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PAUSA-ENERGIA
 
Trasporto del gas via nave conterminali a prova di Nimby Stampa E-mail
di Federico Santi

A realizzare un terminale di rigassificazione del LNG in Italia ci hanno provato tutti: da Enel a British Gas, da Edison a Falck, da Shell a Gas Natural, da Erg a Endesa, non vi è compagnia energetica piccola, grande o grandissima che non abbia tentato la strada del rigassificatore per accedere in maniera diretta al ricchissimo e blindatissimo mercato peninsulare del gas.
Sarà per la sindrome Nimby, che affligge l’Occidente intero e che manifesta proprio in Italia le sue cuspidi; sarà che le amministrazioni locali italiane (comuni, province, regioni e autorità varie) cavalcano il fenomeno Nimby alla ricerca di consenso, o per sottocultura tecnico-scientifica e manageriale; sarà che l’operatore dominante non gradisce intrusi nel mercato dominato, laddove per intrusi leggasi imprese che importano il gas senza passare dai quattro gasdotti o dall’unico, antico terminal LNG, tutti dello stesso proprietario; sarà per queste ragioni o per altre che nessuno, dico nessuno, è finora riuscito nell’impresa di portare in Italia nuovo LNG oltre a quello di Panigaglia. Forse si intravede un barlume per il terminale Adriatic LNG di Rovigo (45% ExxonMobil, 45% gruppo Qatar Petroleum, 10% Edison) in costruzione ad Algeciras (Spagna) e destinato ad entrare in funzione nel 2008 al largo delle coste adriatiche. Se tutto va bene…
Eppure qualche bel terminale LNG ci vorrebbe, eccome. La domanda di gas naturale non accenna a rallentare, trainata soprattutto da un settore termoelettrico sempre più assetato di gas naturale “tecnologicamente obbligato” (ossia bruciato in cicli combinati che altro combustibile non possono adoperare) e con prospettive di aumenti ancora considerevoli, assodata anche la necessità di abbassare l’intensità carbonica del kilowattora per combattere i cambiamenti climatici: da non dimenticare infatti che una centrale a gas naturale a ciclo combinato rilascia 0,3÷0,4 tonnellate di CO2 al MWh prodotto, contro le 0,8÷0,9 di una centrale a carbone. A fronte di una domanda che vola a ritmi intorno al 4% l’anno, la produzione nazionale di gas declina rapidamente, arrivando a coprire già oggi non più del 15% del fabbisogno complessivo e con prospettive di importanti riduzioni. Tutto il sistema gas si regge sulle importazioni dall’estero, che contano più dell’85% dell’intera domanda, peraltro con una capacità di stoccaggio per la copertura della modulazione stagionale e giornaliera decisamente prossima ai minimi tecnici, come le recenti crisi hanno più volte evidenziato. E tali importazioni, è ben noto, entrano nella rete nazionale dei gasdotti solo dai quattro punti di ingresso di Tarvisio, Passo Gries, Gela, Mazara del Vallo, a cui arrivano i gasdotti dell’Eni, e dal piccolo terminal LNG di Panigaglia, pure dell’Eni.

Nonostante la soglia antitrust, non è certo una situazione ideale per la concorrenzialità del mercato ancora giovane, ancorché l’Eni garantisca senza dubbio una solidità infrastrutturale e commerciale tutta in favore della sicurezza degli approvvigionamenti.
Efficace, ma non efficiente, direbbe l’economista. Fatto sta che, forse con la sola eccezione del terminale off-shore di Rovigo - per cui si è scomodata nientemeno che la ExxonMobil, la più grande compagnia energetica del mondo con 410 miliardi di dollari di fatturato, 30 in più del PIL dell’Arabia Saudita - non c’è in Italia una sola iniziativa LNG che sia andata in porto, nonostante i prezzi del gas alle stelle. E se Atene piange, Sparta non ride: anche nelle altre nazioni occidentali si è riscontrata una notevole difficoltà di siting dei terminali di rigassificazione del LNG, non del sommo grado italico, ma comunque non trascurabile.
Il problema è ovunque lo stesso: sicurezza. I terminali di rigassificazione del LNG sono infrastrutture a rischio di incidente rilevante, inutile negarlo, lo sancisce la Legge stessa. È vero che, come dimostra l’industria nucleare, quanto più rischiosa è una infrastruttura tanta più attenzione è ad essa dedicata, sia normativa che gestionale, con misure di prevenzione e protezione che arrivano a rendere il rischio residuo addirittura inferiore a quello di tecnologie all’origine meno pericolose. Ad esempio, poco o nulla è successo finora alle navi criogeniche che trasportano LNG, mentre le petroliere affondano al ritmo di una all’anno. E tuttavia la gente si fida poco delle misure di abbattimento del rischio, preferisce infrastrutture ”intrinsecamente” sicure, anche quando così sicure non si rilevano.

