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Cecchi:"Il teleriscaldamento soluzione energeticaa prova di futuro" Stampa E-mail

Alessandro Cecchi
“Teleriscaldamento, soluzione energetica
a prova di futuro”

di Paola Sesti



I sistemi di teleriscaldamento rappresentano una soluzione collaudata per riscaldare, raffrescare e fornire acqua calda sanitaria agli edifici.
Ideali per valorizzare le fonti rinnovabili disponibili localmente o il calore di scarto di attività industriali e commerciali, hanno il potenziale per essere uno dei fulcri del percorso di decarbonizzazione del settore del riscaldamento.

Gli sviluppi geopolitici degli ultimi anni hanno infatti reso evidente che la crisi degli approvvigionamenti che ha minato la sicurezza energetica europea è anche (e soprattutto) una crisi del riscaldamento. Oggi in Europa il riscaldamento degli edifici rappresenta il 50 per cento della domanda di energia: il teleriscaldamento può contribuire a rafforzare l’indipendenza energetica dell’UE, oltre ad essere una soluzione consolidata e community-based. Nel nostro Paese le prime applicazioni risalgono ad oltre un secolo fa. Questo non significa che le reti di calore siano una sorta di pezzo da museo; anzi!

Nuova Energia
ha chiesto ad Alessandro Cecchi, presidente di AIRU - l’Associazione che dal 1982 promuove l’applicazione dell’impiantistica energetica relativa ai sistemi di riscaldamento urbano - di raccontare la situazione del teleriscaldamento in Italia.

“Per AIRU è molto importante avere momenti di incontro e di confronto, perché la comunicazione è centrale per il nostro settore ed ha priorità nella nostra agenda. C’è volontà da un lato e necessità dall’altro di far conoscere il teleriscaldamento e il tele-raffrescamento: la tecnologia è consolidata ma inserita in un percorso di costante evoluzione che rispecchia quella più ampia della transizione energetica. Comunicare con le istituzioni a tutti i livelli, con i media, con i consumatori, rappresenta per AIRU una priorità strategica”.

Le persone sanno di che cosa si parla quando si parla di teleriscaldamento? Ovvero, c’è ancora bisogno di raccontare il teleriscaldamento?
L’aspetto critico che percepiamo è proprio una scarsa conoscenza di questa soluzione energetica. Come AIRU possiamo svolgere un ruolo di divulgatore e promotore di un percorso di crescita della consapevolezza riguardo agli aspetti tecnici, ambientali ed economici del teleriscaldamento. Credo che ce ne sia davvero un forte bisogno, se consideriamo che il TLR può rappresentare un problem solver, in termini di tecnologia, già pronta e disponibile, capace di portare - grazie a progettualità innovative di integrazione nel contesto urbano ad impatto pressoché nullo - più efficienza, più fonti rinnovabili e più flessibilità e,
in ultima analisi, un sistema energetico più moderno ed integrato.
Parlo di impatti minimi perché tutte le tubazioni sono posate nel sottosuolo e, al netto delle attività di cantiere, la morfologia urbana non è intaccata. L’acqua calda arriva direttamente negli edifici senza generare impatti in fase di installazione e manutenzione e senza introdurre potenziali rischi (o costi connessi) legati alla combustione e all’emissione di fumi, a differenza di altri tipi di soluzioni quali ad esempio le caldaie a gas.

Facciamo un passo indietro e ripartiamo dal contesto. Qual è la situazione del teleriscaldamento in Italia?
Se guardiamo ai numeri che fotografano la situazione del teleriscaldamento - e potendo, come AIRU, basarci sulla preziosa e completa base di dati rappresentata dal nostro Annuario, vero e proprio punto di riferimento anche istituzionale della rappresentazione del settore in Italia - a fine 2022 abbiamo 231 centri urbani teleriscaldati per un totale di 279 reti. Se consideriamo anche quelle di più piccola o addirittura piccolissima dimensione, arriviamo a 429.
Per quanto riguarda le quantità di energia utile prodotta, do tre numeri: 9.173 GWh termici, 6.111 GWh elettrici - in virtù di un rilevante ricorso alla produzione combinata di energia elettrica e calore attraverso impianti di cogenerazione - e 155 GWh di frigorie per il teleraffrescamento.

Quali sono le prospettive di crescita?
Quello del potenziale - e quindi dello sviluppo dell’uso nel nostro Paese di questa soluzione per soddisfare la domanda di riscaldamento e raffrescamento – è un tema presente anche nell’agenda delle Istituzioni. Come AIRU abbiamo al Politecnico di Milano affidato uno studio sul potenziale di sviluppo del TLR al 2030. Secondo questo studio, abbiamo la possibilità di portare gli attuali 9,2 TWh del teleriscaldamento a circa 53 TWh al 2030. Questo è il potenziale che potrebbe essere abilitato, arrivando dall’attuale circa 3 per cento al 19 per cento come quota che il teleriscaldamento può coprire riguardo al totale della domanda termica del settore civile nazionale.

