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Si scrive Green Deal, si legge Europa Stampa E-mail

Si scrive Green Deal, si legge Europa

di Giuseppe Gatti


Pensavano di poter usare la contestazione al Green Deal per espugnare il Parlamento europeo prima, e poi scardinare gli assetti politici su cui si è finora retta la costruzione europea, basati sull’alleanza tra popolari, socialisti e liberali; la cosiddetta maggioranza Ursula. Questo il disegno politico delle formazioni populiste e sovraniste che hanno condotto la campagna per le elezioni di giugno e poi il dibattito sulla formazione della nuova Commissione, a partire dalla scelta del Presidente, cavalcando il disagio reale e le preoccupazioni per il futuro suscitate dalla transizione energetica.

Con due guerre sulla porta di casa, un contesto internazionale precario, con una crescente aggressività cinese, una incognita sul prossimo atteggiamento americano, un’esperienza complessivamente positiva di solidarietà europea nella gestione del Covid, una prima sperimentazione di debito comune con il Recovery and Resilience Fund, ci si poteva aspettare che il rinnovo del Parlamento europeo avrebbe suscitato un dibattitto sulla governance dell’Unione: sia nell’architettura istituzionale, mettendo sul tappeto un percorso verso una soluzione decisamente federale; sia nelle competenze da ampliare e rafforzare, con particolare riferimento alla politica estera, alla difesa ed alla finanza.

Le forze europeiste non sono state però capaci di imporre la loro agenda nel discorso pubblico e le destre hanno avuto buon gioco a cavalcare frustrazioni, rabbia e malcontento, ricondotti nella loro genesi alla tecnocrazia di Bruxelles (quasi non vi fossero responsabilità dei governi nazionali) liquidando la partita con l’assurdo slogan meno Europa.

Il Green Deal è stato così assunto come capro espiatorio e simbolo di diverse situazioni di malessere: dalla crescente disoccupazione nei Länder orientali della Germania per l’abbandono delle miniere di lignite in nome della decarbonizzazione, alla protesta degli agricoltori olandesi per il ridimensionamento degli allevamenti suini per ridurre le emissioni di CO
2, al perdurante rancore dei Gilets jaunes francesi per l’inasprimento della fiscalità sul diesel per disincentivare i carburanti fossili.

Insieme si sono eccitate ed esasperate le preoccupazioni e i timori per il futuro: dai rischi di disoccupazione di massa per la ventilata crisi dell’automotive (un settore che in Europa coinvolge 14 milioni di persone) con l’abbandono dal 2035 dei motori endotermici, ai costi inflitti alla proprietà immobiliare dalla direttiva sull’efficienza energetica, la cosiddetta Casa Green (e in Europa 7 persone su 10 abitano in una casa di proprietà).[...]


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