"UN'INFRASTRUTTURA È
ETIMOLOGICAMENTE SICURA
QUANDO NON DESTA
PREOCCUPAZIONE NELLE PERSONE"

È il solito confronto tra l’automobile e l’aeroplano: quale dei due mezzi è più sicuro? E quale desta le maggiori paure? Come altre volte ho ricordato, la parola “sicura” viene dal latino “sine cura”, letteralmente “senza preoccupazione”: un’infrastruttura è etimologicamente sicura quando non desta preoccupazione nelle persone. I terminali di rigassificazione destano notevoli preoccupazioni per i rischi di incendio e di esplosione, per cui sono etimologicamente poco sicuri, anche se, di fatto, ben pochi incidenti sono finora accaduti. Popoli che hanno dimestichezza con la tecnologia, ad esempio i giapponesi, accettano con meno riserve i terminali LNG. Gli italiani, che salvo eccezioni hanno con la tecnologia una dimestichezza prossima allo zero, non accettano il rischio prodotto dai terminali LNG, neanche se il rischio residuo si dimostra bassissimo.
Ed è pur vero che se l’Italia ha un perimetro costiero così esteso da essere un Paese ideale per accogliere il traffico di LNG verso l’Europa, d’altra parte le coste della penisola sono così densamente popolate da rendere molto difficile il siting on-shore dei terminali di rigassificazione.
Resta l’alternativa off-shore, quella per l’appunto perseguita dal terminale Adriatic LNG. Facile a dirsi, ma all’atto pratico la fattibilità di questa opzione non è poi così banale.
Alla luce di tutto questo, la tecnologia si è messa in moto ormai da qualche anno per consentire il trasporto del gas via nave, senza bisogno di costruire complesse e pericolose infrastrutture di rigassificazione nei Paesi riceventi. Sono emerse due filiere fondamentali, semplici in linea di principio, complesse sotto il profilo dell’ingegneria navale: quella delle navi LNG con impianti di rigassificazione a bordo (LNGRV, Liquefied Natural Gas Regassification Vessel) in grado di trasportare gas liquido e scaricare gas aeriforme anche molto lontano dalla costa, in una condotta sottomarina collegata con la rete dei gasdotti; quella delle navi CNG (Compressed Natural Gas) in grado di trasportare gas naturale compresso a circa 220 bar e scaricarlo a pressioni più basse direttamente nella rete dei gasdotti, sempre off-shore attraverso un gasdotto
sommerso. Entrambe le tecnologie consentono di ricevere il gas naturale in semplici terminali di RICEZIONE, senza bisogno di terminali di rigassificazione. Sottolineo la differenza tra le parole (le parole sono pietre…) perchè è bene evitare da subito ogni possibile confusione: un conto è un “terminale di ricezione”, in pratica una piccola piattaforma off-shore quasi vuota con a bordo dei gruppi di misura dei flussi di gas, finalizzata al collegamento tra una semplice boa sommersa per lo scarico del gas dalle navi e un gasdotto sottomarino verso costa; altro conto è un “terminale di rigassificazione”, poco importa se onshore o offshore, che riceve gas liquido a -160°C in serbatoi di stoccaggio da centinaia di migliaia di metri cubi e poi lo passa in stadi di espansione fino a renderlo gassoso e in stadi di compressione che lo portano alle pressioni richieste dalla rete dei gasdotti, in pratica è un impianto industriale vero e proprio. Se tale impianto resta a bordo nave, è allora tecnicamente ed economicamente possibile effettuare l’attività di rigassificazione del LNG a grandi distanze dalla costa, senza alcun rischio (tranne che per il personale di bordo, ovvio). Se poi tale impianto non serve affatto, come nel caso delle navi CNG, ancora meglio.

