DOSSIER - Rinnovabili, cercasi un indirizzo “omogeneo”

Massimo Protti, presidente del Consorzio Assoutilitydi Massimo Protti


Il 30 dicembre scorso in Spagna alle tre di notte il 54 per cento dell’energia immessa in rete - e quindi consumata - è stata prodotta da fonte rinnovabile. Un record per il Paese iberico che va sicuramente ponderato con il basso consumo verificatosi in quell’ora, ma che testimonia i risultati dell’ambiziosa politica energetica spagnola.
Una politica, lungimirante e di largo respiro, che ha permesso alla Spagna di conseguire in poco più di un decennio un eccezionale sviluppo della generazione elettrica da tecnologia fotovoltaica ed eolica.
Se parliamo di rinnovabili, però, non possiamo non citare l’esempio tedesco. Infatti la Germania è il Paese europeo che attualmente possiede la maggiore capacità eolica installata e ha conseguito validi risultati anche nel fotovoltaico. Non a caso Germania e Spagna hanno chiuso il 2009 ponendosi, rispettivamente, al secondo e al quarto posto per la capacità di generazione installata da fonte eolica, in una speciale classifica che vede gli Stati Uniti al primo posto e la Cina al terzo.
A questi risultati bisogna aggiungere un’altra importante considerazione: sia in Spagna sia in Germania sono nate molte industrie che sono ormai leader nell’eolico e nel fotovoltaico. Basta citare nomi come Gamesa, Siemens, Q-Cells; eccellenze che hanno prodotto le condizioni per determinare le comprensibili benefiche ricadute occupazionali ed economiche nei rispettivi Paesi.

Tali riflessioni portano facilmente a confrontare il settore delle fonti energetiche rinnovabili in queste due nazioni europee e in Italia, evidenziando in primis due situazioni tra loro opposte negli effetti: da una parte la disponibilità in Italia di incentivi per le rinnovabili - quali i Certificati Verdi o il Conto Energia del fotovoltaico, più generosi di quanto accada in altre realtà europee - che rappresentano una forte motivazione per investire nello sviluppo di tali iniziative; dall’altra, si riscontrano limiti e carenze di tipo legislativo e normativo, soprattutto dal lato autorizzativo, che frenano o ritardano lo sviluppo di investimenti nel settore delle rinnovabili.

«Sono proprio le grandi 2.....
2....difficoltà autorizzative
il principale ostacolo 2..
2. all'affermarsi delle fonti
rinnovabili in Italia»


Come si può facilmente immaginare, sono proprio le grandi difficoltà autorizzative il principale ostacolo all’affermarsi delle fonti rinnovabili in Italia, con gravi ricadute sulla sostenibilità ambientale e sulla sicurezza degli approvvigionamenti energetici del Paese. La causa principale di ciò risiede sicuramente in una normativa complessa, non chiara e spesso frammentata tra norme nazionali, regionali se non addirittura provinciali. Infatti, a seguito della modifica del titolo V della Costituzione, l’energia è diventata materia a legislatura concorrente tra normativa nazionale e regionale. L’effetto principale di tale conflitto è stato la nascita in ogni Regione di una normativa regionale che si è andata ad aggiungere alla normativa nazionale nell’ambito delle fonti rinnovabili.

Ovviamente la non omogeneità tra le singole norme regionali ha prodotto di fatto una pericolosa asimmetria normativa tra le varie Regioni, che rischiano così di divedersi tra quelle che autorizzano impianti con eccessiva facilità e quelle che invece li ostacolano con norme stringenti e spesso incomprensibilmente avverse, quasi a voler trasferire in legge l’opposizione di comunità locali a tali opere, in un paradossale effetto Nimby che vede i cittadini opporsi alla realizzazione di opere che per loro stessa natura hanno un ridotto impatto ambientale e permettono di conseguire un maggiore sviluppo sostenibile.
Questo ha ovviamente spinto gli operatori del settore ad orientare i propri investimenti verso quelle Regioni più favorevoli verso tali iniziative, a svantaggio di quelle che invece mostrano un atteggiamento più ostile. In ultima analisi si è arrivati ad avere in alcune Regioni un’incredibile proliferazione e in altre una preoccupante assenza delle richieste autorizzative per realizzare nuovi impianti da fonti rinnovabili. Bisogna sottolineare inoltre che, a fianco di tanti investitori industriali interessati alla effettiva realizzazione di impianti di generazione da fonte rinnovabile, vanno emergendo sempre più soggetti interessati soltanto a strappare un pezzo di carta - l’autorizzazione - con lo scopo di cederlo poi a quei soggetti terzi - gli operatori del settore - che hanno i capitali, il know-how e l’interesse reale ad investire nello sviluppo di impianti eolici e fotovoltaici. Questa prassi non vede come opportunità collegata all’investimento la realizzazione dell’impianto stesso e la sua gestione, quanto piuttosto l’ottenimento dell’autorizzazione alla sua realizzazione come un titolo che può essere monetizzato in tempi assai più brevi rispetto a quelli realizzativi.

