Soldadino: "Non si fa energia senza chiarezza e responsabilità"
di Davide Canevari
Il tono della voce è quello di chi illustra una situazione tutto sommato soddisfacente. Pacato, mai sopra le righe, attento a non enfatizzare gli aggettivi. Un tono che non ti aspetteresti da un livornese doc; men che meno in questo scorcio finale di 2003 nel quale tra blackout, scorie e decreti sono stati in molti (forse in troppi) a gridare le loro ragioni. Ma nelle parole di Giorgio Soldadino, direttore di Federelettrica, traspare comunque la consapevolezza di un quadro generale non privo di problemi e contraddizioni.

Ingegner Soldadino, quali sono oggi i principali problemi dell’energia in Italia?
Direi che il primo scoglio da superare ha a che fare con la mancanza di chiarezza della normativa sulla attribuzione dei poteri tra i vari enti istituzionali: governo, regioni, enti locali. Le incertezze nelle quali ci si trova ad operare sono assolute: oggi una società che desidera investire nel settore energetico non sa mai – finché l’impianto non entra definitivamente in produzione – se il suo programma avrà buon esito. E questo anche in presenza di tutti i permessi necessari da parte di Governo, Regioni, Province, Comuni. Nella situazione attuale basta un niente perché un comitato locale metta in opera un’azione di disturbo che blocca tutto.

Nessuna novità rispetto al passato. O forse la novità è che oggi si sta addirittura peggio rispetto a qualche anno fa?
Per l’esperienza che ho potuto accumulare in questi anni, sia a livello associativo, sia come uomo d’impresa, se qualcosa è cambiato forse lo ha fatto in peggio. Prima c’era un ostacolo nel passaggio tra la volontà dello Stato e quella delle comunità locali; ora nel meccanismo si sono inserite altre variabili e ci sono altri ostacoli da superare. Di questo problema, effettivamente, si parla da tanto tempo. Penso che non tutti, però, abbiano compreso la portata che va al di là della semplice questione energetica. Prendiamo il «caso Scanzano».

Già, quali messaggi le suggerisce questa vicenda?
Per come ha annullato il provvedimento il governo ha in pratica riconosciuto che il singolo Comune ha il diritto di opporsi. Poiché Scanzano non aveva denunciato vizi di procedura ma solo il fatto che le scorie erano «pericolose» e potevano «compromettere la vita degli abitanti», nel suo dietro front il governo ha di fatto avallato queste motivazioni. Quale altro Comune d’Italia, a questo punto, potrà mai accettare di essere eletto a sito per le scorie radioattive? Il problema è di fondamentale importanza e ha radici profonde. Un secondo limite del nostro sistema elettrico riguarda la capacità di condizionamento che ancora innegabilmente detiene l’operatore dominante. In Federelettrica ogni volta che discutiamo di Borsa, Acquirente unico, tariffe, ci rendiamo conto che qualsiasi nostra scelta può essere fortemente condizionata dalle decisioni dell’Enel.

Siamo dunque ancora lontani da una vera liberalizzazione?
Al momento la nostra associazione rappresenta il 21 per cento della distribuzione a media e bassa tensione; nel nostro sistema ci sono le tre principali metropoli italiane. Non posso quindi negare che Federelettrica abbia una certa forza. Allo stesso modo non possiamo però dimenticare che i nostri 7-8 milioni di utenti complessivi devono confrontarsi con i circa 28 milioni di clienti Enel. Cifre alla mano, ci sarebbe ancora spazio per equilibrare le posizioni dei competitor sul mercato. Il governo, dal nostro punto di vista si dovrebbe porre il problema…

E una volta riconosciuto il problema come dovrebbe risolverlo?
Per esempio agendo sul ramo della distribuzione a media e bassa tensione e creando più società sempre di proprietà di Enel ma tra di loro indipendenti. Frazionando la distribuzione – senza bisogno di agire sul versante della produzione – si potrebbero già ottenere dei buoni risultati.

Non c’è però il rischio che questo vada a incidere sulle economie di scala e, in ultima analisi, ad aumentare le tariffe di una bolletta già tra le più care d'Europa?
Ai nostri associati, da tempo, suggeriamo di promuovere accordi volti proprio a beneficiare delle economie di scala; lo stesso potrebbe, meglio dovrebbe, valere anche per le neonate società di distribuzione. L’importante è che siano formalmente indipendenti, con 7-8 milioni di utenti serviti per ciascuna. Così sarebbe più equilibrato il confronto con realtà come le nostre che hanno a che fare con 2-3 milioni di utenti nella migliore delle ipotesi. Sì, ci vorrebbe un colpo di coraggio, oppure di fantasia, da parte del governo.

