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Costi ed emissioni...alla luce del sole Stampa E-mail

abstract in inglese

di Paolo Iora, Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Industriale, Università degli Studi di Brescia

L'impiego di fonti rinnovabili viene considerato un importante strumento nell’ambito della produzione di energia elettrica, in virtù delle migliori ricadute ambientali rispetto ai comuni sistemi di generazione basati su combustibili fossili. È consuetudine che una nuova installazione – ad esempio di tipo eolico o fotovoltaico – venga battezzata con dati relativi alle potenziali tonnellate equivalenti di petrolio risparmiate e all’entità di emissioni di CO2 evitate nell’arco della prevista vita utile. Tuttavia, nella maggior parte dei casi queste cifre sono determinate al lordo dei contributi di energia ed emissioni necessarie per la produzione dell’impianto stesso, aspetto questo che riduce l’effetto benefico delle soluzioni con energie rinnovabili, rispetto a quanto viene generalmente dichiarato.
Un’analisi più corretta richiede viceversa l’adozione di una metodologia denominata “valutazione del ciclo di vita” applicata all’impianto, traduzione italiana di Life Cycle Assessment (LCA). Questa procedura – definita nelle normative ISO 14040 – mira a quantificare i costi energetici e ambientali di un generico componente durante l’intero arco della sua vita, comprendendo l’estrazione e il trattamento delle materie prime, la fabbricazione, il trasporto, l’uso, l’eventuale riciclo e lo smaltimento finale.
Applicando questo concetto a componenti di impianti adibiti alla produzione di energia elettrica, si giunge a definire l’Energy Pay Back Time (nel seguito indicato per brevità con l’acronimo EPBT), che in analogia con la pratica delle analisi economiche, indica il tempo che l’impianto stesso impiega a produrre l’energia consumata durante il suo intero ciclo di vita.
Ne consegue che una generica installazione risulta energeticamente sostenibile solo se l’energia prodotta durante il suo funzionamento è tale da compensare, nell’arco della vita operativa prevista, i costi energetici complessivamente sostenuti e valutati mediante la metodologia LCA.
Sebbene una tale procedura sia applicabile a qualsiasi sistema di produzione elettrica, si vuole qui considerare il caso di un’applicazione fotovoltaica alla luce dell’interesse e delle aspettative suscitate anche a livello internazionale da questa tecnologia.
L’impianto fotovoltaico, al pari di qualsiasi altra installazione, nasce dunque affetto da un “peccato originale”, rappresentato dal debito energetico richiesto per la sua realizzazione; debito che dovrà essere riscattato nel corso della vita operativa attraverso kWh di energia elettrica riversati nella rete. Tuttavia il calcolo dell’EPBT, seppure concettualmente intuitivo, risulta in pratica complicato dalla necessità di dover disporre di un numero
molto elevato di informazioni. Il dato fondamentale per questa analisi è infatti l'energia primaria consumata nell’intero ciclo di vita, risultante dalla sommatoria dei singoli contributi richiesti in ciascuna delle fasi che lo compongono, che sono nel caso in esame:

  • l’estrazione del silicio (ovviamente nel caso dei diffusi pannelli al silicio);
  • la successiva lavorazione;
  • il trasporto;
  • l’assemblaggio;
  • lo smantellamento dell’impianto.

A queste si sommano altre voci di minore entità. A rendere l’analisi ancora più complessa si aggiunge il fatto che anche al medesimo impianto possono essere associati consumi di energia primaria diversi. Ad esempio, se i pannelli sono prodotti da aziende che adottano per la lavorazione procedure e attrezzature più o meno efficienti; oppure, anche nell’ipotesi che il quantitativo di energia elettrica richiesto per le lavorazioni sia il medesimo, il consumo di energia primaria può cambiare a seconda del rendimento di conversione del sistema di produzione nazionale considerato, e varia quindi da Stato a Stato.
In pratica per l’analisi LCA è in generale possibile seguire due approcci:

  • valutare effettivamente tutti i processi di uno specifico prodotto, individuando i relativi consumi energetici e le ricadute ambientali;
  • appoggiarsi a delle banche dati di riferimento sviluppate principalmente a partire dagli Anni ‘90, che consentono ormai di offrire informazioni precise anche in riferimento allo specifico contesto produttivo. In quest’ultimo caso l’analisi LCA viene effettuata con software dedicati che includono nelle proprie librerie le informazioni contenute nei database.

