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La distribuzione gas tra contendibilità promessa e transizione annunciata Stampa E-mail

La distribuzione gas tra contendibilità promessa e transizione annunciata

di Carlo Amenta / direttore dell’Osservatorio sull’economia digitale Istituto Bruno Leoni
e Carlo Stagnaro / direttore Ricerche e Studi Istituto Bruno Leoni



LE GARE PER LE RETI DI DISTRIBUZIONE GAS, PREVISTE DA OLTRE TRE LUSTRI, SONO ANCORA MOLTO INDIETRO.
PERCHÉ QUESTO RITARDO? IN CHE MODO GLI OBIETTIVI DI DECARBONIZZAZIONE POSSONO INCIDERE SULLE GESTIONI E SULLA DISCIPLINA DEL SETTORE? PERCHÉ CI SI MUOVA IN MODO PIÙ RAPIDO ED EFFICACE, FORSE È IL CASO DI UNA REVISIONE, ANCHE PER POTER AFFRONTARE LA TRANSIZIONE


Sono passati 23 anni dal Decreto Letta, che ha avviato la liberalizzazione del settore del gas naturale. Molte cose sono cambiate, ma le reti di distribuzione locale sembrano sospese in un limbo tra il vecchio e il nuovo mondo. Fino alla fine degli anni Novanta, esse erano fortemente frammentate tra una miriade di operatori e, nella maggior parte dei casi, controllate dagli enti locali.

Il decreto Letta fissò alcuni principi che, per l’epoca, erano rivoluzionari: le reti, in quanto monopolio naturale, avrebbero dovuto essere regolate da un organismo indipendente, sia sotto il profilo tariffario, sia sotto quello tecnico e di qualità; le concessioni avrebbero avuto una durata non superiore ai dodici anni e, una volta scadute, il nuovo gestore sarebbe stato individuato attraverso procedure a evidenza pubblica. Quest’ultima parte è rimasta, se non lettera morta, largamente disattesa.

Dopo un primo periodo in cui si tennero, disordinatamente e in modo non coordinato né organico, alcune gare a livello comunale, si cercò di razionalizzare la governance del comparto, trovando un equilibrio tra le diverse esigenze. Si individuarono così 177 ambiti territoriali ottimali (successivamente ridotti a 172), di dimensioni abbastanza omogenee intorno ai 120 mila clienti (sebbene i minori ne abbiano poche decine di migliaia, i più grandi oltre un milione).

E si stabilì che, all’interno di ogni ambito, a tendere ci sarebbe stato un solo gestore. Ancora una volta, si assegnò alla gara il compito di governare questo processo. L’idea era che un meccanismo di asta avrebbe consentito di individuare il soggetto più appropriato per gestire le reti in un certo ambito, massimizzando gli investimenti e minimizzando i costi sociali (sulla scorta di un’ampia evidenza internazionale sulla regolazione dei servizi pubblici).

A tal fine furono codificati una serie di criteri per valutare le diverse offerte
e attribuire un punteggio alle diverse proposte, valorizzandone non solo la componente economica, ma anche quella relativa allo sviluppo dell’infrastruttura, agli aspetti di sicurezza e qualità del servizio e all’innovazione tecnologica. Intanto, si era fatto il 2011.

Fast forward: quel lungo e faticoso lavoro di riforma ha dato dei frutti? Se guardiamo i numeri, ben pochi: alla fine del 2022, erano state bandite solo 31 gare. Di queste, appena sette risultavano concluse (2,1 milioni di PDR: Punti di Riconsegna), e soltanto tre effettivamente assegnate (per meno di mezzo milione di PDR complessivi). A cosa si deve questo stallo?
Ha senso insistere sulla strada delle gare? Che rilevanza ha il mutato contesto, sempre più segnato dall’imperativo della transizione energetica? Per rispondere a queste domande, non è sufficiente limitarsi a ripercorrere le evoluzioni normative (che, peraltro, continuano).[...]


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