Dell'Elce: "Così vogliamo riordinare il settore con normative trasparenti"
di Paolo Gama

Facciamo il punto sulla situazione del Marzano…
Il Disegno di legge che porta la firma del Ministro Marzano sta terminando l’iter parlamentare. Come noto lo scorso anno il testo è stato approvato dalla Camera dei Deputati; successivamente è passato al Senato dove la Commissione Industria ha varato il testo per l’aula; nelle prossime settimane inizierà il dibattito che contiamo di terminare in breve tempo, in modo che dopo un nuovo passaggio, alla Camera il Ddl diventi legge.

In tema di liberalizzazione alcuni hanno parlato di un “equivoco”. In realtà ci sarebbe stata più privatizzazione che reale apertura...
Liberalizzazione e privatizzazione vanno di pari passo. Nel settore energetico il Governo ha ereditato una serie di “semi-lavorati”, di provvedimenti parziali e a volte sbagliati che hanno avuto l’unico merito di superare il regime monopolistico di Enel e Eni e di iniziare una nuova epoca. Vero è, però, che per il modo con cui si è operato, si è andati incontro a una situazione difficilmente governabile. Penso al rapporto fra le diverse istituzioni pubbliche centrali, le cui competenze più volte sono risultate sovrapposte. Penso, anche, al rapporto fra i poteri pubblici romani e quelli locali, non improntato in base a una chiara ripartizione di responsabilità. È emersa chiaramente quindi la necessità di un corposo intervento per “riordinare” il settore con una normativa che apra davvero le porte a nuovi operatori, sia pubblici che privati, e dia a tutti regole trasparenti di comportamento.

Forse, per parlare a pieno titolo di liberalizzazione, ci occorrerebbe prima di tutto più energia da scambiare…
Sono d’accordo. Ma aggiungo che la domanda non avrebbe ragion d’essere se nell’ultimo ventennio i governi che si sono succeduti avessero favorito un adeguamento del parco produttivo a fronte dell’aumento crescente di energia. Anche in periodi di fatto recessivi l’incremento annuale di energia elettrica è stato sempre pari al 3 per cento. Non c’è da meravigliarsi che questa domanda crescente sia stata soddisfatta con sempre maggior fatica. Anche perché la disponibilità di impianti è stata costante come numero, ma calante in termini di efficienza per la vetustà delle nostre centrali. Anche utilizzando al massimo gli elettrodotti di collegamento tra il nostro sistema elettrico e quello europeo ci siamo trovati negli ultimi anni in una situazione difficile da gestire, spesso al limite.

Lei non si è quindi meravigliato per il blackout del 2003. Proviamo, però, a guardare avanti: possiamo considerare quell’evento un caso isolato?
Il nostro sistema elettrico dipende per il 17 per cento dall’estero; stiamo comunque cercando di incrementare la possibilità di importare energia con due nuove infrastrutture, una con la Svizzera per ulteriori 1.500 MW (tramite l’elettrodotto San Fiorano/Robbia), e una con la Grecia per 500 MW (tramite l’elettrodotto Matera/Santa Sofia). Si tratta di due opere che erano rimaste bloccate per 9 anni nelle ragnatele burocratiche dell’amministrazione pubblica e che ora stanno per essere approvate definitivamente grazie ad un paziente lavoro di concertazione che ho voluto guidare personalmente. Procedendo così aumenteremo la nostra capacità di importazione di circa il 30 per cento. Tuttavia non possiamo dire che il rischio di blackout sarà a quel punto scongiurato per sempre. È in questa ottica che nello scorso autunno abbiamo approvato la legge così detta “salva centrali”. Con questo provvedimento, in talune condizioni di particolare congiuntura elettrica, abbiamo consentito di far fare alle centrali una sorta di “fuori giri”, cioè di sovrapproduzione, proprio in quelle ore dell’anno in cui la domanda di energia elettrica è superiore all’offerta.

Forse bisognerebbe definire una volta per tutte la questione di fondo: all’Italia servono nuove centrali? Qual è la posizione del governo al riguardo?
Fra i primi provvedimenti del nostro Governo figura una legge nota con un nome simile al precedente: si tratta della legge “sblocca centrali”. Con questa iniziativa il Governo ha inteso concentrare nel ministero delle Attività produttive la regia dell’intero iter autorizzativo necessario per aprire i cantieri di ogni nuova centrale; si è voluto inoltre dare agli operatori tempi certi per ottenere una risposta definitiva. Tali tempi sono stati definiti in 180 giorni e dopo più di un anno di lavoro possiamo confermare quanto più volte annunciato, ovvero che oltre 12.000 nuovi MW hanno ottenuto i permessi di costruzione.

