Rinnovabili, come si può investire in Cina |
di Aleksandr Vladimirovitch Esaulov - Master MEA, anno accademico 2009-2010
Ma quali opportunità offre la Cina a quelle aziende straniere che volessero aiutarla a trasformare il proprio mix energetico, sbilanciandolo su tecnologie più pulite? Il primo passo per entrare nel mercato cinese in maniera duratura è aprire un ufficio di rappresentanza, volto ad instaurare rapporti con imprese o clienti cinesi. Gli investimenti sono regolati dal Foreign Investment Industrial Guidance Catalogue, catalogo di orientamento nel quale viene fatta una distinzione tra investimenti limitati, incoraggiati e proibiti. Nell’ultimo aggiornamento del 2007 rientrano negli investimenti incoraggiati la costruzione e la gestione di impianti ad energie rinnovabili. In realtà, occorre però sottolineare che ogni settore ha delle peculiarità. Nel 2002 è partito un programma di concessioni pianificate volto a massimizzare lo sfruttamento dell’energia eolica. Oltre alla priorità di dispacciamento, agli impianti viene garantita la vendita dell’energia con un sovrapprezzo di 0,001 yuan/kWh, (su un prezzo di 0,4-0,6 yuan/kWh per l’elettricità residenziale). I progetti sono poi vincolati ad avere certe caratteristiche, come una dimensione minima di 100 MW e turbine come minimo da 750 kW; inoltre il 70 per cento dei componenti deve essere imperativamente di produzione cinese. Tuttavia un buon margine di business rimane, come dimostrano le esperienze di General Electric, Nordex, Gamesa e Acciona che hanno affiancato le aziende locali nello sviluppo delle wind farms. Si pensi che il 30 per cento concesso agli investitori stranieri rientra in un potenziale stimato a 250 GW onshore e 750 GW offshore. Il fotovoltaico è tra le energie rinnovabili quella che si è maggiormente sviluppata in Cina, al punto da classificare i produttori cinesi tra i leader mondiali per quantità prodotte. Difficilmente l’industria fotovoltaica italiana potrebbe puntare a competere con quella cinese. Valutiamo invece la possibilità di costituire società di trading, dette FTC (Foreign Trading Companies), per avviare attività di importazione. Interessanti in proposito sono le disposizioni normative, contenute nelle Regulations on Shanghai Waigaoqiao free Trade Zone (1996) che descrivono come avviare questo genere di attività a Shanghai nella bonded area di Waigaoqiao. Attenzione però agli standard di qualità dei prodotti, sia dal punto di vista del prodotto stesso sia della sua produzione; ulteriori rischi sono dati dall’incertezza sui tassi di cambio. Il business comunque appare molto interessante, dati gli elevati margini di guadagno. Opportunità di entrare nel mercato cinese potrebbero nascere dal solare termodinamico; in questo caso la questione più delicata è non diffondere il know-how ad imprese locali, che potrebbero trarne un vantaggio competitivo rispetto a quelle italiane. Occorre pertanto esaminare con cura le normative a riguardo: la legge sui trasferimenti di tecnologia (Regulation on Technology Imports and Exports, 2002) prevede dei contratti di cessione o concessione dell’uso di brevetti, regolamentati a loro volta da un apposito ufficio della Repubblica, nonché dalla Legge Brevetti. La tutela dei brevetti non rientra invece in una normativa apposita. Si fa pertanto riferimento alla Legge sulla Concorrenza Sleale. Il diritto cinese prevede sanzioni in caso di ottenimento del segreto commerciale mediante furto, coercizione o altri metodi scorretti, di divulgazione o utilizzazione diretta o indiretta e di violazione di richieste o patti di non divulgazione, aventi ad oggetto informazioni a carattere confidenziale (art. 10 e 25). Per evitare inconvenienti è possibile costituire delle società a capitale interamente straniero. A partire dal 1986, la Legge sulle Wholly Foreign Owned Enterprises (WFOE), modificata nel 1990 e nel 2000, disciplina questa forma di società. L’investitore presenterà domanda al ministero del Commercio, che dovrà dare o meno una conferma entro trenta giorni; in seguito si farà la domanda per la Business Licence all’Ente amministrativo per l’industria e il commercio. Altra forma di investimento è la joint venture, e in particolare la Equity Joint Venture, descritta nella EJV Law. Questa è più adatta a tecnologie meno innovative, dato che il partner straniero può detenere una quota di capitale tra il 25 e il 99 per cento. L’azienda deve ricercare un partner (si può delegare una società privata ad indagare sulla salute finanziaria del partner, in quanto in Cina non ci sono obblighi giuridici riguardo alla certificazione di bilancio di aziende che non siano grandi Gruppi), redigere una lettera di intenti e redigere un business plan. In seguito, occorre prestare molta attenzione al contratto da stipulare, in quanto molte tipologie standard cinesi non presentano una tutela adeguata del partner straniero. Il contratto sarà poi presentato al ministero del Commercio e approvato dalle autorità provinciali che conferiranno la Business Licence. Le biomasse potrebbero essere sfruttate con questa tipologia di società. La Cina ha una lunga tradizione nello sfruttamento di biomasse e biogas, tuttavia occorrerebbe trasferire tecnologie allo stato dell’arte, nonché ottimizzare la gestione degli impianti e degli approvvigionamenti. Gli investimenti sono interessanti, grazie alle agevolazioni di tipo feed-in tariff, e inoltre il potenziale cinese è ancora un volta notevole. Studi del 2002 stimano a 70 milioni di tonnellate i residui solidi annuali delle industrie cinesi, nonché 49 milioni di tonnellate di escrementi solidi per l’industria zootecnica. Con la crescita economica, la National Development and Reform Commission ha previsto per il 2020 una produzione potenziale di 41,5 miliardi di metri cubi di biogas, corrispondenti ad una produzione elettrica di 83 TWh/anno.
L’ambiente competitivo cinese è complesso e poco prevedibile, le aziende che operano nel mondo dell’energia devono quindi affrontarlo con cautela analizzando con obiettività le opportunità e i rischi di questo momento storico di sviluppo. È facile motivare entusiasmo o scetticismo, ma tutti dovrebbero tenere un occhio sul mercato cinese perché le potenzialità teoriche che lo caratterizzano sono elevatissime. Probabilmente si arriverà in un prossimo futuro ad una maggiore trasparenza normativa; l’internazionalizzazione verso la Cina ha quindi una valenza strategica e imparare ad operare in questa realtà costituisce e costituirà sempre di più un vantaggio competitivo. |