di Dario Giardi, Consulente Formez presso il ministero dell'Ambiente
Si è chiusa con un fallimento la XIII Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, tenutasi a Bali, che ha visto riuniti governi, esperti, scienziati, organizzazioni umanitarie e businessmen per discutere se dare o no seguito al Protocollo di Kyoto, in scadenza nel 2012. Visto il fallimento dell’ormai vetusto Protocollo, il fragile e debole compromesso raggiunto a Bali sembra legare inesorabilmente mani e piedi al nascituro fratellino: il Kyoto Due. Ma veniamo ai fatti…
La comunità internazionale ha lanciato a Bali, tra incomprensibili applausi, i negoziati sul futuro sistema di lotta contro il riscaldamento climatico. Dopo stancanti maratone notturne e uno sviluppo melodrammatico del negoziato, la Conferenza sul clima ha formalmente partorito una semplice e scontata road map. Tale road map prevede che il processo dei negoziati sul seguito da dare al protocollo di Kyoto dovrà iniziare prima possibile e non più tardi dell’aprile 2008 - dal momento che la prima fase del protocollo di Kyoto si esaurirà nel 2012 - per concludersi in occasione del prossimo vertice di Copenhagen fissato nel 2009. Considerando le grandi aspettative che avevano accompagnato il vertice di Bali, non sembra che si possa parlare di un successo. Non c’è stato infatti un accordo sui nuovi vincoli per contrastare il riscaldamento globale, bensì un rinvio a un altro vertice. Prima di cinque anni, in sostanza, non succederà niente di importante. Da Bali, però, possono trarsi due utili lezioni.
" DA BALI, PERÒ, POSSONO TRARSI DUE UTILI LEZIONI.
LA PRIMA É CHE IL PROTOCOLLO DI KYOTO É FALLITO."
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La prima è che il Protocollo di Kyoto è fallito. Del resto non è una novità. Basterebbe osservare che il suo unico effetto, anche se fosse stato applicato fino in fondo, sarebbe stato la riduzione, a costi elevatissimi, dell’un per cento delle emissioni. Il che significa ritrovarci con la stessa situazione che si voleva evitare dopo 101 anni… invece che dopo 100.
" LA SECONDA LEZIONE É CHE IL COSTO
DEI RIMEDI POTREBBE ESSERE DRAMMATICO."
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La seconda lezione è che il costo dei rimedi che si vogliono adottare, che sarebbero solo di natura preventiva, come tagli e conversioni, potrebbe essere drammatico: un colpo fatale alle potenzialità dell’espansione economica occidentale. E forse non è eccessivo pensare a interessi occulti dietro certe mode. Meglio spendere queste risorse per mitigare gli effetti del riscaldamento globale, che certamente esiste e che deve essere studiato seriamente, non partendo da pregiudizi sulla cui base scientifica è lecito dubitare. Purtroppo certi ambienti scientifici e politici hanno forti interessi economici nei settori delle fonti energetiche rinnovabili, dove i profitti possono essere enormi. Ironia della sorte, le reazioni di questi stessi ambienti hanno enfatizzato, con parole entusiastiche, il risultato di Bali, dimostrando di avere tutto l’interesse a non parlare di fallimento, arrivando ad affermare che a Bali si sono sconfitti quelli che avrebbero voluto boicottare Kyoto o che, peggio, l’accordo di Bali è riuscito a mettere a tacere tutti coloro che annunciavano il fallimento del summit. Difficile credere che un accordo sul non accordo, dove si è deciso un semplice rinvio, possa essere considerato un successo. Ma come si dice… chi si accontenta gode.
Inoltre, al vertice di Bali non si è evidenziato adeguatamente il fatto che una quota rilevante della comunità scientifica è in disaccordo sulla campagna catastrofista che giura sull’origine antropica del riscaldamento globale. Si potrebbero riportare nomi e cognomi di 200-300 scienziati, mentre quelli dei duemila o tremila che sosterrebbero l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Comitato intergovernativo sul mutamento climatico, IPCC) sono molto difficili da trovare...
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