Tale caccia al permesso di fatto introduce nel settore delle fonti rinnovabili fenomeni speculativi pericolosamente distorsivi per i costi di tali impianti, perché da un lato assorbe molte risorse economiche dagli investitori, che di fatto devono pagare le autorizzazioni ottenute da terzi, e dall’altro determina un eccessivo onere di lavoro nei confronti degli uffici amministrativi che si devono occupare di valutare le singole richieste di autorizzazione, danneggiando così indirettamente quegli investitori che seguono lo sviluppo di un progetto dalla fase autorizzativa a quella di entrata in funzione.
La corsa autorizzativa racchiude però in sé anche una profonda criticità tecnica non trascurabile per il sistema elettrico nazionale. Accettare una richiesta di autorizzazione per un impianto di generazione comporta implicitamente la predisposizione della connessione di tale impianto alle reti elettriche ad alta e media tensione. La non omogeneità di tali impianti sul territorio però, determina di fatto dei veri e propri bottle necks nella rete elettrica, che in alcuni punti si trova a dover veicolare quantitativi di energia nettamente superiori a quelli per cui era stata progettata. Parlare delle reti elettriche non può esimerci dal riconoscere che lo sviluppo di tali infrastrutture, proprio come gli impianti da fonte rinnovabile, incontra in Italia tutta una serie di problemi sia di tipo autorizzativo sia legati all’accettabilità sociale presso le comunità locali.

«L'asimmetria normativa 2.....
2....tra le diverse Regioni
cozza contro gli obblighi 2..
2...... che l'Italia ha assunto
in ambito europeo

Non bisogna poi dimenticare che tale asimmetria normativa e il conseguente sbilanciamento autorizzativo tra le diverse Regioni cozzano contro gli obblighi che l’Italia ha assunto in ambito europeo (la cosiddetta direttiva 20-20-20 - Direttiva 2009/28/CE del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili) in merito alle fonti energetiche rinnovabili e alla riduzione delle emissioni climalteranti, creando di fatto il paradosso di un Paese che a livello nazionale assume determinati obblighi (come quello di conseguire entro il 2020 una determinata quota di energia prodotta da fonte rinnovabile rispetto ai consumi totali nazionali) senza tuttavia avere norme adeguate a conseguire tali obblighi, perché di fatto talune Regioni presentano una legislazione che non agevola l’incremento dell’utilizzo di tali fonti energetiche, quasi come se non recepissero gli obblighi sottoscritti dal Governo centrale in ambito europeo.

Questi elementi critici sono stati anche evidenziati nella recente audizione tenuta alla Commissione territorio, ambiente e beni ambientali del Senato dal vice presidente per l’energia e il mercato di Confindustria, Antonio Costato. Partendo dalla descrizione degli obbiettivi fissati dall’Unione europea nella suddetta Direttiva, Costato ha analizzato come l’Italia possa conseguire tali obiettivi alla luce della situazione attuale e dei trend di sviluppo delle fonti rinnovabili registrati negli ultimi anni, sottolineando in particolare che la nuova politica energetica europea offre sicuramente al nostro Paese l’opportunità di delineare un mix energetico che garantisca una maggiore sostenibilità nell’ottica economica e ambientale, ma che il ruolo delle rinnovabili vada pesato sui reali costi che questo potrebbe richiedere.
Tra le tante considerazioni esposte ci sembra che siano sicuramente degne di nota quelle relative a due proposte da introdurre nella normativa delle fonti rinnovabili. La prima riprende il cosiddetto burden sharing regionale (già oggetto di ampio dibattito), ovvero la ripartizione degli obblighi sottoscritti dall’Italia in sede europea tra le Regioni, in modo che ciascuna Regione sia incentivata a favorire lo sviluppo delle rinnovabili sul proprio territorio per adempiere alla quota parte di obbligo che le compete. Tale meccanismo (di fatto una responsabilizzazione delle Regioni) avrebbe il vantaggio di incidere direttamente sulle norme regionali relative all’autorizzazione di impianti di generazione da fonti rinnovabili, andando a smorzare l’asimmetria legislativa prima descritta e stimolando quelle Regioni che si trovano indietro nello sviluppo di tali fonti.

