di Dario Cozzi
Oltre un miliardo di euro investiti nel periodo 2006-2009, valore in crescita del 20 per cento rispetto al quadriennio precedente. A tanto ammonta lo stanziamento di Eni in R&S nel settore del petrolio e del gas. Difficile, di fronte a queste cifre, “ostinarsi” a considerare l’oil&gas come un comparto maturo, da old economy per intendersi, in cui poco o niente resta ancora da scoprire. Giacomo Rispoli, direttore Ricerca e Sviluppo della Divisione Refining & Marketing di Eni, sorride all’ipotesi di un settore prossimo al capolinea quanto a potenziale di innovazione. E ribadisce, anzi, come gli stimoli siano ancora numerosi e le prospettive di medio e lungo periodo addirittura rivoluzionarie.
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Giacomo Rispoli |
Quali sono i grandi temi sui quali state lavorando?
Nell’upstream l’obiettivo primario è quello di incrementare il fattore di recupero; nel midstream si punta a scoprire nuovi processi per l’upgrading totale del barile. Infine, come downstream, la sfida è quella di produrre carburanti sempre più puliti.
Se dovesse scegliere,qual è l’innovazione del recente passato che ritiene più importante?
Oggi le raffinerie tradizionali danno come residuo l’olio combustibile, che può trovare impiego nella generazione di energia elettrica. L’attenzione per l’ambiente e la diffusione dei cicli combinati a gas ha ridotto fortemente la domanda di questo combustibile, la cui gestione e smaltimento richiedono risorse e impegno complessi.
Eni ha messo a punto un sistema fortemente innovativo per trasformare in carburanti nobili – quali gasolio e benzina – quello che altrimenti rischia di diventare solo uno scarto. Si tratta del cosiddetto “processo EST”, ovvero Eni Slurry Technology. Un catalizzatore nanodisperso a base di molibdeno in una soluzione liquida, in presenza di alte temperature e pressioni, e con l’aggiunta di idrogeno, consente al residuo di trasformarsi in prodotti più leggeri che poi, a loro volta, possono essere convertiti in gasolio e benzina. L’idrogeno è essenziale per favorire la rimozione di contaminanti quali zolfo, azoto e
metalli pesanti.
Ci dà anche qualche numero?
Una raffineria standard,come potrebbe essere quella di Venezia, lavora ogni anno 4 milioni di tonnellate di petrolio. A seconda del tipo di lavorazione, il residuo di olio combustibile può variare da qual che punto percentuale ad un massimo del 25/30 per cento. Si tratta quindi di centinaia di migliaia di tonnellate. A livello mondiale le quantità in gioco sono enormi: circa 8-9 milioni di barili/giorno di olio combustibile, rispetto agli 85 milioni di barili/giorno di greggio estratto.
E applicando il “processo EST” a questi residui…
Possiamo dire che da 100 chilogrammi di olio combustibile immessi, alla fine del processo il residuo finale che ancora rimane da smaltire non dovrebbe superare il 3 per cento.
Qual è l’ordine di grandezza dell’investimento?
L’investimento complessivo nel progetto è pari ad alcune centinaia di milioni di euro. Dopo varie prove su impianti pilota a San Donato, iniziate nel 2000, è stato realizzato un impianto dimostrativo a Taranto che funziona ormai da due anni e ha una capacità giornaliera di 1.200 barili. Il primo impianto industriale sarà realizzato entro il 2011 a Sannazzaro.
Aggiungo che EST può anche aiutare a sfruttare al meglio le cosiddette riserve non convenzionali, ovvero gli oli pesanti, riducendo a zero la produzione di residui sia liquidi sia solidi che normalmente derivano dalla raffinazione di questi petroli. L’impianto pilota di Taranto, per esempio, si è dimostrato idoneo alla lavorazione del greggio pesante Ural, e al trattamento dei bitumi provenienti dalle sabbie bituminose canadesi. Senza dimenticarsi dei greggi extra-pesanti e non convenzionali della Russia (si stimano circa 260 miliardi di barili).
Ma il futuro dei carburanti non era nel biodiesel?
È questa una soluzione che stiamo seguendo con interesse. Al riguardo abbiamo messo a punto – assieme all’americana UOP – una ricerca profondamente innovativa per la produzione di diesel di alta qualità partendo da prodotti vegetali:una tecnologia che consente di idrogenare gli oli vegetali trasformandoli in diesel, mentre oggi – solitamente – il biocarburante si produce da olio vegetale con aggiunta di metanolo e con la glicerina come prodotto residuo. Un primo impianto di questo tipo, nella raffineria di Livorno, avrà una capacità di 250 mila tonnellate/anno.
E gli altri filoni di ricerca?
Importante, come detto, è il lavoro sulle nuove generazioni di diesel, con un’attenzione sempre più spinta agli aspetti ambientali. Prima il sistema era di tipo keep clean; oggi si afferma il principio del clean up con sempre maggiori efficienze di combustione e impatti positivi sul rendimento del motore. Anche per l’immediato futuro siamo orientati verso l’ottimizzazione dell’efficienza di combustione attraverso il miglioramento dei sistemi di raffinazione industriale e l’impiego di specifici additivi.
A questo punto le sarà rimasto un sogno, una scoperta rivoluzionaria e di “rottura” rispetto al passato che le piacerebbe fare…
Penso che la rivoluzione più grande sarà quella del silenzio. Mi spiego.Oggi i siste mi di produzione di energia sono molto complessi, richiedono la presenza di organi in movimento. E sono, dunque, molto rumorosi. L’impiego di idrogeno nelle fuel cell rappresenterebbe un punto di forte discontinuità… nel silenzio più assoluto. È questo uno straordinario campo di ricerca, a partire dai processi di produzione dell’idrogeno, a monte, per proseguire lungo tutta la filiera. Anche su questo aspetto sono numerose le iniziative che stiamo portando avanti. Abbiamo recentemente inaugurato a Mantova una stazione di servizio a idrogeno che rifornisce una miniflotta sperimentale di auto (Panda) di proprietà del Comune. Oggi questa stazione è rifornita dall’esterno, come nel caso del gasolio e della benzina. Lo step successivo sarà quello di rendere sicura ed economicamente compatibile la produzione di idrogeno in loco, direttamente nelle singole stazioni di servizio (purché connesse alla rete del metano). Un primo impianto pilota, realizzato nel centro ricerca di Milazzo, ha già dato risultati promettenti.
Ora è nostra intenzione “esportarlo” nella stazione di servizio di Mantova. Già nella primavera del 2008 potrebbe diventare operativo.
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