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PAUSA-ENERGIA
 
La ricerca si impegna nella generazione sempre più sostenibile Stampa E-mail
di Fiorenzo Bregani

Oil & gas settore “fossile”? Sì, ma di sicuro non “fossilizzato”. Quando si ha a che fare con petrolio, gas naturale e carbone, la ricerca ha infatti un ruolo ancora fondamentale, e non solo per quanto riguarda le tecniche di prospezione o di estrazione o, in senso più lato, la “caccia” ai nuovi giacimenti. Ricerca significa anche innovazione dei processi di produzione elettrica con l’obiettivo di ridurre i costi, aumentare il rendimento e l’affidabilità, accrescere la competitività, minimizzare l’impatto ambientale della generazione.
E qui entrano in gioco numerosi operatori. Certamente i produttori di impianti (generatori di vapore, turbine, eccetera) che – per dirla in soldoni – puntano alla realizzazione di macchine in grado di lavorare meglio o di consumare meno per accrescere la propria quota di mercato, dunque gli utili aziendali. Oppure gli utilizzatori degli impianti, i produttori di energia elettrica, che in un mercato che veleggia – in un mare non privo di bonaccia – verso la liberalizzazione guardano primariamente a un aumento dell’efficienza per poter avere un kWh a costi più contenuti.

Ma anche la Ricerca di Sistema, finalizzata per decreto ministeriale a sviluppare il settore elettrico nazionale, con gli obiettivi primari di una crescita sostenibile, di una riduzione delle tariffe, del rispetto ambientale, della sicurezza di approvvigionamento.
Una ricerca anche orientata sul breve-medio periodo e sull’utente finale, dunque. Niente voli pindarici o azzardi da laboratorio di fisica pura: l’obiettivo non è quello di scoprire una nuova fonte per i nostri nipoti; ma di migliorare già domani mattina l’impiego delle fonti con le quali oggi, luglio 2004, abbiamo a che fare. Un traguardo più vicino (non necessariamente più facile) e concreto. Una “sfida” che ha nelle fonti dure l’interlocutore principale.
Le proiezioni a breve e medio termine confermano, infatti, che nella situazione italiana olio combustibile, gas naturale e carbone continueranno a coprire da un minimo del 70 fino all’80 per cento della produzione elettrica. È dunque sul termoelettrico che bisogna accendere i riflettori. In questo momento il mercato sta “imponendo” il gas, sta riducendo drasticamente gli spazi dell’olio combustibile, mostra qualche apertura nei confronti del carbone. Questa è la strada: dobbiamo renderla il più sostenibile possibile. Dobbiamo capire quali elementi possono facilitarne la percorrenza e contribuire a smussare eventuali dossi.

Partendo da un presupposto fondamentale: nel “braccio di ferro” tra le lobby (nel senso più nobile della parola) del carbone e quelle del gas naturale si rischia di creare un nuovo squilibrio nei mix di combustibili, in un Paese come l’Italia che sta cercando di uscire da una precedente anomalia (la nazione con la maggiore quota di mercato al mondo per l’olio combustibile). Quando sarebbe certamente meglio – per il sistema Italia – venire ad un accordo. Il gas vince già di suo; inutile farlo stravincere. In altre parole, non facciamo dell’Italia un Paese “a tutto gas”, in particolare stante la scelta di aver abbandonato di fatto lo sviluppo del nucleare.
Detto questo, va precisato che da un punto di vista ambientale esistono certamente margini di miglioramento, ma almeno le performance del parco di generazione italiano sono allineate con quelle europee. Dove invece siamo indietro – ed è più importante recuperare il terreno perduto – è l’efficienza e la vecchiaia degli impianti. L’Italia, purtroppo, mostra parecchi assurdi. Ad esempio il fatto di bruciare il gas naturale in caldaia quando la macchina più efficiente per questo tipo di combustibile è notoriamente la turbina a gas in impianto a ciclo combinato. Non si tratta di una differenza marginale, ma di un gap di efficienza anche di 15 punti percentuali. Quando in passato si decise di realizzare le cosiddette centrali multifuel (o policombustibili), si era infatti pensato all’alternativa olio combustibile/carbone. Il gas non era ancora salito agli onori della cronaca. Poi, i noti problemi di accettabilità sociale hanno in parecchi casi “imposto” il gas naturale anche in quegli impianti nati per il combustibile solido, e non gassoso. Naturalmente i nuovi impianti sono tutti a ciclo combinato ad alta efficienza; ma i conti in bolletta si fanno pure sui vecchi; è dunque necessario fare ricerca per migliorare, per quanto possibile anche le loro performance.
Ecco alcune motivazioni forti della ricerca. E soprattutto, ecco il perché di una ricerca che si affianchi e per certi versi si integri con quella già svolta dai produttori e dalle utilities; una ricerca finalizzata all’utente, concepita per difendere il consumatore; una ricerca i cui vantaggi siano diretti e immediati.

