La spinosa questione dei servizi pubblici così poco privati

di G.B. Zorzoli

Il 5 novembre 2003 Il Sole-24 Ore ha dedicato una pagina interna al debito pubblico locale, che stranamente è passata in pratica sotto silenzio. Eppure l’incipit dell’apertura avrebbe meritato titoli di prima pagina. In controtendenza con il debito pubblico italiano, “il debito degli enti territoriali è salito rispetto al Pil nazionale. Lo stock dell’esposizione debitoria di Comuni, Regioni e Province orbiterebbe intorno ai 120 miliardi di euro, pari al 9,5% del prodotto interno nazionale”.
Questo trend poco virtuoso non solo non incontra ostacoli autentici a livello centrale (nel servizio più sopra citato si ricorda che il “Patto di stabilità interno non pone vincoli con obblighi di ferro sul rapporto debito/Pil come sul contenimento del disavanzo tra entrate correnti e spese correnti”), ma negli ultimi anni ogni qual volta si è messo mano alla questione delle aziende dei servizi pubblici locali (Aspl) sono state introdotte regole a favore del loro mantenimento in mano pubblica. Così è stato con il famigerato articolo 35 della Finanziaria 2002 che, ad esempio:

  • vietava agli enti locali di cedere la proprietà degli impianti e delle reti destinati all’esercizio di servizi pubblici, con l’effetto aggiuntivo di creare una divisione fra proprietà e gestione della rete, che, nel caso della trasmissione elettrica, lo stesso governo è orientato a superare;
  • in alternativa alla procedura di gara, consentiva la gestione delle reti per affidamento diretto a società con partecipazione maggioritaria degli enti locali;
  •  in alternativa alle procedure in essere, consentiva di affidare il servizio idrico integrato a società di capitale partecipate unicamente da enti locali.

Si è indubbiamente trattato di un passo indietro rispetto al disegno di legge in materia discusso nel corso della precedente legislatura, che Bruxelles ha giudicato in contrasto con le direttive europee in materia. La risposta a queste obiezioni è venuta con l’articolo 14 del decretone omnibus collegato alla Finanziaria 2004, che prevede tre modelli per la gestione delle Aspl: concessione a privati selezionati mediante gara pubblica; affidamento diretto a società mista con il socio privato scelto mediante gara; affidamento diretto a una Spa interamente pubblica controllata dall’ente locale. Facile immaginare quale delle tre soluzioni sarà preferita dal potere politico locale…
Inoltre, nel decretone è stato introdotto un altro elemento peggiorativo: la possibilità di spostare da fine 2006 a fine 2008 o 2009 il periodo transitorio entro cui si possono mantenere le attuali gestioni (mentre sempre Bruxelles aveva chiesto una riduzione del periodo transitorio).
Pienamente giustificate, quindi, le critiche della Confindustria e di alcune forze politiche (Udc, An, Margherita) e la titolazione dell’editoriale del Corriere della Sera del 29 ottobre 2003: “Il Neosocialismo municipale”. Editoriale che conclude così: “Lo spostamento del baricentro e l’allargamento della sfera pubblica locale, dunque, non solo sono contrari agli indirizzi comunitari ma vengono in un momento di passaggio particolarmente delicato di Comuni e Province”. In altri termini, invece di dismettere assets che, a parte altre considerazioni, contribuirebbero a ridurre una posizione debitoria degli enti locali ormai a rischio di perdita di controllo, si persegue in una politica non solo di conservazione dei tradizionali centri di potere, ma addirittura di espansione dei medesimi, come sta avvenendo per molte Aspl nei settori più dinamici: elettricità, gas, acqua.