Dal 3 al 19 per cento vuol dire moltiplicare per sei!
È stata effettuata una valutazione tecnica, di natura energetico-ambientale, ampliando le valutazioni degli effetti che questo scenario potrebbe comportare. Usare le fonti rinnovabili termiche, o la cogenerazione ad alto rendimento in particolare se alimentata da green gas come il biometano, comporta un minor consumo di combustibili fossili ed un impiego più efficiente delle risorse energetiche. Determina inoltre minori emissioni di gas climalteranti ed una notevole riduzione della presenza degli inquinanti nell’aria, con effetti benefici in questo caso su scala non global, ma local.

La decarbonizzazione è certamente un tema importante, ma il cittadino quando esce di casa forse percepisce di più lo smog. In questo senso il teleriscaldamento è veramente un problem solver in termini di vantaggi ambientali locali e qualità dell’aria?
Il teleriscaldamento e il teleraffrescamento possono essere un’alternativa per mitigare criticità che riguardano la questione della qualità dell’aria. Lo studio del Politecnico di Milano ha anche valutato nel dettaglio cosa accadrebbe riguardo agli effetti ambientali se lo scenario ipotizzato si sviluppasse.
Oltre ad un risparmio di circa 8 milioni di tonnellate di CO
2, per quanto riguarda gli inquinanti dell’aria osserviamo delle riduzioni assai significative per molti componenti, specie in area padana e nelle metropoli. Ne scelgo due per tutti: le emissioni di NOx, quindi dell’ossido di azoto, potrebbero essere ridotte di circa il 20 per cento al 2030 e le polveri ultrasottili - il componente più critico sotto il profilo dell’impatto sulla salute pubblica - di circa il 15 per cento nei grandi centri urbani.

I cambiamenti climatici potrebbero far diminuire la domanda di calore nei mesi freddi ma, allo stesso tempo, potrebbero generare nuova domanda in aree non ancora raggiunte dal servizio di teleriscaldamento. Questo può influire sui piani di sviluppo degli operatori?
È corretto e necessario considerare la riduzione della curva di domanda di calore, proprio perché la termicità sta cambiando, le temperature medie si innalzano e la stagione fredda si accorcia. Il quadro di riferimento e gli elementi esogeni sono chiari: necessitano ora di valutazioni e risposte.
Dal punto di vista del dimensionamento dei sistemi di teleriscaldamento e di produzione di energia termica, questo fenomeno potrebbe liberare della potenza al picco (ovvero nei momenti di massima richiesta termica da parte dell’utenza) e consentirebbe di raggiungere nuovi clienti a parità di sistemi, aggiungendo solo qualche tratto di rete.
Al tempo stesso, ci darebbe la possibilità di sviluppare i sistemi per fornire raffrescamento, ex novo o supportando l’evoluzione di ciò che già c’è. Come Associazione riteniamo questa un’area prioritaria di attenzione e di sviluppo, non solo al Nord ma anche al Centro-Sud, dove la possibilità di impostare progetti di teleraffrescamento è molto ragionevole.

Stante questi benefici, nel PNIEC italiano e in generale nei documenti programmatici per la transizione, le potenzialità di sviluppo della tecnologia sono sottostimate. Cosa accade invece in Europa?
Fare dei parallelismi con altri Paesi europei – che usiamo sempre come metrica per metterci in un contesto più ampio e per non cadere nell’autoreferenzialità – è un esercizio utile, considerando anche il ruolo che l’Unione Europea ha riguardo a molte variabili, non ultima quelle del disegno del quadro regolatorio.
Naturalmente, nel fare questo esercizio è sì importante considerare tutte le casistiche possibili, ma anche rivolgere lo sguardo a quei Paesi che un po’di più ci somigliano sotto profili diversi, per esempio riguardo al livello di termicità e alla natura dei tessuti produttivi e commerciali.
Sull’Europa abbiamo un punto di osservazione privilegiato, visto che AIRU aderisce all’associazione europea di riferimento, Euroheat & Power. A fine 2023 l’Associazione - che aggiorna gli scenari a livello europeo - ha affidato all’Università danese di Aalborg una valutazione di sviluppo incentrata su rinnovabili termiche e calore di scarto, arrivando a stimare a livello europeo al 2050 un target di 2.000 TWh/anno; un potenziale teorico ma raggiungibile, adottando appropriate soluzioni tecnologiche e strumenti di policy, di portata tale da coprire con la tecnologia del teleriscaldamento l’intera domanda termica europea. [...]

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