Nel decreto anti-crisi poca energia mentale

di Giuseppe Gatti


I 25 lettori di questa rubrica (dopo Manzoni nessuno può aspirare ad averne di più) conoscono le mie critiche al sistema del marginal price e la mia preferenza per il pay as bid come meccanismo di formazione dei prezzi sulla Borsa elettrica e parimenti sanno che ho sempre ritenuto inappropriata la formulazione del prezzo in funzione del singolo impianto, ritenendo che le offerte dovrebbero essere avanzate su base societaria, cioè che ogni operatore debba offrire la propria energia ad un certo prezzo, come avviene sul mercato dei bilaterali, a prescindere dall’impianto di generazione. Le ragioni di questa opzione sono riconducibili essenzialmente al fatto che il pay as bid e un unico prezzo per operatore, costringono tutti i player a venire allo scoperto e non consentono artificiose combinazioni nella scelta degli impianti per sostenere i prezzi. In altre parole, con il pay as bid non sono possibili offerte a prezzo zero, per essere sicuri di essere ammessi al dispacciamento, sapendo che ci penserà comunque Enel ad assicurare un prezzo remunerativo.

Così come il superamento del merit order per impianto, passando ad un merit order per operatore introduce un forte stimolo competitivo, perché per ogni produttore vi è il rischio di essere tagliato fuori dal mercato, con tutta la produzione destinata alla Borsa. Qualcuno di questi 25 lettori mi riterrà quindi particolarmente soddisfatto nel vedere queste proposte finalmente accolte e introdotte nella regolamentazione del mercato elettrico, con l’articolo 3 del decreto legge del 28 novembre 2008 (il decreto anti-crisi, per intenderci), se questo verrà convertito in legge nei successivi 60 giorni, come può considerarsi abbastanza certo per le sue basi politiche, l’asse Tremonti-Lega.

Il testo complessivo del decreto legge 185/2008 è però tale da cancellare ogni soddisfazione: le poche misure positive che vi sono inserite sono mal formulate e ampiamente superate dalla congerie di norme, che ripropongono uno stantio armamentario di controllo dei prezzi che credevamo aver definitivamente lasciato alle nostre spalle almeno dalla metà degli anni ‘90. Il sovrano disprezzo di Tremonti per il mercato, unito al rozzo populismo della Lega hanno prodotto un testo esemplare nel superare ogni regolazione “ragionata”, per tagliare con l’accetta problemi complessi, di cui si trascurano completamente le basi tecniche. Questo vale per il mercato di Borsa, per il quale il ministro Calderoli ha fatto circolare ipotesi quantitative miracolistiche quanto prive di ogni fondamento: promettere una riduzione dei prezzi sull’IPEX del 42 per cento non sta né in cielo, né in terra. Il pay as bid crea un ambiente più competitivo del marginal price e riduce gli spazi di collusione implicita, ma gli effetti immediati sui prezzi non possono essere stravolgenti. Vale altrettanto per le altre due questioni affrontate (tralasciamo l’assistenzialismo spicciolo della fascia sociale per il gas), i servizi di dispacciamento e la zonizzazione, entrambi problemi reali, che però richiedevano interventi meditati. Invece, con estrema disinvoltura, per il Mercato del Servizio di Dispacciamento (MSD) si finisce in un’arbitraria e dirigistica determinazione dei prezzi, con il generico criterio di “assicurare la minimizzazione degli oneri per il sistema ed un’equa copertura dei costi dei produttori”. Un bel tuffo nel socialismo reale, con tanto di prezzi amministrati.

Quanto alla zonizzazione, anche qui si decide ex abrupto che non devono esserci più di tre macro-zone e che l’Autorità deve provvedere al riguardo. È troppo chiedere di sapere sulla base di quali analisi si è giunti a questo risultato? Questo non è governo dell’economia, ma prevaricazione del potere politico che senza alcun processo di costruzione partecipata di un nuovo sistema, decide a proprio arbitrio, travolgendo ogni criterio di regolazione, sostituendosi agli organi tecnici e svuotando di fatto l’Autorità del suo ruolo di princeps della regolazione. Non ci si faccia ingannare dal continuo rimando a funzioni esecutive affidate all’Autorità, che in realtà è ridotta ad un ruolo di polizia che potremmo definire energetica- annonaria. Sulla scia della Robin Hood Tax, all’Autorità si chiede un “particolare monitoraggio” (anche la semantica ha il suo peso e si noti allora l’enfasi, che copre l’inconsistenza del messaggio: monitoraggio non era sufficiente? e in cosa si differenzia un monitoraggio particolare da uno normale?) sull’andamento dei prezzi dell’energia elettrica e del gas “avendo riguardo alla diminuzione del prezzo dei prodotti petroliferi”. Il vezzo di Tremonti, additare la speculazione come origine di tutti i mali, è supportato da Calderoli che fa circolare un documento in cui si mettono a confronto, sovrapponendole, le curve del PUN e del Brent, per mostrare come il PUN non sia sceso quanto il Brent.

Si trascura però completamente, non sappiamo se strumentalmente o per ignoranza (e non sapremmo dire cosa sia peggio), il lag temporale che intercorre tra il formarsi del prezzo del Brent e i prezzi del gas. Basta interporre un intervallo di tre mesi tra le due curve e si vede come esse siano assolutamente corrispondenti e come non serva alcun monitoraggio, né normale né particolare, per cogliere gli effetti delle variazioni del combustibile sui prezzi dell’energia. Lisciare il pelo alla piazza, rilanciando i più vieti luoghi comuni su petrolio, petrolieri et similia, è demagogia pura, ma serve a dare una base di consenso e rende più difficile la comunicazione della critica. Che si facciano poi illudere sugli effetti di questo blitz non pochi e non secondari esponenti di Confindustria, conferma soltanto la scarsa capacità di discernimento di non piccola parte dell’imprenditoria italiana.