La loro trasformazione in Spa ha infatti fornito lo strumento giuridico e operativo atto ad allargarne la sfera d’azione anche al di là dell’ambito municipale, mediante acquisizioni, fusioni, joint-venture, partecipazioni azionarie. A questa trasformazione non ha però corrisposto un effettivo passaggio da controllo pubblico a proprietà privata. Nel 1955 erano soltanto 22 le società di capitale che gestivano i servizi pubblici locali, mentre nel luglio 2003 le Spa erano 640, ma per il 66% sono interamente possedute dagli enti locali, per il 30% sono a maggioranza pubblica e solo il 4% è a maggioranza privata. Inoltre, quasi sempre il contributo del capitale privato non è solo di minoranza, ma anche condizionato da clausole che ne parcellizzano la presenza in modo da impedirgli di esercitare ogni forma di controllo - per cui non di privatizzazione si tratta, bensì di finanziamento privato a imprese pubbliche.
Per converso, nei settori più rimunerativi, gas ed elettricità, possiamo a buon diritto parlare di un strategia offensiva da parte delle Aspl trasformate in Spa, che in poco tempo ha modificato in misura significativa il panorama energetico italiano.
Messo da parte il troppo ambizioso tentativo di acquistare insieme una delle tre Genco, Aem di Milano e Torino hanno acquisito una partecipazione di minoranza in Edipower, mentre Acea partecipa insieme a Electrabel all’azionariato di Tirreno Power. Inoltre Asm di Brescia è socio di minoranza in Endesa Italia. In parallelo le più grandi Aspl operanti nel settore elettrico si sono avvalse di quanto previsto dal decreto Bersani per acquistare da Enel la sua quota della distribuzione nelle aree urbane, operazione che, una volta ultimata, ne raddoppierà l’energia elettrica distribuita. Ancora più significativa è la rete di aggregazioni e alleanze, nei tradizionali settori di erogazione di gas, energia elettrica, acqua.
Emblematico è il caso di Hera, l’azienda multiservizi di Bologna e della Romagna, un colosso da oltre mille milioni di euro e circa 350 milioni di fatturato, con il 56% del capitale in mano a 150 Comuni, che copre un territorio di 2.777 chilometri quadrati, con una popolazione servita di 781.165 unità, 3.103 km di rete gas e 349.056 clienti, cui vengono distribuiti 722,3 milioni di metri cubi di gas, 6.417 km di rete acqua e 130.510 clienti cui vengono distribuiti 71,7 milioni di metri cubi di acqua potabile, mentre ne vengono depurati 60,4 milioni. Completano l’elenco delle attività, l’energia termica (146,8 GWh) e quella elettrica (84,9 GWh), i rifiuti conferiti (417.323 t) e quelli termoutilizzati (138.850 t). Sempre in Emilia Romagna, pur con qualche problema ancora irrisolto, a Hera si sta contrapponendo una seconda aggregazione di Aspl, che copre la zona centro-occidentale della Regione, e di cui faranno parte Amps di Parma, Meta di Modena, Agac di Reggio Emilia, Tesa di Piacenza. La somma dei loro fatturati si aggira intorno agli 880 milioni di euro e, solo per restare ai più importanti servizi che attualmente erogano, insieme forniscono 1 miliardo e cento milioni di metri cubi di gas a circa 440.000 utenti, 110 milioni di metri cubi di acqua a 517.000 utenti, 150 milioni di kWh a circa 130.000 utenti. Ma la loro aggregazione avrebbe presenze importanti anche nella vendita di calore, nella gestione dei rifiuti (675.000 tonnellate), nella depurazione delle acque, nei servizi fognari, nell’illuminazione pubblica. Sotto il profilo numerico una realtà ancora più grande di Hera.
Il Triveneto non è da meno. La fusione fra Acegas di Trieste e Aos di Padova dà vita a un’azienda da quasi mezzo miliardo di euro, presente nella produzione e distribuzione di energia elettrica, di acqua e di gas, che secondo le previsioni di molti dovrebbe essere il nucleo di attrazione per altre Aspl del Triveneto, ponendosi così allo stesso livello delle grandi del settore.
