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La ricerca energetica riparte dalle "tecnologie abilitanti" Stampa E-mail

di Ugo Farinelli

Enabling technologies, tecnologie abilitanti, è l’espressione inglese per indicare quegli sviluppi tecnologici che non sono indirizzati a un particolare settore di applicazione, o sono diretti a più settori al tempo stesso, e che rendono possibili soluzioni o miglioramenti che altrimenti sfuggirebbero. Si tratta di un humus di tecnologie avanzate, sviluppate spesso nell’ambito di ricerca fondamentale o comunque non finalizzata, la disponibilità delle quali permette di risolvere problemi o strozzature e di avanzare molto più rapidamente nei campi applicativi. Per esempio, lo sviluppo di auto elettriche o anche di auto ibride è oggi frenato soprattutto dalla non disponibilità di batterie adeguate in termini di densità di energia e/o di potenza, di cicli di vita, di velocità di ricarica. La soluzione a questo problema potrebbe non venire direttamente dalle ricerche di tipo elettrochimico indirizzate allo sviluppo di nuove batterie, bensì dalla concezione di nuovi materiali o di nuovi tipi di approccio quali stanno emergendo oggi nell’ambito delle nanotecnologie. Può essere interessante partire proprio da questo esempio. Le nanotecnologie si basano sulla possibilità di manipolare singoli atomi o molecole,disponendoli e organizzandoli in forma voluta e replicabile, fino a realizzare materiali (solidi, o rivestimenti di superficie, o liquidi) con proprietà interamente nuove. Le nanotecnologie hanno oggi un grande sviluppo, con prospettive di applicazione molto varie e in alcuni casi molto promettenti. Possiamo poi concentrare l’attenzione su una particolare linea di ricerca e su un materiale particolare, che da solo ha fatto scrivere libri su libri: il fullerene.
Già la storia del nome punta a una sua singolarità: il fullerene riceve il suo nome non dal chimico o dal fisico che lo ha inventato, ma da un architetto, inventore, poeta e autore, Buckminster Fuller, che propose nel 1949 una nuova struttura geometrica spaziale, che chiamò la “cupola geodetica”, formata da un’alternanza di esagoni e di pentagoni, con particolari doti di resistenza e di leggerezza, e con la quale furono realizzati alcuni edifici in varie parti del mondo, ma che fu anche alla base di una serie di nuove carrozzerie di automobile. Ebbene, scienziati americani e inglesi, nei primi Anni‘90, realizzarono un nuovo tipo di molecola formata interamente da atomi di carbonio (tipicamente 60 atomi) la cui struttura rivelò una straordinaria rassomiglianza con quella proposta da “Buck”, in onore del quale fu quindi nominata la nuova molecola. Si tratta della terza forma di organizzazione molecolare del carbonio, dopo la grafite e il diamante (qualcuno aggiunge la cerafite). Per la scoperta del fullerene si divisero il premio Nobel per la chimica del 1996 gli americani Richard Smalley (recentemente scomparso) e Robert Curl, entrambi della Rice University di Austin, Texas, e l’inglese Sir Harold Kroto che allora lavorava all’Università di Sussex. Smalley fondava alla Rice nel 2003 il Carbon Nanotechnology Laboratory (interamente dedicato alla ricerca sulla produzione e le applicazioni del fullerene) che è oggi uno dei centri di eccellenza mondiali nel campo delle nanotecnologie.

"CHE C'ENTRA IL FULLERENE CON L'ENERGIA?
LA LISTA DELLE APPLICAZIONI CHE VENGONO CONSIDERATE POSSIBILI È VERAMENTE IMPRESSIONANTE.
LE PRESTAZIONI DI BATTERIE E DI SUPERCONDENSATORI BASATI SU QUESTO MATERIALE POTREBBERO ESSERE ALMENTO 10 VOLTE MIGLIORI DI QUELLE TRADIZIONALI."