Analisi di ciclo di vita per svariati prodotti, tra i quali non mancano i moduli fotovoltaici, sono inoltre disponibili nella letteratura scientifica sebbene si riscontri una certa disuniformità di risultati, per una certa parte dovuta – come già si è fatto cenno – alle difficoltà insite nel reperire dati di origine tra loro coerenti.
A titolo di esempio, nel box sono riportati alcuni valori dei consumi di energia primaria, che rappresentano a migliore conoscenza di chi scrive le più recenti analisi LCA di moduli fabbricati con silicio monocristallino e policristallino, tecnologie consolidate e ampiamente diffuse nelle applicazioni fotovoltaiche. Dai dati riportati emerge che il consumo varia in un range da 10 a 20 MWh di energia primaria per kWp (kWp è l’unità di misura per la potenza fotovoltaica; viene valutata in condizioni di insolazione pari a 1.000 W/m 2 dette appunto condizioni di picco).
Proviamo in base a questi dati a valutare l’EPBT di un tipico impianto domestico da 3kWp.
Se consideriamo un valore intermedio tra quelli riportati nel box, pari a 15 MWh/kWp, il debito energetico iniziale per l’impianto da 3 kWp ammonta dunque a 45 MWh di energia primaria. Quanto tempo serve per ripagarlo? Dipende evidentemente da dove viene installato il sistema fotovoltaico. Se lo piazziamo a Milano, dove l’insolazione media annua è di circa 1.400 kWh/m 2, possiamo produrre circa 3.150 kWh/anno di energia elettrica. Il valore è calcolato a partire dai dati di insolazione del luogo, considerando un fattore di perdita assunto pari a 0,75 per tenere conto sia del rendimento dell’inverter che della variazione delle prestazioni rispetto a quelle nominali – utilizzate per determinare la potenza di picco dell’impianto – imputabili a diversi fattori quali la temperatura di funzionamento dei moduli, lo spettro della radiazione incidente, l’invecchiamento e l’eventuale accumulo di sporco sui pannelli.
Trattandosi di kWh prodotti senza bruciare combustibili fossili ne è conseguenza un risparmio di energia primaria. Ora, un ulteriore aspetto cruciale nella determinazione dell’EPBT riguarda la valutazione del corretto rendimento elettrico di riferimento, necessario per valutare l’energia primaria risparmiata a partire dall’energia elettrica prodotta. Sebbene la scelta più immediata e normalmente adottata sia quella di utilizzare il rendimento medio di produzione elettrica (che per l’Italia è prossimo al 43 per cento), nello specifico caso dell’energia elettrosolare si possono effettuare alcune considerazioni che rendono l’analisi più aderente al caso nazionale. Va tenuto presente infatti che l’energia fotovoltaica fornisce nel nostro Paese un contributo
molto limitato rispetto alla produzione nazionale (circa lo 0,01 per cento). Per questo motivo l’introduzione di kWh di energia fotovoltaica in rete non va certamente ad alterare la produzione del carico di base, effettuata con centrali alimentate a carbone. Queste infatti, essendo caratterizzate dai costi marginali di produzione più contenuti tra le tecnologie di generazione a disposizione in Italia, lavorano con fattori di carico il più possibile elevati. Un discorso analogo vale per l’energia idraulica, anch’essa sfruttata al massimo del potenziale disponibile; così per le altre rinnovabili (eolico, geotermia e impianti a biomasse): tutto quel che si riesce a produrre viene messo direttamente in rete senza alcun risparmio. Risulta dunque ragionevole ipotizzare che i kWh elettrici degli impianti fotovoltaici dislocati sul territorio nazionale portino in ultima analisi a risparmi di gas naturale, per il quale il rendimento medio di conversione in energia elettrica si attesta intorno al 49,3 per cento (dati Terna 2005), valore alquanto elevato perché l’Italia, come noto, è dotata di un parco di generazione di cicli combinati ad alta efficienza.
