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Settore elettrico, resta qualche nodo da sciogliere Stampa E-mail
di Stefano Delli Colli, direttore Staffetta Quotidiana

La liberalizzazione del settore elettrico avviata dal decreto Bersani del marzo 1999, a parte alcune ombre che persistono, sta producendo risultati apprezzabili, anche nel confronto con altri Paesi europei, con la riduzione del peso dell’ex monopolista, l’ingresso di nuovi attori e l’apertura del mercato ad una miriade di nuovi clienti idonei. Restano però da sciogliere alcuni nodi importanti per dare all’assetto del settore elettrico italiano più sicurezza, più competitività, più efficienza, più economicità e non ultimo più trasparenza. Sono questi del resto i temi al centro anche degli interventi dei dodici “testimoni” che hanno ripercorso con Edgardo Curcio e il sottoscritto il “cammino” della liberalizzazione in un libro di recente pubblicazione (“La faticosa apertura del mercato elettrico”), in parte raccontato dai protagonisti del settore.

La sicurezza del settore elettrico
La situazione venutasi a creare nel 2003 con i distacchi programmati del 26 giugno e il black-out del 28 settembre hanno messo in primo piano il problema della sicurezza del sistema elettrico nazionale.
Premesso che anche il regime monopolistico non ha sempre garantito ampi margini di sicurezza, appare a tutti evidente che i fattori che maggiormente hanno influito e influiscono tuttora sul nostro sistema sono: scarsa potenza disponibile alla punta a causa di troppi arresti programmati, numerosi potenziamenti e ambientalizzazioni in corso, e infine impianti censiti ma... non disponibili; bassa potenza installata a causa di un forte ritardo nella realizzazione di nuove centrali per motivi vari ma essenzialmente per difficoltà autorizzative nonostante i decreti sblocca centrali; difficoltà nelle interconnessioni con l’estero per ostacoli autorizzativi di varia natura e per mancanza di nuove importazioni; ridotta attenzione alla gestione dei servizi di sicurezza della rete di trasmissione anche per la mancanza di un unico responsabile del Sistema Elettrico. Su molti di questi fattori il decreto Bersani non ha certamente influito direttamente, ma semmai indirettamente, avendo con lo scorporo delle Genco accelerato improrogabili processi di ambientalizzazioni alle centrali ex Enel e consentito, a questa ultima impresa, di “dismettere” tacitamente impianti di generazione che sarebbero serviti per la punta di carico. Il maggior imputato al riguardo va invece ricercato nel referendum del giugno 2001 che, modificando il titolo V della Costituzione, ha avuto l’effetto di generare un forte conflitto di competenza fra le varie Istituzioni creando le premesse per una paralisi quasi completa nel processo autorizzativo per nuove centrali e nuove reti elettriche.
Una prima proposta è quella di riaffrontare il problema da un punto di vista costituzionale riportando ad un centro unitario tutta la competenza in materia di energia. La seconda è quella di tentare di ottenere, piuttosto che il consenso delle Istituzioni locali (Regioni, Province o Comuni) come si sta tentando di fare attraverso la cosiddetta “compensazione ambientale” - che significa monetizzare artificialmente l’impatto ambientale di una nuova centrale - il consenso dei cittadini, fornendo loro più informazione sugli effetti reali che può avere una nuova centrale sul territorio sia sul piano ambientale sia su quello economico.
Sul tema della sicurezza del sistema elettrico vi sono anche altre due proposte. La prima, sulla quale c’è una certa condivisione, è quella di realizzare al più presto un meccanismo definitivo di “capacity payment” in grado di garantire, con costi in tariffa, una disponibilità di potenza elettrica da parte di tutti i produttori rivolta a soddisfare esigenze di domanda di picco. L’altra è quella di realizzare un piano di adeguamento dei sistemi di difesa del sistema elettrico per far fronte a criticità impreviste e improvvise sulla rete di trasmissione. Anche in questo caso si tratta di individuare i relativi costi che vanno a ridurre i rischi del sistema elettrico ma che devono essere sostenuti dal sistema.