"C'È ANCORA SPAZIO PER ACQUISIRE
SVILUPPARE E RIVENDERE TECNOLOGIA IMPIANTISTICA E NAVALE
C'È ANCORA SPAZIO PER ACCORDI COMMERCIALI E SVILUPPO
DI PROGETTI INDUSTRIALI
CON PARTNERS PRODUTTORI DI GAS
(LNG E/O CNG) E ARMATORI"

Dato che queste tecnologie sembrano l’uovo di Colombo – e in effetti lo sono – di seguito ne sintetizzo brevemente lo stato dell’arte e le prospettive future. Con una anticipazione: entrambe le filiere sono tecnologicamente nuove di zecca e perfette per la situazione italiana, per tutto quanto detto fin qui. Il sistema energetico italiano deve assolutamente muovere in questa direzione e deve farlo adesso, per due ragioni principali: c’è ancora spazio per acquisire, sviluppare e rivendere tecnologia impiantistica e navale; c’è ancora spazio per accordi commerciali e sviluppo di progetti industriali con partners produttori di gas (LNG e/o CNG) e armatori.
Cominciamo dalla filiera LNGRV. L’idea, come detto, è banale: anziché realizzare un terminale di rigassificazione fisso, si installano a bordo nave dei treni di rigassificazione, cosicché la nave stessa è in grado di collegarsi ad una boa sommersa al largo, anche a notevole distanza dalla costa in modo da garantire ogni sicurezza, e scaricare gas aeriforme in un gasdotto sottomarino di collegamento con la rete nazionale dei gasdotti. La soluzione è tanto semplice quanto rivoluzionaria e può dare nuovo impulso alle aspettative per il mercato mondiale del LNG, frenato proprio dalla difficoltà di siting dei terminal di rigassificazione. Con navi dotate di stadi di rigassificazione a bordo, l’infrastruttura ricevente è un semplice terminale di collegamento via gasdotto – anche flessibile e/o immerso, totalmente o parzialmente – con la nave LNG che scarica gas aeriforme, e, dalla parte opposta, con la rete dei gasdotti. Non vi è alcun deposito fisso di LNG, l’infrastruttura ricevente è scarna di apparati tecnologici e non implica alcun problema per la sicurezza. L’accettabilità sociale di tali infrastrutture “ultra-leggere” dovrebbe aumentare drasticamente rispetto ai terminali di rigassificazione tradizionali.

