Bergamini: "La cogenerazione è stata promossa, da bocciare i tempi"
di Marta Sacchi


Grazie alla Comunità Europea, il sentiero della cogenerazione è da oggi un po’ meno in salita. Sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea del 21 febbraio 2004 è stata pubblicata la Delibera 2004/8/CE sulla promozione della cogenerazione basata su una domanda di calore utile nel mercato dell’energia. La delibera ha lo scopo di accrescere l’efficienza energetica e migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento creando, in ciascun Paese membro, un quadro per la promozione e lo sviluppo della cogenerazione. L’Unione Europea ha una forte dipendenza energetica dall’esterno. Si calcola che, perdurando le condizioni attuali, nel 2030 il 70% della domanda interna verrà soddisfatto con approvvigionamenti esterni. Già da diversi anni la Comunità ha individuato nella cogenerazione e nella generazione diffusa la principale priorità per assicurare un uso più efficiente delle fonti primarie d’energia, per una maggiore sicurezza nell’approvvigionamento energetico e, non meno importante, per una significativa riduzione dei gas a effetto serra.
La Commissione sullo sviluppo sostenibile ha sottolineato che l’uso di energia pulita e la riduzione dei consumi energetici attraverso interventi per migliorare l’efficienza, trovano nella cogenerazione una delle misure più efficaci. A fronte di queste chiare determinazioni, la realtà è che la cogenerazione è ancora poco utilizzata. Ne abbiamo parlato con Giorgio Bergamini, presidente di Cogena, Associazione che raccoglie l’esperienza delle principali aziende del settore e direttore della Divisione Energia di CPL Concordia, azienda da vent’anni leader nel settore della cogenerazione.

Finalmente la tanto attesa direttiva sulla promozione della cogenerazione. Come è stata accolta dal mondo degli operatori del settore?
La pubblicazione della Delibera 2004/8/CE è stata accolta con estrema soddisfazione dal mondo italiano della cogenerazione. Le considerazioni iniziali riassumono in modo chiaro e inconfutabile quello che da anni abbiamo sostenuto con l’entusiasmo di chi sa di avere uno strumento efficace per migliorare la vita a tutti noi ed alle generazioni future. L’intervento dell’Unione Europea lo ha sancito, sconfessando coloro che consideravano questa tecnologia inefficace sul piano dello sviluppo energetico e non economica su quello gestionale. Nello specifico panorama italiano, è il più autorevole monito a coloro i quali pensano di difendere rendite di posizione dominante di fronte al divario sempre più crescente tra domanda e offerta e tra i prezzi italiani e quelli europei di energia elettrica. Anche oltre oceano si è imboccata la strada di una sostanziale modifica del modo di produrre energia elettrica. Nel luglio 2001, il segretario all’Energia del Governo Bush, Spencer Abraham, nel discorso sul piano energetico nazionale ha dato l’avvio ad un sostanzioso programma di diffusione di piccole unità di generazione più efficienti, più affidabili, più economiche. È il concetto di generazione diffusa, non certo sostitutivo delle centrali, ma ad esse integrato.

Come accoglierà il sistema Italia gli obblighi dettati dalla Direttiva?
È da miopi considerare lo sviluppo della cogenerazione un obbligo; al contrario, per il nostro Paese privo di materie prime ma ricco di intelligenze, dovrebbe essere considerato una grande opportunità. L’ufficio studi di Cogena, sulla scorta dei dati forniti dal monitoraggio di alcune centinaia di impianti di piccola cogenerazione (inferiore ad 1 MWe), funzionanti da anni in Italia, ha stimato il mercato potenziale interno in oltre 10.000 MWe installabili con investimenti aventi pay-back inferiori ai quattro anni al netto di incentivazioni di qualsiasi natura. Cogliere questa opportunità significherebbe risparmiare 5,7 Mtep/anno, risparmiare 20,3 Mt di CO2/anno, promuovere investimenti privati per 8.000 M€, creare 20.000 nuovi posti di lavoro altamente qualificato. Vista l’esperienza passata non c’è da stare troppo allegri ma poi penso che alla fine dovranno prevalere il buon senso e le cose intelligenti (la direttiva in oggetto) per cui anche noi saremo tirati per la giacca ad un comportamento di tipo europeo.

In Italia si è cominciato a parlare di cogenerazione vent’anni fa. Oggi i principali marchi sono esteri. Perché?
È banale sostenere che un qualsiasi mercato, non solo quello della cogenerazione, ha bisogno di regole certe, trasparenti e stabili per svilupparsi. Questa regola elementare, ma così importante che la direttiva le dedica un intero articolo (ndr. Art. 9), in Italia sembra non trovare dimora. Anche oggi, grazie ad un decentramento amministrativo mal guidato, si assiste ad una proliferazione normativa, spesso contradditoria, che ha l’unico effetto di creare insicurezza nel mercato e negli operatori. Un esempio è la delibera della Giunta regionale della Lombardia che ha di fatto bloccato la diffusione della microcogenerazione imponendo limiti di emissione raggiungibili solo a fronte d’investimenti che rendono antieconomico l’intervento. Limiti che non hanno eguali in Europa. Altri casi si possono individuare nell’interpretazione delle circolari UTF, nell’esame del progetto ad opera dei Vigili del Fuoco, nell’autorizzazione delle Province; e se ne potrebbero citare molti altri. Senza paura di essere accusato di neostatalismo, ritengo che la stabilità di mercato necessaria allo sviluppo della cogenerazione richieda un intervento normativo certo e comune su tutto il territorio nazionale. La riduzione dei costi è figlia della standardizzazione: non è possibile continuare a navigare nel mercato dell’incertezza. Occorre infine una visione generale fuori dai particolarismi. Se ammettiamo che la cogenerazione ha un effetto positivo sull’ambiente, e la direttiva ci dà ragione, dobbiamo incentivare vie preferenziali alla sua diffusione. Il comma 1 b) dell’art. 9 è illuminante: occorre ridurre gli ostacoli di ordine regolamentare e di altro tipo all’aumento della cogenerazione. Alcune semplici deroghe e semplificazioni burocratiche, commisurate alla taglia degli impianti, catalizzerebbero il mercato. Cogenerare è una scelta forte che il sistema Paese deve fare propria; altrimenti tutto continua come prima. Se alla fine del cretaceo non cadeva il meteorite, forse sulla Terra ci sarebbero ancora i dinosauri, grossi, stupidi e freddi.

