di Cristina Corazza
Il presente articolo è stato realizzato da Cristina Corazza, autrice del libro La guerra del gas e ripropone alcuni passaggi fondamentali contenuti nel volume.
La prima “guerra del gas” scoppia il giorno di Natale del 2005 con l’ultimatum di Gazprom all’Ucraina: se non accetterà forti aumenti, scatterà l’embargo. Inizia così un conflitto di nuovo tipo, con ripercussioni immediate nel Vecchio Continente e soprattutto in Italia, costretta a razionare il gas per riscaldare le case.
Da allora, altre guerre per l'oro azzurro si ripetono in forme più o meno drammatiche: a combatterle sono gli zar del Cremlino, i signori del Caspio, gli ayatollah di Teheran, nuovi sceicchi che usano giacimenti e gasdotti per spostare a loro favore il baricentro del potere politico ed economico. È una lotta senza esclusione di colpi, un “Grande Gioco” del XXI Secolo, che intreccia la geopolitica con l’economia e vede in campo giganti assetati di energia, come la Cina e l’India.
Molti esperti affermano che quella del gas è forse la prima vera guerra della globalizzazione. Non combattuta con le ideologie né con i missili, ma con gli strumenti, per tanti versi altrettanto brutali ed efficaci, delle materie prime. Gli obiettivi sono sempre gli stessi: accrescere la propria forza contrattuale ed estendere l’area d’influenza. Giacimenti e tubi vengono usati come carri armati e missili per combattere senza spargimento di sangue, non per questo in modo meno pericoloso.
L’Economist, non a caso, ha rappresentato Vladimir Putin come un novello Al Capone che, in gessato scuro e cappello Borsalino, stringe fra le mani, come una pistola, una pompa di benzina. “Don't mess with Russia”: non litigate con la Russia, il lapidario commento. È vero che Mosca deve necessariamente vendere petrolio e gas per sostenere la propria economia; tuttavia il problema russo non è se vendere o non vendere, ma “a chi”, “come” e “a quanto vendere”.
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