Già il decreto Marzano, secondo alcuni osservatori ha dimostrato un certo coraggio. Qual è la vostra posizione al riguardo?
Devo dire che dopo lo stralcio di numerosi passaggi il decreto ha una sua validità di fondo condivisa, e con opportuni adattamenti può dare una svolta positiva al settore. Rispetto alla situazione attuale serviva e serve un po’ più di ordine, anche perché alcuni passi del Bersani risultano ormai per forza di cose superati. Resta tuttavia la preoccupazione per alcuni possibili scenari introdotti dal Decreto. Il primo riguarda il problema più generale della sicurezza del sistema elettrico nazionale. Secondo noi il punto di arrivo deve essere quello di un’unica società in capo alla quale ci siano tutti i tratti nazionali di rete ad alta e altissima tensione. Oggi per circa l’80 per cento la rete fa capo a Terna, il 20 per cento restante è di proprietà dei privati o delle ex municipalizzate. Il nostro timore – leggendo il Decreto nella versione attuale – è che venga costituita una società per Terna e tante altre per gli operatori. Il Grtn si troverebbe così a che fare con una pluralità di interlocutori. Non c’è ancora nulla di deciso, ma le preoccupazioni di fondo rimangono. Altro problema riguarda l’equiparazione della durata delle concessioni idroelettriche.

Di che cosa si tratta?
Attualmente l’Enel beneficia di una concessione di venti anni superiore rispetto a quella degli associati a Federelettrica. Come si fa a competere alla pari sul mercato se uno dei due soggetti parte con un vantaggio così marcato? Il recente blackout ha confermato il ruolo fondamentale degli impianti idroelettrici. Infatti nel Nord Italia, dove è elevato il peso di questa fonte energetica, la normalità è stata ripristinata in meno di due ore; al Centro sono state necessarie anche dieci ore mentre in alcune zone del Mezzogiorno si è sfiorata l’intera giornata. Questa considerazione ha spinto molti addetti ai lavori a proporre interventi di ammodernamento e potenziamento degli impianti attualmente in esercizio. In linea teorica noi tutti siamo d’accordo, ma quale investitore è disposto a fare un intervento del genere se non sa quale sarà la sua posizione tra soli otto anni?

Altri sassolini nella scarpa?
Sì, a dire il vero c’è un passaggio nel Decreto che, così come è scritto, proprio non ci piace. Si tratta dell’Articolo 15, comma 8 che limita (se addirittura non impedisce del tutto) la possibilità di fare interventi post contatore. Un elemento di grande importanza per i distributori è l’aumento dell’efficienza del sistema, ottenibile anche operando al di là del contatore. Se ciò viene impedito a priori viene a cadere una importante opportunità. Questa norma non riguarda solo le ex municipalizzate, ma anche l’Enel. Penalizza un po’ tutti.

E allora perché è stata introdotta?
La motivazione alla base è il timore che le imprese di distribuzione, effettuando interventi post contatore con proprio personale potessero fare una sorta di concorrenza sleale agli artigiani che, naturalmente, non possiedono la forza di una società strutturata alle spalle. Questo timore si è però mostrato infondato nei fatti. A livello locale le aziende di servizi sono state le prime a stringere accordi con artigiani perché fossero questi ultimi a svolgere il lavoro. Non c’era insomma nessuna convenienza ad esercitare una concorrenza diretta con personale proprio. Ciò ci fa ben sperare perché si possa arrivare all’abolizione del comma “incriminato”. Un’ultima “battaglia” che ci vede impegnati è quella per rendere indipendente il gestore del mercato elettrico nazionale dal Grtn. Può anche essere a capitale prevalente statale, ma anche con una partecipazione pro quota di tutti gli operatori. Altrimenti si rischia di ricreare un organismo che di fatto diventa un ente di Stato omni comprensivo; più o meno come poteva essere l’Enel prima del processo di liberalizzazione.

Ma non si rischia una polverizzazione delle competenze?
Direi di no. In fin dei conti stiamo chiedendo un Grtn che controlla dispacciamento e rete di distribuzione nazionale e un Gme separato da quest’ultimo.

Tutto sommato quelli del Marzano sembrano dei peccati veniali per un Paese che da almeno 20 anni è alla ricerca di una sua politica energetica credibile e di lungo periodo.
Sì, direi proprio di sì. Di questo Decreto ci piacciono gli obiettivi generali, la volontà di dare all’Italia una politica energetica, meglio di riaffermare alcuni poteri e alcune competenze necessari per dare al Paese una politica energetica. Importante anche l’attenzione posta su un uso più razionale dell’energia. Direi che è un valido completamento (più che un superamento) del precedente Decreto Bersani.