Qual è il punto della direttiva che la vede maggiormente d’accordo?
Sembra un paradosso ma è il titolo. In particolare la precisazione “… basata su una domanda di calore utile …” sancisce definitivamente che il cogeneratore è prima di tutto una macchina termica. In questi anni si sono viste aberrazioni del concetto di cogenerazione che hanno portato ad incentivare impianti aventi come scopo principale la produzione d’energia elettrica. Il recupero dell’energia termica veniva limitato al minimo, dissipandone una grande quantità.Anche la recente delibera dell’Autorità, pur introducendo il concetto di recupero termico con il parametro LT, non dà alla componente termica recuperata il giusto valore. Una delle cause più comuni di fallimento di un impianto di cogenerazione è il sovradimensionamento, sembra una contraddizione ma è così.

La direttiva apre la strada a diverse forme d’incentivazione. Qual è secondo lei la più efficace?
Da anni, ai diversi convegni ai quali sono invitato a parlare di cogenerazione, ripeto che “la cogenerazione è una tecnologia che non ha bisogno di sovvenzioni … si paga da sè”. Ribadisco questa affermazione. In questi anni abbiamo assistito al nascere e morire di diverse forme d’incentivazione. All’inizio fu la 308 a distribuire incentivi a fondo perduto secondo il criterio “tu installi io ti sovvenziono” indipendentemente dal risultato che era quello di produrre energia. L’effetto è stato quello di avere impianti dimensionati e realizzati più pensando all’incentivo che alla funzionalità. Un disastro. Poi è stata l’epoca della legge 10 e del CIP6 la cui filosofia era “tu installi, fai funzionare l’impianto e io ti sovvenziono”. Perfetto. Peccato che la sovvenzione era misurata sull’energia venduta e non su quella prodotta senza dare un limite alla potenza installata. Risultato è stato quello di spingere al sovradimensionamento degli impianti fino al punto di stravolgere completamente lo spirito della legge arrivando ad incentivare impianti che sono vere e proprie centrali di produzione da centinaia di MWe di potenza. Questo ha generato una crescita abnorme degli oneri di incentivazione e dopo appena due anni di operatività il CIP6 è stato abrogato. A mio parere non si può parlare di cogenerazione, quindi di autoproduzione, oltre una potenza di 20 MWe, sarebbe forse più corretto parlare di generazione elettrica con recupero di calore. Ecco perché noi operatori del settore riteniamo che tutte le forme d’incentivazione che si vorranno proporre non devono snaturare la prerogativa di risparmio insita nella cogenerazione. Devono essere di supporto alle aziende per migliorare la tecnologia ma sempre secondo le regole del mercato. È questa l’unica garanzia che il mercato rimarrà stabile dopo la graduale soppressione del sostegno pubblico, principio sancito alla considerazione punto 30 della direttiva.

Alcuni punti della direttiva che non condivide…
Sicuramente i tempi di sviluppo della direttiva. I primi risultati dell’azione degli Stati membri verrà valutata nel 2006, ultimo anno di recepimento della direttiva. Come ben sappiamo l’Italia non è certo ligia al rispetto dei tempi imposti dalla Comunità Europea. Ciò significa che fino al 2007-2008 non si muoverà niente. Se a questo aggiungiamo che gli eventuali decreti applicativi e regolamenti avranno bisogno di altro tempo, temo che duplicheremo quanto sta avvenendo per i titoli d’efficienza energetica: se ne parla da anni ma ancora non si vede la fine certa del tunnel. In questo modo l’azione propulsiva sulle imprese avverrà con almeno due anni in ritardo rispetto ai nostri partner europei: perderemo ancora una volta la possibilità di essere inseguiti e non inseguitori. Un altro appunto che si può fare riguarda il confronto con le tecnologie di produzione separata, che fa riferimento alle migliori tecnologie disponibili sul mercato. La realtà impiantistica dell’Italia (ma non solo) è ben diversa dalla migliore tecnologia. Soprattutto se si considerano i piccoli impianti tipici delle aree d’applicazione della piccola cogenerazione. Sarebbe logico calcolare il risparmio facendo riferimento ai valori della tecnologia più diffusa, migliorata di un valore che tenga conto degli adeguamenti che avverrebbero normalmente durante la vita utile dell’impianto.

In conclusione la direttiva è promossa o bocciata?
La direttiva ha indubbiamente recepito lo spirito che deve guidare lo sviluppo della cogenerazione. Tocca ora ai Paesi membri adeguarsi a questo modo di pensare. Per l’Italia il passo più importante è quello di eliminare buona parte della ridondante normativa esistente a favore di una legge quadro semplice, facilmente applicabile e, soprattutto, condivisa su tutto il territorio nazionale.