La competitività
Le nostre imprese elettriche devono essere messe in condizioni di competere in ambito europeo. Su questo punto, due sono i principali elementi che scaturiscono dai contributi degli attori del settore. Il primo è quello che sottolinea l’importanza che ha per il settore elettrico italiano l’impegno di riduzione della CO2, assunto in ambito europeo e che rischia di penalizzare fortemente il nostro sistema elettrico, che tra l’altro presenta minori consumi specifici di energia e minori emissioni specifiche di CO2 per unità di PIL rispetto ad altri Paesi. Il secondo punto è quello del quadro di riferimento normativo sul quale tutti (o quasi) i contributi ricevuti indicano una scarsa chiarezza, con il risultato di scoraggiare l’ingresso di nuovi operatori sul mercato, di ridurre la finanziabilità dei progetti di investimento e di minimizzare la responsabilità dei centri di comando.
Al riguardo si citano i frequenti cambi di normative, il blocco delle tariffe elettriche, i ritardi nell’avvio della Borsa elettrica (partita solo di recente ma attesa fin dal 1° gennaio 2001) come gli esempi più significativi di questa poca chiarezza del quadro di riferimento.

L’efficienza
È da tutti riconosciuta la scarsa efficienza del nostro sistema elettrico, anche se alcuni sottolineano che dal 1996 al 2003 la tariffa al netto del costo della materia prima è scesa del 18%. Le cause di tale inefficienza sono da imputarsi a diversi fattori quali: investimenti sbagliati o comunque vincolati da situazioni particolari; mancanza di concorrenza che non premiava l’efficienza degli impianti, errate scelte politiche passate assieme a scelte aziendali recenti poco brillanti (sopratutto da parte Enel). La maggior evidenza di scarsa efficienza del nostro sistema elettrico si rivela comunque nell’elevato costo di produzione delle centrali elettriche e in particolare nel costo dei combustibili (che in Italia sono essenzialmente petrolio e gas laddove in altri Paesi sono invece carbone e nucleare). Si dimentica in questa analisi che una larga fetta dei costi fissi di generazione elettrica è dipendente dalle tariffe di trasporto, dai cosiddetti costi “incagliati” (stranded costs), dalla fiscalità e da altre anomalie tipiche del nostro sistema elettrico (CIP 6, ora anche certificati verdi). Anche in questo caso le proposte non sono univoche: alcuni ritengono che con le nuove centrali in costruzione e con il ripotenziamento di molte centrali ex Enel cedute alle Genco, la situazione dei costi potrebbe migliorare e quindi il parco di generazione elettrico italiano potrebbe diventare nei prossimi anni più efficiente, sopratutto se potrà far uso di combustibili a basso costo e di impianti a più alto rendimento (centrali a ciclo combinato) che però necessitano di lavorare a pieno regime. Per altri, una maggior quota di elettricità importata, che ha costi più bassi, potrebbe favorire un mix di produzione/importazione più allineato a quello di altri Paesi. Tutto ciò senza dimenticare di risolvere i problemi della rete che possono causare disfunzioni e inefficienze, interrompibilità del servizio, ritardi nell’elettrificazione di alcune zone del Paese e fenomeni di congestione in alcune ore del giorno.
Un richiamo viene fatto anche all’Autorità per l’energia elettrica e il gas affinché, nel definire le tariffe e i relativi meccanismi di indicizzazione, tenga conto dei reali valori dei costi e degli ammortamenti degli impianti al fine di applicare parametri equi e non discriminatori ai vari operatori.

L’economicità
Si è promessa la discesa dei prezzi e delle tariffe legando questo aspetto alla liberalizzazione del mercato elettrico, senza tener conto che liberalizzazione significa libertà di impresa, selezione delle imprese più efficienti, stimolo alla innovazione ma... non necessariamente prezzi più bassi. Le tariffe rispecchiano inefficienze che possono essere rimosse solo con una manovra progressiva indotta da un’ azione coercitiva della regolazione e dalla pressione della concorrenza, che a sua volta richiede tempo per essere messa in atto. In Italia le tariffe alte e i prezzi elevati rispecchiano dati strutturali non immediatamente modificabili: ricordiamo a tal proposito il parco di generazione elettrico inefficiente, la difficoltà di fare nuovi investimenti, il quadro regolatorio incerto. È chiaro che in breve tempo non sono pensabili forti riduzioni di prezzi sul mercato. Occorre attendere il dispiegarsi dei nuovi investimenti previsti nella generazione e nella rete, un po’ più di concorrenza e un po’ meno oneri impropri sulle tariffe. Un altro obiettivo è certamente la riduzione del peso dei combustibili legati al petrolio e la loro sostituzione con gas (purché meno indicizzato al petrolio) e carbone. Quest’ultimo punto peraltro non sembra facile, alla luce dei recenti conflitti che si sono manifestati in alcune zone (Civitavecchia e Brindisi) per la riconversione di centrali Enel da olio combustibile a carbone. Da molte parti si ritiene anche che l’avvio della Borsa elettrica possa rappresentare un elemento di controllo del mercato e così, sviluppando più concorrenza, si possa progressivamente abbassare i prezzi. In realtà la Borsa assolve a più funzioni specifiche, facendo incontrare la domanda con l’offerta e segnalando con il prezzo la dinamica di una risorsa scarsa come è l’energia elettrica. Innanzitutto accentua la concorrenza fra produttori, poi stimolando l’offerta garantisce un adeguato flusso di investimenti per nuovi impianti ed è quindi uno strumento di sicurezza. Infine è uno strumento di ottimizzazione dei prezzi che si formano giorno per giorno e in quanto tale può certamente migliorare l’economicità del mercato ma non è come già sottolineato la “panacea”. Comunque su questo punto i pareri sono discordi. Un’ultima annotazione: non è sufficiente operare solo sull’offerta riducendo i costi ma occorre operare anche sulla domanda.

