Il nuovo dilatato oltre i limiti del ragionevole

di Dario Cozzi


Che sia asfalto o acciaio, cemento o alluminio, poco sembra cambiare. In Italia la realizzazione di una nuova infrastruttura sembra inevitabilmente dilatare oltre il ragionevole i tempi preventivati (non solo dai promotori dell’opera, ma dalle stesse normative vigenti). Situazioni al limite del surreale, che fanno pensare ai celebri Orologi molli di Salvador Dalì.
Nuova Energia aveva già affrontato il tema, relativamente alla costruzione di una autostrada (numero 5-2008, pagina 48 – Quanto è difficile rispettare i tempi). Ora torna sull’argomento poiché anche l’adeguamento della rete elettrica nazionale non sembra essere immune dal problema.

Secondo l’esperienza di Terna, negli ultimi anni i tempi - comprensivi della fase di concertazione con gli Enti locali - necessari per ottenere l’autorizzazione alla realizzazione di impianti di sviluppo della rete elettrica (linee e stazioni) hanno in media superato di 4 volte il tempo effettivo di realizzazione dell’opera stessa. Come a dire, per un mese di cantiere quattro mesi di scartoffie. Notoriamente le difficoltà sono di due tipi: complessità delle procedure autorizzative, derivante dal necessario coordinamento tra istituzioni e dal bisogno di tenere conto delle diverse esigenze economiche, ambientali, territoriali e sociali nei processi di localizzazione; diffusa opposizione, a livello locale.
Meno noto è – probabilmente – il costo diretto e indiretto di questi ritardi. “Attualmente il valore delle opere ferme a causa dei blocchi della pubblica amministrazione ammonta a circa 1,5 miliardi di euro”, si apprende da Terna. Che aggiunge: “Il ritardo nel completamento degli iter autorizzativi e nel conseguente avvio dei cantieri ha riflessi negativi anche sul comparto dei servizi e dell’industria: le imprese e le aziende che potrebbero essere coinvolte nella realizzazione delle opere programmate sono infatti circa 130, per una forza lavoro potenziale di quasi 1.500 risorse umane”.

La questione non è purtroppo nuova. Nel Guinness dei primati (in negativo) spicca il caso della Matera-Santa Sofia, che la dice lunga su come il problema possa raggiungere livelli degni del teatro dell’assurdo. L’opera in questione è la linea a 380 kV che oggi collega la Puglia (regione italiana con la maggiore eccedenza produttiva rispetto ai consumi di kWh) con la Campania (che soffre di una situazione opposta). Il primato di cui può andare giustamente orgogliosa è il fatto di essere la linea elettrica ad alta tensione più lunga d’Italia (218 chilometri complessivi, 42 i Comuni interessati, anche in Basilicata). Quello, invece, da tenere celato sotto il tappeto riguarda – come detto – i tempi che sono stati necessari dal progetto di massima all’entrata in regolare esercizio.

L’autorizzazione risale infatti al 1992, dopo un iter che si era già preso i suoi bei cinque anni di tempo. Nel 1993 partono i lavori, ma già nel 1995, proprio a causa dell’opposizione di 3 Comuni della Basilicata, i lavori vengono interrotti praticamente in vista del traguardo (mancavano solo 7 chilometri, oltre il 90 per cento della linea era stato già costruito). Tutto si blocca; addirittura per 10 anni. Nel 2005 i tecnici e i progettisti di Terna trovano finalmente una soluzione: una variante del percorso che aggira i Comuni contrari e coinvolge unicamente terreni a vocazione agricola, minimizzando così l’impatto ambientale sui punti sensibili del precedente tracciato. Il 2 dicembre 2005 il Cipe dà il via libera alla costruzione del tratto finale dell’elettrodotto. Al posto dei 7 chilometri inizialmente mancanti, ne vengono costruiti 26 e smantellati 15 del vecchio tracciato. Il 31 gennaio 2007 segna l’entrata in esercizio dell’opera. “Uno dei capitoli più lunghi e complessi dello sviluppo delle infrastrutture nel nostro Paese”, ammettono gli stessi esperti di Terna. Ma non sempre la storia è preziosa maestra di vita. Ad oggi, infatti, sono ben 6 le opere di ammodernamento elettrico del Paese, per varie ragioni bloccate.