Qual è, invece, la posizione di Federelettrica sul decreto di recepimento della Direttiva europea sulle rinnovabili?
In linea di massima mi sembra che il decreto sia apprezzabile nei suoi contenuti di fondo. Ci preoccupa un po’ il problema dei rifiuti. Non abbiamo capito perché si faccia riferimento solo ai rifiuti biodegradabili e non a tutti. Il difetto, va detto, è in origine, nella stessa Direttiva, non ha a che vedere con il recepimento italiano. Forse hanno prevalso le forti lobby dei possessori di discariche. Altro punto da verificare, come saranno considerati i vari tipi di cogenerazione. Per noi la scelta ottimale sarebbe quella di abbinare cogenerazione a teleriscaldamento. Per il momento, al riguardo, ci sono ancora poche certezze.

Qualche tempo fa, prima ancora di parlare della transizione da Federelettrica a Federenergia qualcuno aveva ventilato l’ipotesi di un “matrimonio” con Assoeletrica, per creare un unico soggetto forte nel settore energia. Cosa può dirci al riguardo?
Allo stato attuale la cosa non esiste e stiamo bene all’interno di Confservizi. Come sviluppo eventuale, in un futuro prossimo, vedo piuttosto la costituzione di due soggetti: una associazione per la produzione (che potrebbe essere ricondotta ad Assoelettrica) e una per la distribuzione, nella quale potrebbero confluire tutti i soggetti oggi interessati a questo aspetto. Per il momento, però, sono solo ipotesi futuribili, senza un reale fondamento. Quanto al passaggio da Federelettrica a Federenergia, che si concretizza il 1° gennaio, segna un vero e proprio cambio di strategia e non una semplice variazione di nome. Abbiamo rilevato che le strade dell’energia elettrica e del gas tendono ormai a sovrapporsi e sempre più lo faranno in futuro, abbiamo capito – dopo una dettagliata analisi del settore – che andavano considerate assieme, e così si è concretizzato il cambiamento; in prima battuta ciò significa associare tutte le imprese che operano anche nel settore gas. Questo dovrebbe valorizzare il concetto di multiutility.

A questo proposito, un tempo si parlava di municipalizzate, poi di aziende di servizio locali, poi di multiutility. Quale definizione darebbe oggi di questi soggetti? Ha ancora senso considerarli operatori locali quando alle spalle hanno gruppi multinazionali spesso stranieri?
La vera natura di questi soggetti, a prescindere dagli assetti proprietari resta il rapporto con il territorio in ambito locale. Snaturare questo legame sarebbe un errore perché vorrebbe dire perdere il vero valore; lo sanno bene anche i soci stranieri. La stessa Enel sta tentando di attuare qualcosa di simile, sia pure con risultati a mio parere modesti.

Si è parlato prima di multiutility come di un legame ideale energia + gas. Molte aziende però si sono spinte oltre proponendo vari altri servizi. Salvo poi fare (in parte) dietro front. Che cosa è stato, un errore, una necessità, un tentativo...
Partiamo da una premessa. Il concetto di multiutility è una innovazione attuata dalle imprese municipalizzate elettriche dopo la nazionalizzazione per dare maggiore valore al contenuto industriale della propria impresa. Da questo punto di vista è stata una necessità. Va poi considerato il ruolo dei Comuni. Avendo a disposizione in “casa” una realtà valida, impegnata sul settore energia, hanno pensato di affidarle anche altri compiti, non necessariamente legati al core business, come ad esempio la gestione dei parcheggi. In molti casi espandere il core business non è stato dunque un desiderata delle aziende. Diverso il discorso, nello specifico, per la telefonia e i rifiuti. I rifiuti, infatti, possono entrare nel ciclo energetico. La telefonia è stata, invece, per molti versi una moda, sembrava il toccasana, ma al momento si è rivelata una scelta avventata. In futuro si vedrà.

A proposito di futuro, come vede il settore dell’energia tra cinque anni?
Sono abbastanza ottimista. Se non saranno cinque, potrebbero essere sette, ma credo che tutte le situazioni oggi in sospeso dovranno sistemarsi. Sarà la forza delle cose – forse più della capacità di decisione delle persone – ad operare il cambiamento. Il bisogno di energia sarà tale da imporre delle scelte e da portare, finalmente, quella chiarezza che oggi manca.

Per quella data il sistema energetico italiano sarà ancora più dipendente dall’estero o, in prospettiva, anche le ex municipalizzate nostrane potranno giocare un ruolo sul mercato europeo?
Vedo delle discrete possibilità di affermazione all’estero per i principali operatori italiani. Già oggi, d’altra parte Acea e Aem Milano, per fare due nomi, sono già andati oltre confine.

E sulla Borsa?
Siamo favorevolissimi, vorremmo che entrasse in funzione nel più breve tempo possibile. Con le cautele del caso, però. Penso che sia necessario prevedere un organismo in linea con la Consob per il mercato azionario, anche per evitare scenari simili a quelli successi in California. Ovvero dei meccanismi di intervento qualora i prezzi superino determinati livelli verso l’alto o verso il basso.