A questo punto sembra restare ancora uno scoglio: quello del settore finanziario. Cosa intende fare il governo su questo fronte?
La domanda è molto pertinente poiché se andiamo a verificare lo stato d’avanzamento delle centrali a cui prima mi riferivo scopriamo che purtroppo poche hanno già avviato i lavori; il motivo sta appunto nelle difficoltà finanziarie che il settore energetico incontra. Le banche infatti ritengono che questo tipo di business sia profittevole a condizione che vi sia trasparenza nel mercato e certezza nella fase costruttiva. Sul primo aspetto già dall’inizio di questo anno abbiamo fatto partire la Borsa dell’energia. È ancora in un regime sperimentale, ma almeno siamo partiti. Sul secondo aspetto gli interventi possono essere solo di natura preventiva. Si tratta cioè di diffondere una cultura “energetica” che disinneschi all’origine quel facile populismo strumentalizzato a fini politici dai finti difensori dell’ambiente e della salute. Mi riferisco quindi ad un coraggioso programma di massa per l’educazione al valore e all’utilità dell’energia che il Governo promuoverà grazie alle disposizioni contenute nel disegno di legge Marzano.

Torniamo alla Borsa elettrica. Qual’è il suo giudizio sulle prime settimane di vita?
Dopo i primi quindici giorni in cui i risultati sono stati problematici a causa di difficoltà tecniche e per una certa indolenza con cui i produttori hanno partecipato alle prove in bianco delle transazioni in Borsa, le cose si sono sistemate bene e ora i tre mercati gestiti dal GME e dal GRTN si chiudono positivamente, consentendo un dispacciamento di merito economico, come era nelle nostre aspettative.

Veniamo al Titolo V della Costituzione. È vero che oggi si è troppo poco centralisti e questo potrebbe accrescere gli intralci e i blocchi?
Il disegno di legge Marzano ha disegnato il migliore equilibrio possibile fra competenze centrali e locali, testimoniato anche dalla collaborazione con cui Regioni, Province e Comuni hanno partecipato ai lavori preparatori della legge; non mi sembra quindi giustificato un allarmismo per questi specifici aspetti.

Quali sono oggi, in tema di energia, le competenze della Ue, dello Stato, delle Regioni e, infine, degli enti locali?
Il caso di Scanzano conferma quanto dicevamo prima; la morale di questa operazione sta tutta nella constatazione che senza un accordo reale con le comunità locali non si chiude nessuna iniziativa, né il piccolo impianto di cogenerazione, né la grande opera del deposito nazionale delle scorie nucleari. È per questo che, indipendentemente dai ruoli delle diverse Amministrazioni pubbliche, occorre portare il dibattito su questi temi fuori dalle strumentalizzazioni partitiche. Quindi, di nuovo, prima di tutto serve educazione e sensibilizzazione.

Quanto è importante per l’Italia il problema delle reti e delle interconnessioni? Anche per il settore gas si parla di una carenza infrastrutturale.
Le reti di interconnessione sono fondamentali per l’Italia nel settore elettrico, dove, come detto, importiamo il 17 per cento del nostro fabbisogno, e a maggior ragione nel caso del gas, dove l’importazione è pari al 78 per cento. È chiaro quindi che elettrodotti, metanodotti e/o terminali di rigassificazione di GPL sono di vitale importanza per garantire il regolare funzionamento del nostro Paese. Come già detto il Governo sta seguendo molto attentamente gli sviluppi dei nuovi elettrodotti; si sta inoltre implementando un nuovo metanodotto fra la Sicilia e le coste africane, e almeno un terminale di rigassificazione.

Veniamo alle rinnovabili: sembra che non tutte abbiano la stessa “dignità”. Insomma, si vogliono o no? E quali?
Tutte le rinnovabili sono indispensabili; il disegno di legge Marzano incrementa ulteriormente la quota obbligatoria di energia elettrica “verde” per una quota pari allo 0.3 per cento l’anno per 10 anni; è evidente che biomasse, acqua, vento, sole sono chiamate a dare il loro contributo, ciascuna fonte in modo proprio, in funzione delle caratteristiche socio-economiche, ambientali, paesaggistiche del territorio in cui ci si trova ad operare.

Cosa ci si aspetta dai Certificati Verdi dopo l’esperienza Cip 6?
Il CIP 6 fu un’operazione frutto di una vecchia cultura in cui tutta l’energia doveva essere regolamentata con prezzi amministrati centralmente. Il processo di liberalizzazione che questo Governo ha coraggiosamente accelerato promuove il mercato come soggetto regolatore; i certificati verdi prendono pertanto il posto delle tariffe CIP 6 che hanno suscitato tante polemiche per il loro valore in taluni casi molto elevato. Dalle aste regolarmente promosse dal GME negli ultimi mesi ci sembra di poter osservare che il nuovo regime si sta sostituendo al vecchio con soddisfazione di tutte le parti coinvolte.