Che c’entra il fullerene con l’energia? La lista delle applicazioni che vengono considerate possibili è veramente impressionante. Le prestazioni di batterie e di supercondensatori basati su questo materiale potrebbero essere almeno dieci volte migliori di quelle tradizionali. Nano-tubi di carbonio potrebbero assorbire chimicamente l’idrogeno in modo da costituire serbatoi di elevata capacità e basso peso che risolverebbero il problema forse più difficile delle auto a idrogeno; ma anche il rendimento delle celle a combustibile potrebbe essere migliorato e il loro costo radicalmente abbassato. Si vedono possibili applicazioni di questi materiali per le celle fotovoltaiche, per la riduzione fotocatalitica dell’anidride carbonica in metanolo, per la fotoproduzione diretta di idrogeno dall’acqua. I nanotubi di carbonio, opportunamente orientati, costituiscono dei superconduttori a temperatura abbastanza più elevata di quelli tradizionali, e potrebbero eliminare perdite parassite nei motori e generatori. Dispositivi a base di fullerene potrebbero produrre luce con un rendimento doppio del migliore attuale. Veicoli con strutture e carrozzerie in questi nuovi materiali potrebbero essere molto più leggeri e resistenti e ridurre perciò sostanzialmente i consumi dei trasporti. Inoltre, il fullerene costituisce un ottimo lubrificante: la forma sferica delle sue molecole è l’ideale per diminuire l’attrito; non corre pericoli di polimerizzazione o di degradazione chimica, ha un effetto indipendente dalla temperatura. È interessante notare che un lubrificante a base di fullerene è già disponibile commercialmente, a prezzi tutt’altro che proibitivi, ed è valutato da molti come il miglior lubrificante presente sul mercato. È anche questo un modo di risparmiare energia. La lista continuerebbe per un po’, includendo anche applicazioni decisamente avveniristiche (come l’energia da stazioni spaziali) che forse sarebbero piaciute al visionario Fuller: ma è però vero che il Department of Energy degli Stati Uniti, che generalmente ha abbastanza i piedi per terra, ha incluso molti degli esempi che ho portato come specifici obiettivi della ricerca che viene da loro finanziata, anche se i risultati attesi avrebbero un notevole impatto su settori non energetici (dallo sviluppo di supercomputer alle applicazioni per la salute).
I problemi da risolvere non sono pochi: per esempio,i nanotubi di carbonio vengono prodotti in sei configurazioni diverse, una sola delle quali ha le proprietà volute; è possibile produrre solo la configurazione voluta? O almeno, trovare un modo semplice ed efficace di separarla dalle altre?

"UN'ALTRA SCIENZA DALLA QUALE L'ENERGIA
PUÒ
ASPETTARSI MOLTO
È QUELLA DELLE BIOTECNOLOGIE
E DELL'INGEGNERIA GENETICA
."