La seconda proposta riguarda invece nuovi modelli di procurement per impianti da fonti rinnovabili, al fine di razionalizzare gli investimenti. Tale proposta vede l’assegnazione delle concessioni (comprensive però anche delle autorizzazioni per la connessione degli stessi impianti alla rete elettrica) per la realizzazione di nuovi impianti da fonti rinnovabili attraverso un meccanismo d’asta gestito dalle Regioni stesse. Tale meccanismo avrebbe i seguenti effetti:

garantire una localizzazione dei nuovi impianti sulla base delle caratteristiche ambientali del territorio (ad esempio, la ventosità nel caso di impianti eolici);
garantire da un lato la pianificazione degli impianti in funzione della rete di trasmissione dell’energia e dall’altro una pianificazione della rete in funzione di quella degli impianti;
mettere fine alla caccia alle autorizzazioni, spostando l’interesse dall’autorizzazione in sé alla realizzazione dell’opera stessa e riservando di fatto lo sviluppo delle iniziative a chi è veramente interessato a portarle a termine.

Queste proposte sicuramente hanno il pregio di inquadrare il principale problema delle fonti rinnovabili, ovvero l’attuale meccanismo autorizzativo e di procurement, ma proprio per la loro natura strategica e d’indirizzo meritano di essere integrate e completate all’interno di un contesto, complesso e pur vitale, come quello rappresentato dall’attuale mercato elettrico italiano in modo da definire, alla luce degli obiettivi dell’Italia in materia di sostenibilità ambientale e di sicurezza dell’approvvigionamento energetico, una nuova politica nazionale in fatto di energie rinnovabili.

Tale politica potrebbe articolarsi perciò su tre elementi base. Il primo elemento sarebbe rappresentato dal burden sharing regionale, essendo tale elemento il fattore motivante per ciascuna Regione ad accrescere e favorire lo sviluppo delle fonti rinnovabili nel proprio territorio. Il secondo elemento sarebbe invece il meccanismo di procurement basato su aste di assegnazione delle autorizzazioni per realizzare nuovi investimenti in fonti rinnovabili.
Il terzo elemento, che completerebbe i precedenti, potrebbe essere rappresentato da un soggetto pianificatore, dotato di adeguate competenze tecnico-normative relativamente alle fonti rinnovabili e al settore dell’energia elettrica. Tale soggetto lavorerebbe da un lato nell’ambito delle linee strategiche fissate dalla legislazione nazionale, di concerto però con le varie Regioni, e dall’altro assieme al Gestore della rete di trasmissione nazionale per definire programmaticamente le linee di sviluppo delle fonti rinnovabili in Italia e della rete elettrica destinata alla trasmissione di tale energia, favorendo di fatto l’interazione tra Terna e le singole amministrazioni locali. Proprio per poter conseguire tali risultati nel migliore dei modi possibili, tale soggetto dovrà raccogliere, continuare e migliorare quanto di buono fatto finora da ciascuna singola Regione sia in merito allo sviluppo degli impianti da fonti rinnovabili sia allo sviluppo della rete elettrica. Più nello specifico, avrebbe ad esempio i compiti di:

studiare, aggiornare, rendere disponibili e fruibili agli investitori gli studi sulle potenzialità della generazione da fonte rinnovabili in ogni Regione;
determinare le aree più adatte allo sviluppo di nuove iniziative nel campo delle fonti rinnovabili alla luce dello sviluppo della rete e delle condizioni del sistema elettrico nazionale (per esempio, nel caso dell’eolico offshore);
fornire alle Regioni il know-how e il supporto per stabilire annualmente le assegnazioni delle concessioni di realizzazione degli impianti da fonte rinnovabile agli investitori privati.

Inoltre, tale soggetto potrebbe rappresentare lo strumento tecnico deputato a negoziare, in ambito europeo e internazionale, possibili impegni futuri dell’Italia riguardo il sistema energetico-elettrico, con grande vantaggio circa l’effettiva realizzazione di tali impegni. Se fino ad oggi lo sviluppo delle fonti rinnovabili si è andato realizzando in maniera disomogenea sul territorio nazionale, ora uno strumento di indirizzo, pianificazione e supporto tecnico come il soggetto qui delineato, potrebbe dare la spinta necessaria per favorire maggiori investimenti privati nel settore delle fonti rinnovabili, permettendo da un lato di superare le problematiche tecnico-normative sorte dalla crescente complessità del settore e dall’altro di conseguire più ambiziosi traguardi verso una maggiore indipendenza energetica e una maggiore sostenibilità ambientale dell’Italia.