La compagnia americana Excelerate Energy è la prima e finora l’unica ad applicare questa tecnica su scala commerciale, già dai primi mesi del 2005. La Excelerate ha acquistato la tecnologia dalla El Paso insieme con il terminale di ricezione Gulf Gateway, 600 miglia al largo delle coste della Louisiana, collegato con un gasdotto sottomarino al noto punto di scambio del gas Henry Hub, del NYMEX. La filiera tecnologica si chiama Energy BridgeTM e prevede, oltre alla nave LNG con rigassificatore on-board, anche una particolare boa sommersa di attracco e scarico detta “STL buoy”, sviluppata dalla compagnia norvegese APL.
La Excelerate ha in charter per 20 anni tre navi LNGRV: la EXCELSIOR, la prima della filiera, varata a gennaio 2005, la EXCELLENCE e la EXCELERATE. La Excelsior e la Excelerate sono di proprietà dell’armatore belga Exmar, attivo da lungo tempo nel settore del trasporto di LNG, mentre la Excellence è di proprietà di una fondazione che fa capo alla stessa Excelerate Energy. Le navi sono state costruite dalla coreana Daewoo Shipbuilding Marine Engineering (DSME), una delle compagnie più importanti al mondo nella produzione di navi per il trasporto del gas naturale liquido, che già nel 2001 copriva il 43% della produzione mondiale di navi LNG.
Le tre navi suddette hanno una capacità di stoccaggio di LNG di 138.000 metri cubi, mentre altre due navi da 150.900 metri cubi sono già in costruzione (DSME Hulle N° 2254, chiamata Explorer, che sarà varata all’inizio del 2008 e DSME Hull N° 2263, che sarà varata nel secondo trimestre del 2009) e due ulteriori navi della stessa categoria sono già state ordinate e saranno pronte a fine 2009. Nel 2010 saranno quindi in circolazione almeno 7 navi LNGRV, già ordinate, per una capacità complessiva di trasporto di circa 1 milione di metri cubi di LNG (equivalente a circa 600 milioni di metri cubi di gas naturale). In realtà è facile prevedere che gli ordinativi di tali navi si moltiplicheranno in tempi brevi e ne sarà varato un numero ben superiore.
Ciascuna delle tre navi LNGRV in circolazione è in grado di trasportare un carico equivalente a circa 83 milioni di metri cubi standard di gas naturale e può rigassificare e scaricare circa 14 milioni di metri cubi di gas al giorno, per cui il tempo minimo di scarico è di circa 6 o 7 giorni. Il conto è presto fatto: con 4 scarichi al mese, un terminal di ricezione è in grado di iniettare nella rete dei gasdotti circa 4 miliardi di metri cubi l’anno. Il terminale di Panigaglia, per confronto, ha appunto questa capacità, oltre ad una capacità di stoccaggio di 100.000 metri cubi geometrici che è dunque inferiore ai 138.000 metri delle navi LNGRV. La scala industriale della tecnologia è quindi tale da consentire il superamento delle barriere dimensionali di accesso al mercato del LNG, anche con contratti di lungo termine con le compagnie dei Paesi produttori.

Infatti, la Excelerate ha iniziato nel 2005 a sfruttare questa tecnologia per il mercato Usa, scaricando al Gulf Gateway, in poco più di due settimane, il primo carico della Excelsior proveniente dal sud-est asiatico (la compagnia ha un accordo con la Asean LNG, oltre che con la Conoco Phillips). Successivamente, la Excelerate ha realizzato un terminale analogo al largo di Teeside, vicino a Newcastle, per il mercato della Gran Bretagna, stringendo un accordo commerciale con il big elettrico tedesco RWE, interessato ad entrare nel mercato europeo del LNG. Oltre a queste due iniziative già in essere, la Excelerate ha avviato un altro importante progetto al largo di Boston, il terminale North East Gateway. Avendo dimostrato la fattibilità della tecnologia Energy Bridge, la Excelerate sta ora ricevendo crescenti attenzioni da parte di tutte le più importanti compagnie energetiche, mentre diverse società di ingegneria stanno studiando tecnologie analoghe.
Da un punto di vista economico, la filiera LNGRV sembra sostenibile, anche se ancora nella fase iniziale della sua diffusione. Una nave LNGRV costa circa 230÷250 milioni di dollari, contro i circa 160 milioni di dollari delle normali navi LNGRV. Il maggior costo di una flotta di 4 navi LNGRV è circa 280 milioni di euro rispetto ad una flotta di navi LNG di pari capacità, ma tale differenziale è più o meno annullato dal costo notevolmente minore del terminale di ricezione, rispetto al terminale di rigassificazione. Finanziariamente un progetto Energy Bridge sta in piedi, trovando il solo limite nella capacità massima di 4 miliardi di metri cubi l’anno, rispetto agli 8÷12 miliardi di metri cubi l’anno dei nuovi terminal LNG finora proposti in Italia (e mai realizzati…). Certo, è difficile che una capacità di 4 miliardi di metri cubi l’anno giustifichi il lato up-stream di una catena LNG, dati in particolare gli altissimi costi di investimento dell’impianto di liquefazione. Per il momento, siffatte capacità devono necessariamente affiancarsi ad altri progetti, tradizionali o innovativi, per rendere conveniente lo sviluppo di iniziative upstream.
In futuro sarà forse possibile realizzare treni di rigassificazione on-board di capacità superiore a 14 milioni di metri cubi di gas, aumentando quindi la capacità complessiva dei progetti LNGRV fino a renderli completamente autosostenibili, anche dal lato up-stream.