Molto attiva anche Asm di Brescia, che sta facendo shopping a largo raggio, con una particolare attenzione al limitrofo bergamasco, mentre nella bassa lombarda Aem di Cremona, Astem di Lodi, Asm di Pavia e Tea di Mantova, che si occupano di servizi pubblici locali (ciclo integrale dell’acqua, gas, teleriscaldamento, ciclo integrale rifiuti, trasporti, energia elettrica, ecc.) hanno dato vita a Linea Group, operativa dal 1° gennaio 2003, che si occupa della vendita del gas. L’obiettivo è quello di sviluppare un’azienda in grado di mantenere un forte radicamento sul territorio e allo stesso tempo di possedere dimensioni tali da assicurare alla clientela il miglior rapporto prezzo/qualità e una reale capacità di competere nei mercati ormai liberalizzati. Linea Group attualmente conta circa 150 mila clienti nelle province di Cremona, Lodi, Mantova e Pavia.
Non è soltanto il Nord a muoversi. Con la nascita di Toscana Gas che mette insieme Ages di Pisa e Publienergia di Empoli e Pistoia, si sta formando un grosso polo per la distribuzione del gas. Nella neonata società sono presenti per il 53% i comuni di Pisa, Empoli e Pistoia, per il 46% Italgas e Acea, per l’1% banche, ma è già prevista l’aggregazione della Fiorentina Gas, oggi controllata al 51,9% da Italgas e Snam e al 48,1% dal Comune di Firenze. Così gli attuali 153 milioni di fatturato, 430 milioni di metri cubi di gas e 230.000 utenti di Toscana Gas verranno più che raddoppiati con i 543 milioni di metri cubi venduti a 296.000 utenti di Fiorentina Gas.
Per quanto concerne in particolare il settore dell’acqua, va infine ricordato che il decretone omnibus ha messo la parola fine al già travagliato iter della legge Galli, cancellando l’obbligo di gara prevista da quest’ultima, e rafforzando quindi la presenza delle società controllate da capitale pubblico. La classifica attuale, compilata sulla base del numero di utenti serviti, vede fra i big ten ben otto imprese pubbliche, con in testa Acea che da sola, tenendo conto anche delle società liguri De Ferrari Galliera e Nicolay da essa controllata, ha un numero di utenti grosso modo uguale a quello dei due unici privati presenti fra i big ten: Vivendi e Saur International.
Più in generale, le oltre 400 imprese associate a Federgasacqua riforniscono di acqua oltre il 63% della popolazione italiana e distribuiscono circa il 36% del gas per usi civili utilizzato nel nostro Paese, mentre le 122 imprese associate a Federelettrica producono 13 miliardi di kWh e ne distribuiscono più di 24 miliardi, oltre tutto concentrati nelle aree urbane più redditizie.
Non siamo insomma davanti a una presenza residuale delle Aspl, bensì a una realtà robusta, che cresce anche qualitativamente, dando vita a imprese di dimensioni ed estensioni territoriali di tutto rispetto, secondo una dinamica che sembra ben lungi dall’essersi esaurita.  Agli albori del XX secolo l’area riformista del socialismo italiano puntava alla conquista elettorale dei Comuni, con l’obiettivo di costruire in tal modo ‘dal basso’ una società socialista. La storia li ha smentiti. Non è detto però che l’odierna riscossa del pubblico nei servizi locali abbia la stessa sorte, visto che, contrariamente a inizio ‘900, lungi dall’essere avversata, essa trova ampio supporto nella legislazione varata a livello nazionale. Questo, a dispetto degli indirizzi europei favorevoli alla divisione netta fra le funzioni di regolazione e controllo (riservate agli enti locali) e la gestione delle Aspl (da affidare ai privati in contesti competitivi).  Non stupiamoci quindi se in futuro Bruxelles alle semplici tirate d’orecchio sostituirà azioni più pesanti (e imbarazzanti), alzando verso l’Italia un altro cartellino giallo.