Più trasparenza e più equità
Quasi tutti sono concordi sulla necessità di arrivare ben presto alla riunificazione della proprietà e gestione della rete elettrica con lo scopo di: accrescere la sicurezza del sistema evitando ritardi e intralci agli investimenti di potenziamento e ammodernamento della rete; facilitare in piena trasparenza la raccolta e la diffusione delle informazioni riguardanti il funzionamento della rete e dei relativi flussi di energia elettrica; garantire efficienza e qualità del servizio sulla base delle indicazioni fornite dall’Autorità. In altre parole l’operazione di fusione Grtn/Terna deve rispondere a obiettivi di trasparenza ed equità da un lato, e obiettivi economici per gli azionisti dall’altro lato. Naturalmente questo significa che il nuovo soggetto debba essere indipendente dall’ex monopolista, compito non facile in quanto l’Enel si appresta a mettere sul mercato una quota di Terna e quest’ultima, con ancora una forte presenza Enel, dovrebbe assorbire il Grtn. Ad alcuni può sembrare sufficiente che il nuovo soggetto generato dalla fusione di Grtn e Terna, separi societariamente o proprietariamente alcune attività pubblicistiche, quali ad esempio il ritiro e la vendita dell’energia CIP6, in modo che possa svolgere il proprio lavoro con funzioni super partes. Questa soluzione non è però convincente: o la società non svolge attività pubblicistica o le svolge tutte, compresa la gestione della rete, e allora è indispensabile garantire al soggetto che si viene a creare una totale indipendenza proprio per consentire l’accesso alla rete in modo trasparente ed equo. La soluzione migliore è quindi - sostengono alcuni operatori - quella consortile con tutti (o quasi) gli operatori partecipi del nuovo soggetto proprietario e gestore della rete. In attesa di questa soluzione, che potrebbe avere tempi lunghi e che dovrebbe essere favorita anche con provvedimenti ad hoc sia di natura finanziaria sia di natura fiscale, è necessario che una quota rilevante del capitale della nuova società rimanga allo Stato, direttamente o tramite controllo indiretto (Cassa Depositi e Prestiti) in modo da evitare connivenze tra colui che gestisce la rete e colui che la utilizza. Tutti i contributi si sono trovati d’accordo sulla rinnovata necessità di tornare a fare politica energetica nel nostro Paese, dopo una serie di insuccessi e di mancati interventi in campo normativo e legislativo.
Scartata l’ipotesi di tornare a fare piani energetici (anche solo come somma di tanti piani regionali) la soluzione che maggiormente viene indicata, in un mercato quasi completamente liberalizzato, è quella di fornire a tutti gli operatori e ai cittadini/utenti un quadro di obiettivi e indirizzi generali accompagnati da una serie di norme volte a definire alcuni regolamenti attuativi e - se necessario - misure di agevolazione (ad esempio per le fonti rinnovabili e il risparmio energetico). Nell’ambito di questi indirizzi si dovranno muovere liberamente gli operatori seguendo peraltro le norme stabilite dall’Autorità per l’energia.
Un sentimento comune su questo punto è quello di ottenere una minore produzione legislativa e amministrativa a fronte di una maggiore chiarezza.



 
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