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Il dibattito pubblico: possibile rimedio al Nimby? Stampa E-mail

Il dibattito pubblico:
possibile rimedio al Nimby?

di Antonio Di Martino


Il coinvolgimento dei cittadini costituisce un possibile rimedio alle difficoltà che si incontrano nella realizzazione di qualsivoglia opera infrastrutturale. I processi decisionali dovrebbero evolvere dal government alla governance

L’opposizione dei territori all’installazione di impianti e infrastrutture per la produzione di energia costituisce un fenomeno oramai conclamato: dovunque vengano presentati (e, talvolta, solo annunciata l’intenzione di realizzare) nuovi progetti, per naturale reazione nascono comitati che si dichiarano contrari all’opera e perseguono l’obiettivo di far realizzare l’impianto semplicemente da un’altra parte.

La sindrome NIMBY
Si tratta del cosiddetto fenomeno NIMBY (Not in My Back Yard, «Non nel mio giardino»). Il termine è utilizzato per descrivere e interpretare i conflitti ambientali e sociali: in tal senso, si suole parlare di sindrome NIMBY. Una specifica evoluzione della sindrome consiste nel fenomeno NIMTO (Not in My Term of Office, «Non durante il mio mandato elettorale»): le proteste non solo sono appoggiate dalle forze politiche di opposizione, ma sono fatte proprie dagli stessi amministratori.

La diffusione della sindrome NIMBY - rappresentata (forse, sbrigativamente) come un atteggiamento di egoismo di pochi contro l’interesse generale - costituisce un fenomeno crescente in tutte le moderne democrazie e, quindi, anche nel nostro Paese. Alla base del malcontento delle comunità locali che si mobilitano si rintracciano due possibili motivazioni: una relativa al rapporto costi/ benefici dell’opera e l’altra di natura socioculturale.

La localizzazione e la realizzazione di un impianto prevedono esternalità negative (costi) che ricadono (e devono essere sopportati) dai residenti attorno all’area prescelta per l’opera; viceversa, i benefici (esternalità positive) sono diffusi tra tutta la collettività che usufruirà di quell’opera. Siamo quindi di fronte a una distribuzione asimmetrica di vantaggi e costi che necessita di strumenti per una valutazione completa e trasparente, a monte della decisione politica.

La motivazione socio-culturale è legata piuttosto alla percezione di una minaccia alla qualità della vita (e talvolta alla sicurezza) della comunità. In questo caso, i comitati di cittadini e le Amministrazioni locali avanzano argomentazioni e paventano rischi di natura sanitaria e ambientale, allo scopo di bloccare interventi (come la costruzione di rigassificatori o di impianti eolici) che hanno una dichiarata finalità ambientale.[...]

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