"LA TECNOLOGIA ENERGY BRIDGE
VA IN FAVORE DELLA SICUREZZA DELL'AMBIENTE, DELLA COMPETITIVITÀ, DELL'INNOVAZIONE"

La tecnologia Energy Bridge, o più in generale LNGRV, ha prospettive talmente interessanti che l’industria italiana dovrebbe seriamente prenderla in considerazione immediatamente, mentre le istituzioni centrali e locali e le popolazioni eventualmente interessate dovrebbero accogliere con grande benevolenza ogni proposta in tal senso. Si tratta di una tecnologia che va in favore della sicurezza, dell’ambiente, della competitività, dell’innovazione. Da queste pagine possiamo dirlo: si tratta davvero di “Nuova Energia”.
Veniamo all’opzione CNG e diciamo subito che da un certo punto di vista è ancora più interessante per l’Italia, anche se allo stato attuale la tecnologia è più indietro rispetto alla filiera LNGRV. In sostanza, il gas naturale estratto da un giacimento viene semplicemente compresso ad alta pressione e stoccato in appositi vessel a bordo nave; il gas viene poi trasportato e scaricato a pressioni più basse in un gasdotto sottomarino, in corrispondenza di un terminale di ricezione al largo della costa del Paese ricevente. Questa tecnologia consente di saltare non solo la fase della rigassificazione del LNG in un impianto fisso, ma anche la fase della liquefazione del gas, con risparmio notevolissimo di capitale investito. Non devono essere realizzati nè impianti di liquefazione, nè impianti di rigassificazione e inoltre le navi CNG non sono criogeniche, potendo il gas compresso essere trasportato a temperature prossime allo zero o leggermente inferiori.
La tecnologia è davvero di grande semplicità, almeno concettualmente. I problemi si incontrano all’atto pratico, quando si tenta di realizzare un vessel in grado di contenere in sicurezza gas compresso a 220 bar o più, pressione necessaria a trasportare volumi di gas compatibili con la scala industriale minima. Lo spessore di acciaio richiesto è tale da appesantire il contenitore al punto da rendere antieconomico il trasporto via nave. Per questo l’idea, certo non nuova, non è stata fino ad oggi commercialmente fattibile. Tutto sta nella realizzazione di vessel sicuri e leggeri: al giorno d’oggi la tecnologia dei materiali è progredita tanto da portare a maturazione diverse soluzioni, che sono state brevettate e sono ormai prossime all’industrializzazione.
Menziono qui 6 diverse compagnie che hanno sviluppato altrettante tecnologie CNG: SeaNG (tecnologia Coselle), EnerSea (tecnologia Votrans), Trans Ocean Gas (tecnologia FRP, l’unica con materiali plastici anziche ferrosi), C-Tech, Knutson, Floating Pipeline Company. Senza entrare nel dettaglio delle singole tecnologie per i vessel, basti dire che sono tutte prossime alla commercializzazione, ancorché ad un diverso grado di sviluppo. In generale, una nave CNG può trasportare l’equivalente di circa 28 milioni di metri cubi standard di gas, un terzo di una nave LNGRV.