Tale rendimento, al fine dell’analisi in questione, va infine diminuito di una quota pari a circa il 5 per cento, per tenere conto delle minori perdite di trasporto e di trasformazione dell’energia elettrica che gli impianti fotovoltaici comportano, visto che immettono elettricità nelle reti direttamente in bassa tensione. Si ottiene quindi un rendimento di riferimento pari al 47 per cento. Adottando questo valore, l’energia primaria risparmiata risulta dunque pari a 3.150/0,47 = 6.702 kWh/anno. Tenendo conto del debito iniziale di 45 MWh si ricava facilmente che l’impianto impiega circa 6,7 anni per rientrare dall’investimento energetico (45.000 kWh/6.702 kWh/anno uguale 6,7 anni). È bene ricordare però che questo risultato è stato ottenuto sulla base di due precise ipotesi: il valore dell’energia richiesta per l’impianto, fissato a 15 MWh/kWp (in un range che verosimilmente varia tra 10 e 20 MWh/kWp) e la decisione arbitraria di collocare l’impianto a Milano, imponendogli le condizioni di insolazione della nota città lombarda.
Per far fronte a queste limitazioni la Figura 1 fornisce un più ampio orizzonte dei possibili risultati. Sull’asse delle ascisse è riportata l’energia richiesta dall’impianto nell’intervallo di valori proposti in letteratura e riportati nel box; sull’asse delle ordinate si legge l’EPBT per le città di Milano (insolazione annua 1.400 kWh/m2) e Ragusa (insolazione annua 2.000 kWh/m2) nell’intento di rappresentare due casi estremi della nostra Penisola. Ne risulta che al variare dell’energia primaria richiesta, il tempo di ritorno energetico per un impianto fotovoltaico vale indicativamente 4-9 anni se installato a Milano e 3-6 anni se installato a Ragusa. Si tenga presente che i valori di EPBT ottenuti risultano mediamente più elevati rispetto ad altri studi LCA (per ulteriori dettagli si rimanda ai riferimenti bibliografici citati nel box) a causa dell’elevato rendimento medio di conversione adottato, che penalizza il conseguente risparmio di gas naturale.
È necessario precisare inoltre che i risultati ottenuti sono da riferirsi ad impianti interfacciati con la rete di distribuzione (impianti detti grid -connected) alla quale tutta l’energia prodotta viene ceduta nel momento stesso in cui è generata. Ben diverso è il caso di impianti funzionanti “ad isola” – tipici di utenze in cui la connessione alla rete risulta problematica come ad esempio nei rifugi di alta montagna – dove l’energia elettrica ottenuta dall’impianto fotovoltaico e non prontamente utilizzata dall’utenza viene accumulata per essere poi resa disponibile quando richiesta. Nella sua variante più curiosa, ma tuttavia non priva di un certo mordente sul pubblico, questa soluzione prevede in cascata i seguenti componenti: impianto fotovoltaico, elettrolizzatore (per la separazione dell’idrogeno da acqua, poi stoccato in bombole), cella a combustibile (per la riconversione in energia elettrica). In questa configurazione l’energia accumulata (che in una tipica applicazione domestica rappresenta indubbiamente una quota significativa di quella prodotta) risulta falcidiata dai rendimenti dei componenti citati, diminuendo in modo drastico la “rata” annuale di restituzione del debito energetico iniziale, che peraltro risulta già di per sé ben più cospicuo di quello considerato nei valori di ascissa di Figura 1 perché appesantito dal contributo dei diversi componenti aggiuntivi. Al di là di questo caso limite l’EPBT di impianti fotovoltaici funzionanti ad isola risulta in ogni caso inevitabilmente più elevato rispetto ai grid-connected anche nella configurazione tradizionale con accumulo effettuato con batterie (a causa del rendimento di carica-scarica e del loro costo energetico aggiuntivo) e la sua determinazione richiede una specifica analisi LCA.
Fatte dunque tutte le necessarie precisazioni, si può concludere che l’ammortamento energetico di un impianto fotovoltaico (grid-connected) richiede un periodo di tempo non certo trascurabile rispetto alla sua vita utile e può essere stimato in alcuni anni di funzionamento. Ciò non toglie che, essendo la vita operativa dei moduli superiore a 20 anni, la tecnologia risulta energeticamente sostenibile. Ad infondere ulteriore fiducia sulla sostenibilità di future applicazioni fotovoltaiche rimane infine il fatto che l’analisi qui riportata si riferisce alla tecnologia consolidata di pannelli al silicio (mono e policristallino), mentre per quanto riguarda tecnologie attualmente in fase di studio e che potrebbero trovare ampia diffusione nei prossimi anni come quelle a film sottile di tipo CIS (Copper-Indium Selenide) e CdTe (celle al Telloruro di Cadmio) le analisi LCA indicano valori di EPBT in prospettiva significativamente inferiori.


 
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