibili evoluzioni secondo varie ipotesi alternative. Le principali Istituzioni statali quali MiSE e AEEG e le principali utility già si avvalgono di questi risultati, ma l’attività può avere ulteriori sviluppi volgendosi a una più vasta area di stakeholder che comprenda le Istituzioni territoriali e altre tipologie di imprese, incluse le PMI.

Altri punti di forza?
Le ricerche che stiamo conducendo nel campo delle reti smart. Nel fotovoltaico coordiniamo il più importante progetto europeo di settore, Apollon, che riguarda le celle solari multigiunzione e i concentratori. Sul carbone, fonte cruciale quanto trascurata nella rappresentazione mediatica del problema energetico, abbiamo in essere importanti attività.
Vantiamo recenti risultati riguardo filtraggio e cattura della CO2 e, in collaborazione con Enea, siamo coinvolti nelle ricerche sulla segregazione dell’anidride carbonica.

E nell’ipotesi di un rinascimento nucleare?
Anch’io sono dell’opinione che l’Italia abbia compiuto un errore rinunciando al nucleare: valuto positivamente un ritorno a questa tecnologia. Si tratta di una fonte capital intensive, con ritorni dell’investimento su un arco temporale di 50-60 anni. Penso quindi che l’aspetto finanziario - in un ambito di incertezza come quello che ancora sta vivendo l’economia mondiale - darà luogo a un ingresso dell’Italia solo parziale, con un numero ridotto di impianti rispetto alle più ottimistiche previsioni.
Non dovrebbero comunque mancare importanti ritorni industriali per il nostro Paese. La componentistica nucleare ci può ancora vedere protagonisti, proprio perché stiamo parlando di progetti ad alto contenuto tecnologico. Se sapremo scegliere bene quale tipo di centrale costruire, a quel punto ci potrebbe essere un coinvolgimento dell’industria italiana davvero significativo.

Tornando ai temi della ricerca, come evitare il rischio di frammentazione dei programmi e la migliore coordinazione tra i diversi attori?
La domanda è da porre alla platea degli addetti alla ricerca, a qualunque titolo, con l’auspicio di poterne trarre una sintesi applicabile. Limitatamente al settore energetico, un contributo, sia pure parziale, potrebbe ottenersi da una maggiore e più organica partecipazione degli stakeholder - includendo tra questi i rappresentanti dei consumatori - alle fasi preparatorie delle assegnazioni dei compiti di ricerca ai vari soggetti: università, enti e società di ricerca e imprese. Parlo ovviamente della ricerca finanziata con denaro pubblico.

Come assicurare un reale ed efficace trasferimento dei risultati dai laboratori alle imprese?
Il coinvolgimento delle imprese sin dalla fase preparatoria, evocato nella mia precedente risposta, faciliterebbe il trasferimento dei risultati anche perché indurrebbe a mantenere contatti anche durante l’espletamento dell’attività.
Il problema si pone in termini più difficili con l’industria di medie e piccole dimensioni, che spesso non ha nemmeno la possibilità di aggiornarsi sullo stato della ricerca nello stesso ambito in cui opera. Cosa che parrebbe prerequisito indispensabile per disporsi a sfruttarne i risultati.
Qui gli attori della ricerca pubblica potrebbero aver modo di erogare una tipologia di servizio oggi poco praticata. Per il nostro personale tecnico e scienti- fico i congressi di settore rappresentano momenti di grande importanza anche per imparare, condividere esperienze, arricchirsi coi risultati degli altri ricercatori. Il fatto che, poi, queste acquisizioni non trovino gli opportuni canali di diffusione costituisce un’opportunità persa. Forse sarebbe necessario un mandato ad hoc perché le università e i centri di ricerca, attraverso strumenti mirati e ben definiti, possano dialogare più a fondo con le imprese.

RSE è pronta a raccogliere questa sfida?
Credo che noi saremmo in grado di svolgere in maniera efficace anche questo compito. Un vantaggio di RSE è di possedere una dimensione ottimale, non troppo grande così da evitare i rallentamenti dovuti a grosse inerzie strutturali, ma tale da consentire un approccio globale al problema energetico.

Può sintetizzare in poche righe il futuro che si auspica per questa azienda?
L’ingresso in un gruppo solido (anche da un punto di vista finanziario) e riconosciuto come il GSE gioca sicuramente a nostro favore. A livello di battuta, potrei rilevare che già oggi le banche ci trattano molto meglio di quanto non facessero fino a pochi mesi fa...
Seriamente, posso affermare che si sta instaurando un clima di collaborazione su vari livelli tra noi e la proprietà che appare foriero di vantaggi reciproci. Auspico che la Società contribuisca attivamente a indirizzare il settore energetico italiano verso un futuro di sviluppo e credo che il capitale umano, il vero valore di RSE, lo consenta.