Giusto per fare un esempio: l’efficienza del ciclo combinato di Trino Vercellese, il primo realizzato in Italia, è pari a 52/53 per cento; sul mercato si trovano soluzioni da 55/56 per cento; il target delle nuove centrali in fase di realizzazione punta a un rendimento addirittura del 60 per cento. Otto punti di differenza sono un valore elevatissimo. Altro caso concreto. Nella centrale di Torrevaldaliga è dimostrato che con la tecnologia ultrasupercritica, con vapore a 620 gradi, si può avere un miglioramento di rendimento di 4/5 punti percentuali rispetto agli standard dei precedenti impianti a vapore italiani.
I due casi evidenziano come siano necessari valutazioni e studi approfonditi sugli aspetti tecnologici per evidenziare prima e superare poi le barriere che si frappongono all’affermazione degli impianti di nuova generazione.
Ruolo della Ricerca di Sistema, in definitiva, è quello di fare il “cane da guardia” delle varie tecnologie, dare indicazioni di massima sulle migliori soluzioni adottabili, sensibilizzare le utilities – fornendo studi indipendenti e scientificamente validati – sul fatto che anche in Italia è possibile produrre elettricità a costi minori degli attuali. L’obiettivo della Ricerca di Sistema non è, ad esempio, progettare e realizzare una nuova turbina o una nuova caldaia ma è, invece, segnalare i punti di forza delle tecnologie esistenti, evidenziandone le migliori condizioni di utilizzo e indicando come cogliere anche piccoli margini di miglioramento.

Vuole essere uno stimolo perché la filiera della generazione elettrica si orienti verso la tecnologia migliore, una volta che questa è stata verificata. Per essere concreta, naturalmente, la ricerca deve guardare anche alla tecnologia.
Va precisato che la ricerca nel settore elettrico non è un’esclusiva tutta italiana. In Francia, per esempio, viene condotta in prima persona da Edf (come faceva un tempo Enel negli anni del monopolio); negli Usa l’ente di riferimento è l’Epri, che viene finanziato pro quota dai produttori locali. Ci sono formule diverse, quindi, ma la spinta alla ricerca e all’innovazione anche sulla generazione è comune a tutti i sistemi elettrici avanzati.
L’Italia, da questo punto di vista, può vantare il pregio di una ricerca esplicitamente e chiaramente finalizzata all’utente finale. Naturalmente i benefici ricadono poi su tutta la filiera energetica: una soluzione più efficiente riduce i costi anche del produttore e quindi il beneficio non è circoscritto semplicemente al cittadino utente finale (il Cliente) che paga la bolletta. Ma è importante che il Cliente (con la C maiuscola!) sia indicato come il principale beneficiario. Questo anche per scongiurare la “tentazione” di avventurarsi in ricerche troppo astratte o futuribili. Meglio procedere a piccoli passi, che possono tuttavia essere percorsi già domani con risultati tangibili.


 
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