Un’altra scienza dalla quale l’energia può aspettarsi molto è quella delle biotecnologie e dell’ingegneria genetica. Le applicazioni più evidenti (ma, come vedremo, non le sole) riguardano evidentemente le biomasse. Pensiamo innanzitutto alle coltivazioni energetiche. Le piante alimentari sono passate attraverso un lungo periodo di selezione, di incroci, di miglioramenti genetici: un processo che dura forse da diecimila anni, e che è stato indirizzato da una parte a migliorare le caratteristiche organolettiche, d’altra parte (soprattutto recentemente) ad aumentarne la resa e a migliorarne la resistenza alle malattie e agli stress ambientali. Lo stesso percorso dovrebbe essere seguito per le nuove varietà destinate alla produzione di energia, dove l’obiettivo non è ovviamente il gusto, ma la resa in energia, e soprattutto la massimizzazione del rapporto tra l’energia prodotta e quella spesa per coltivare (in termini di fertilizzanti, pesticidi, irrigazione, lavori sul campo e trattamenti post-raccolto). In alcuni casi l’ottimizzazione può riguardare piante già ad uso alimentare (come la barbabietola o il mais) portando però a risultati che potrebbero essere totalmente diversi. Il percorso incomincia soltanto adesso, in confronto ai secoli e secoli accumulati per il miglioramento delle piante alimentari, ed è quindi da prevedere uno sviluppo sostanziale. Inoltre sono a disposizione oggi tecniche di intervento (di ingegneria genetica) che sono ben diverse, più rapide e più efficaci di quelle del passato. Un esempio specifico: sono state condotte da alcuni anni, in Brasile ma anche con contributi italiani, delle sperimentazioni per introdurre nel patrimonio genetico della canna da zucchero (per la produzione di etilene) un gene derivato dai batteri azoto-fissatori, in modo che la pianta sia in grado di approvvigionarsi direttamente dell ’azoto di cui ha bisogno per la sua crescita senza necessità di fornirglielo sotto forma di concimi azotati. Conseguenze: il risparmio di quella grossa quantità di energia necessaria a produrre il fertilizzante, e notevole riduzione del carico inquinante per l ’ambiente, soprattutto per la falda acquifera. Un altro esempio particolarmente rilevante riguarda l’idrolisi della cellulosa. Se fosse possibile spezzare le lunghe catene molecolari della cellulosa e della emicellulosa e attaccarle in modo opportuno, si aprirebbe la via alla produzione di alcool etilico (un eccellente carburante sostitutivo della benzina) utilizzando anziché coltivazioni ad hoc zuccherine (canna da zucchero o barbabietola) o amidacee (mais, frumento) residui della produzione agricola (per esempio la paglia) e forestale, una materia prima che spesso si trova a costi nulli o negativi. Questa operazione di idrolisi si cerca oggi di effettuare, previo pretrattamento meccanico o termico, per via chimica (idrolisi acida) ma la nuova frontiera è certamente quella di utilizzare viceversa delle tecniche biologiche (idrolisi enzimatica) che mettono in gioco tipi nuovi e ottimizzati di batteri.
Un campo ormai assestato di miglioramento genetico riguarda i batteri che sovrintendono alla fermentazione degli scarti organici in metano per la produzione di biogas, dove temperatura di processo, velocità di reazione e rese possono essere ottimizzate.
I batteri potrebbero essere a loro volta considerati non solo come uno strumento, ma direttamente come una biomassa utilizzabile a scopi energetici. È stato notato che i batteri costituiscono circa una metà (in peso) della biomassa terrestre, contro l’uno per mille costituito dagli animali!Molto interessante sembra in questo senso anche la possibilità di “arruolare” i batteri, specializzandoli per assorbire (cioè mangiare) diverse materie prime energetiche, e permettendo quindi di recuperare petrolio, gas naturale e, perché no, uranio che altrimenti non sarebbero economicamente estraibili.
Altre funzioni dei microorganismi (incluse le microalghe) potrebbero essere quelle di fissare la luce solare, e di produrre idrogeno. Più in generale, sono in corso da tempo studi per aumentare in maniera significativa il rendimento dei meccanismi di fotosintesi per la fissazione del carbonio atmosferico. Abbiamo parlato di nanotecnologie e di biotecnologie applicate alla risoluzione di problemi energetici. Potremmo estendere questo discorso ad altre tecnologie e discipline non di per sé energetiche, ma con profonde influenze e puntuali applicazioni in campo energetico. Citiamo, senza nessuna pretesa di completezza né di priorità, alcuni altri esempi. Lo sviluppo di membrane selettive può ridurre fortemente i consumi di energia in molti processi dell’industria chimica (per esempio sostituendo dei processi termici), può servire a separare l’idrogeno dai gas di sintesi per il suo utilizzo, oppure l’anidride carbonica per il suo immagazzinamento; analoghe considerazioni valgono per i componenti delle celle a combustibile, dove nuove membrane polimeriche semipermeabili sono la chiave per la riduzione dei costi e il miglioramento delle prestazioni.

"L'ENERGETICA DIVIDE CON L'ELETTRONICA
L'INTERESSE PER SEMICONDUTTORI DI NUOVO TIPO;
LA FISICA DI QUESTI MATERIALI PUÒ DARCI
NUOVI SBOCCHI PER LE CELLE FOTOVOLTAICHE..
."

L’energetica divide con l’elettronica l’interesse per semiconduttori di nuovo tipo; la fisica di questi materiali può darci nuovi sbocchi per le celle fotovoltaiche, oppure per la generazione di luce ad alto rendimento con i LED. Lo sviluppo e la disponibilità di nuovi calcolatori (quelli cosiddetti “massicciamente paralleli”) può servire all’energetica in alcuni settori, quali lo studio tridimensionale dei giacimenti, o la simulazione dettagliata del processo di combustione nei motori e nelle turbine. In conclusione, possiamo dire che lo sviluppo di nuovi sistemi energetici ha bisogno di molta ricerca non energetica. Quanto più la soluzione ai problemi energetici viene cercata in un ambiente ricettivo ai risultati di altri settori, tanto più probabile è che i risultati siano innovativi ed efficaci. Molta di questa ricerca relativa alle “tecnologie abilitanti” è di tipo abbastanza fondamentale. Può sembrare un paradosso, ma tanto più un settore è maturo e affermato, tanto più bisogno ha di ripartire dalle fondamenta per rinnovarsi e per fare dei passi avanti decisivi. Per tornare all’esempio di partenza, le batterie o più in generale l’accumulo di elettricità non può più fare grandi progressi per via puramente incrementale; c’è bisogno dell’iniezione di idee interamente nuove derivate da campi diversi dall’elettrochimica tradizionale, per trovare soluzioni nuove.

 
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