Geotermia in Italia, un tesoro nascosto
di Claudia Troise, Giuseppe De Natale / INGV, Napoli
I PROBLEMI LEGATI AL CAMBIAMENTO CLIMATICO HANNO PORTATO GRANDE ATTENZIONE ALLE FONTI RINNOVABILI, EOLICO E SOLARE IN PRIMIS; NON COSÌ PER LA GEOTERMIA. DAI PRIMI IMPIEGHI DI LARDERELLO ALLE ESPLORAZIONI NELL’AREA NAPOLETANA, UN’ANALISI DEL POTENZIALE GEOTERMICO ITALIANO ALLA LUCE DELLA GRANDE OCCASIONE OFFERTA DALLE COMUNITÀ ENERGETICHE
L’Italia è stato il primo Paese al mondo, già nel 1904 con il famoso esperimento di Larderello del Principe Ginori-Conti, ad utilizzare la geotermia per la produzione elettrica. Qui, i primi impianti collegati alla rete elettrica datano
dal 1913. Soltanto dalla fine degli anni ‘50, simili impianti di produzione geotermoelettrica sorsero in altre parti: prima in Nuova Zelanda (Wairakei),
poi negli anni ‘60 negli Stati Uniti (The Geysers, in California).
Subito dopo la realizzazione dei primi impianti a Larderello, alla fine degli anni ‘30, iniziarono le esplorazioni geotermiche nell’area napoletana - Campi Flegrei e Ischia - da parte della SAFEN (Società Anonima Forze Endogene Napoli) e rilevarono in queste aree un enorme potenziale geotermico, simile o addirittura superiore a quello di Larderello.
Nel 1939, a Ischia fu costruito il primo impianto con una tecnologia totalmente innovativa per l’epoca, che oggi è impiegata nei nuovi impianti in tutto il mondo: la tecnologia binaria, in cui il fluido geotermico non viene portato direttamente in turbina come negli impianti di Larderello, ma è utilizzato per riscaldare un fluido a bassa temperatura di ebollizione, che viene fatto espandere in turbina e poi raffreddato, per chiudere il ciclo termodinamico.
La prima espansione della geotermia in Campania fu purtroppo fermata dal Secondo Conflitto mondiale, e dopo la guerra si diffusero i combustibili fossili, che avendo prezzi bassissimi scoraggiarono l’uso di altri tipi di energia, geotermia compresa. L’impianto binario di Ischia, di potenza nominale di circa 500 kW, funzionò fino alla metà degli anni ‘50; fu poi abbandonato e dismesso per la diffusione anche sull’isola dei combustibili fossili.
Dopo la crisi petrolifera del 1973 (guerra arabo-israeliana detta del Kippur), l’impennata dei prezzi del petrolio spinse il governo italiano a riconsiderare l’utilizzo della geotermia nelle aree vulcaniche napoletane (e in altre aree considerate ad alto potenziale, come il Lazio settentrionale).
Le due aziende di Stato di allora, Enel e Agip, intrapresero un massiccio programma di esplorazioni nei Campi Flegrei, che rilevò gradienti termici enormi, fino a 500 °C/km negli strati più superficiali, nell’area occidentale
della caldera flegrea (zona Mofete) e a Nord di Pozzuoli (zona San Vito).
Le esplorazioni terminarono nel 1985, ma anche allora non si realizzò nulla perché intanto l’Italia aveva intrapreso il primo piano nucleare, che fu bruscamente cancellato dopo il disastro di Chernobyl del 1986.
I gravi problemi legati al cambiamento climatico hanno portato, negli ultimi decenni, grande attenzione alle fonti rinnovabili, anche indipendentemente
dalla loro convenienza economica immediata. Purtroppo, anche in un tale frangente - di cui hanno fortemente beneficiato l’energia da fonte eolica e solare - la geotermia è stata praticamente trascurata. Un po’ perché se ne era ormai perso il ricordo e l’esperienza diffusa (concentrata però in Enel, che dagli anni ‘60 gestisce gli impianti di Larderello-Amiata con una potenza totale installata di circa 900 MW, che forniscono circa il 25 per cento del consumo elettrico della Toscana), un po’ perché circondata da un’aura di sospetto e di fake news catastrofiste. [...]
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