Il costo di una nave CNG è invece stimabile nello stesso ordine di grandezza di quello di una nave LNGRV, per cui il costo del trasporto del CNG per metro cubo di gas è ben più alto di quello del LNGRV. Questo è il limite fondamentale della tecnologia CNG. Tuttavia, il tempo di scarico di una nave CNG è molto inferiore a quello di una nave LNGRV. Inoltre, e questo è l’importante, entro un certo volume di gas annualmente trasportato, il maggior costo unitario del trasporto è bilanciato dal risparmio economico derivante dall’assenza del terminale di liquefazione. Più del 90% degli investimenti per una catena CNG sono destinati alle navi, mentre nel caso del LNG tale quota scende al di sotto del 50%. Poichè a parità di volume scaricato, ad esempio 4 miliardi di metri cubi l’anno, il numero di navi impegnate dipende dalla distanza tra il giacimento di gas e il terminale di ricezione, è chiaro che il CNG conviene solo fino a certe distanze, ovvero fino ad un certo numero di navi. Con le tecnologie attuali, tale distanza è compresa in un range tra 100 e 5.000 km, la maggiore convenienza si ha intorno a 2.000 km (1.000 miglia).
Altro parametro fondamentale è la dimensione del giacimento da coltivare. Poichè la tecnologia CNG ha un limite superiore di capacità stimabile intorno a 4 GSm3/a, essa può convenire per sfruttare giacimenti di dimensioni contenute, fino a circa 80 miliardi di metri cubi. Nel mondo c’è una grande quantità di queste riserve “stranded”, stimata intorno a 140.000 miliardi di metri cubi (1500 anni di funzionamento del sistema gas italiano ai ritmi attuali). In definitiva, si dimostra facilmente che la tecnologia CNG conviene per lo sfruttamento di piccoli giacimenti off-shore fino a 80÷100 GSm3/a, ubicati a circa 2.000 km dal mercato ricevente. In tali casi infatti non ci sono i numeri per la realizzazione di una catena LNG e l’opzione CNG si dimostra l’unica alternativa economicamente possibile. Questo è appunto il ruolo che avrà il trasporto di CNG via nave: lo sfruttamento di piccoli giacimenti off-shore per mercati relativamente vicini. Dunque CNG e LNGRV sono tecnologie solo apparentemente in concorrenza, in realtà destinate a due segmenti che non si sovrappongono se non in piccola parte. La filiera CNG sembra fatta apposta per l’Italia: piccoli giacimenti nel Mediterraneo al largo delle coste nordafricane o mediorientali, altrimenti non coltivabili e poco appetibili, possono essere convenientemente sfruttati per alimentare il mercato italiano e auspicabilmente, attraverso l’hub-Italia, europeo. Peraltro, la tecnologia CNG è fisicamente più efficiente del LNG, avendo autoconsumi di gas di gran lunga inferiori, e consente altresì di ridurre notevolmente le emissioni di gas-serra dell’intero processo.
In linea teorica, dunque, su una scala industriale di circa 4 miliardi di metri cubi di gas l’anno, la filiera CNG sembrerebbe addirittura più conveniente della LNGRV per il sistema gas italiano, ma presenta due handicap non da poco: primo, non esiste ancora un mercato internazionale del CNG e un progetto deve essere sviluppato ex novo in modo rigido, dal giacimento al terminale di ricezione; secondo, ad oggi non è mai stata costruita alcuna nave CNG, sebbene vi siano già diverse alleanze industriali e alcuni ordinativi sembrano ormai in fase di finalizzazione. È il momento opportuno perchè qualcuno in Italia intraprenda una nuova iniziativa di sviluppo tecnologico in questa filiera, con un orizzonte realizzativo di quattro o cinque anni. Ma simultaneamente si dovrebbe anche entrare al più presto nella filiera LNGRV, più matura e con un mercato internazionale molto ampio quale è quello del LNG.
L’innovazione tecnologica offre al nostro sistema energetico la possibilità di giocare un ruolo essenziale per l’Europa nella veniente “era del gas”, obbligata transizione verso l’economia all’idrogeno (ammesso che questa arrivi…) e in generale verso la sostenibilità ambientale dello sviluppo, senza bisogno di costruire gli osteggiati terminali di rigassificazione. Basta che l’industria italiana si accorga delle innovazioni e decida in tempo di investire e cercare partnerships per coglierne i benefici attraverso la realizzazione di iniziative concrete. Dopo tanti terminali di rigassificazione falliti, è l’ora di realizzare al più presto almeno un terminale di ricezione di navi LNGRV o CNG, possibilmente entrando in tutta la filiera industriale in modo da acquisire tecnologia e know-how per replicare l’iniziativa e riproporla all’estero. Al largo delle coste italiane non vi saranno fenomeni Nimby: il gas naturale, combustibile sostenibile, potrà arrivare senza destare preoccupazioni, a tutto beneficio di un mercato più concorrenziale e di un sistema più sicuro.

 
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