La sopravvivenza dei raffinatori schiacciati tra consumi reali e offerta virtuale

Drilling


La squadra di Varese - particolareUno dei cardini per il mantenimento degli equilibri del mercato petrolifero è il corretto funzionamento del sistema di raffinazione, ovvero dell’industria che garantisce il costante processo di trasformazione della materia prima (olio greggio) in prodotti finiti (benzina, gasolio, jet fuel, ...) necessari al mercato finale di consumo. Perché questo processo possa avvenire con la continuità necessaria, è essenziale che agli operatori del settore siano garantiti margini di profitto ragionevoli.

Negli ultimi due decenni abbiamo assistito ad un andamento fortemente oscillante dei valori dei margini di raffinazione, da valori negativi ad impennate inaspettatamente positive. Mentre i valori bassi registrati a partire dalla seconda metà degli anni ‘80 hanno provocato la chiusura di moltissime raffinerie nei Paesi del bacino atlantico, l’inaspettata impennata dei margini di raffinazione agli inizi degli anni 2000 è stata vissuta dai raffinatori occidentali come una vera e propria manna dal cielo, ma non ha messo in moto alcun processo di reali investimenti nel settore.

Il raffinatore è obbligato
a iscriversi al club
del gioco finanziario
per tentare di sopravvivere, giocando la propria partita al tavolo speculativo.
Nell’ultimo anno sembra essere tornata una fase di depressione apparentemente non giustificabile. Infatti, dai dati disponibili sembrerebbe essere proprio la mancanza di prodotti finiti di alta qualità (benzine riformate e gasoli ultra puliti) a fornire il sostegno al prezzo del greggio.
Di recente abbiamo letto un interessante articolo su questa rivista, che spiegava come attraverso il ricorso al mercato dei derivati finanziari (crack-spread) si può proteggere il margine di raffinazione riducendo i rischi e garantendosi un certo profitto. Non voglio entrare qui nella discussione sul meccanismo in sé e sulla sua validità e capacità di consentire una totale protezione del margine.
Vorrei esaminare un diverso aspetto del problema. Perché un operatore che ha investito capitali ingenti in un’infrastruttura strategica come la raffinazione, in un contesto di mercato che vede i consumi petroliferi, al di là di oscillazioni contingenti, in costante crescita a livello mondiale e una generale insufficienza della capacità di raffinazione disponibile, non riesce ad ottenere dei margini accettabili? Eppure, il margine è solo la differenza fra il prezzo di vendita dei prodotti finiti (con domanda in crescita) e quello della materia prima (la cui disponibilità è ampia e garantita). [...]

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