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Merlo: "Un futuro nel segno del GNL" Stampa E-mail

Davide Canevari

Gian Battista MerloSaranno il gas naturale e il carbone i protagonisti assoluti del prossimo quarto di secolo. Gli esperti prevedono, infatti, una crescita media annua dei consumi mondiali pari rispettivamente all’1,7 e all’1,6 per cento, rispetto all’1,4 per cento delle energie alternative (nucleare, idroelettrica, eolica, biomasse) e all’1,4 del petrolio.
L’aumento della domanda planetaria, in particolare per il gas naturale, comporterà un radicale mutamento degli scenari attuali. Non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi. Nei dettagli della questione gas scende Gian Battista Merlo, presidente di ExxonMobil Mediterranea, la holding delle attività ExxonMobil in Italia e nel bacino del Mediterraneo.


Quali differenze si potranno riscontrare nelle principali aree geografiche del Pianeta?
L’America del Nord, grazie ai processi nel campo dell’efficienza e all’incremento di fonti diversificate quali il carbone e l’energia nucleare, riuscirà a contenere l’aumento della domanda di gas naturale nell’ordine di mezzo punto percentuale all’anno. Esigenze legate soprattutto alla produzione di energia elettrica spingeranno con maggiore vigore i consumi in Europa (più 1,5 per cento/anno).
Ma la spinta principale giungerà dall’Asia e dai Paesi del Pacifico. Se oggi quest’area è sensibilmente distante – in termini di consumi – dall’America del Nord, nel 2030 il gap potrebbe addirittura annullarsi e il fabbisogno annuo potrebbe attestarsi a circa 935 miliardi di metri cubi/anno. Il che significa un incremento medio del 3,7 per cento annuo rispetto ai consumi attuali.

Questo scenario in rapida evoluzione richiederà anche una profonda trasformazione del mercato mondiale per quanto concerne il trasporto della materia prima dalle zone di estrazione.…
Certamente. In molte aree la differenza tra produzione locale e consumi andrà aumentando sensibilmente. Le importazioni dovranno soddisfare una quota parte crescente dei fabbisogni e di conseguenza la tecnologia del GNL giocherà un ruolo di primaria importanza. Prendiamo, ad esempio, il Nord America.
Nei prossimi anni si evidenzierà un calo della produzione interna che versarà coperto proprio attraverso le importazioni di GNL (al 2030 il gas naturale liquefatto fornirà un quarto degli approvvigionamenti totali di gas). Non differente la situazione in Europa. Sempre guardando all’orizzonte del 2030, le importazioni di gas naturale saliranno a circa l’85 per cento della domanda; il GNL assicurerà una quota significativa di queste importazioni.

E l’Asia?
Nel 2000 il commercio mondiale di GNL si attestava intorno ai 150 miliardi di metri cubi all’anno, con la domanda dominata proprio da due Paesi asiatici: Giappone e Corea del Sud. Già oggi, quindi, il GNL rappresenta una soluzione molto importante per quest’area. A maggior ragione lo sarà nei prossimi 25 anni, fino a coprire circa un terzo dell’approvvigionamento. Il processo non sarà semplice da attuarsi. Le importazioni di GNL verso il Nord America e l’Europa, come detto, cresceranno ancora più rapidamente di quelle verso l’Asia e il Pacifico e queste tre aree si troveranno a competere per coprire il proprio fabbisogno.

Entrano dunque in gioco anche i Paesi fornitori. Come sta cambiando la mappa delle aree di approvvigionamento?
Cominciamo con il dire che nel complesso, il commercio mondiale del GNL, al 2030, sarà aumentato di circa 5 volte rispetto al 2000, attestandosi intorno ai 720 miliardi di metri cubi annui e rappresentando circa il 15 per cento del mercato mondiale del gas naturale. In questo contesto l’offerta si sposterà dall’Asia/Pacifico (sempre nel 2000 Indonesia, Malesia e Australia erano i principali fornitori) verso il Medio Oriente, con il Qatar destinato a divenire il principale esportatore.
Nel 2030 le esportazioni di GNL dal Medio Oriente saranno circa il doppio di quelle provenienti dall’Africa o dall’Asia Pacifico.

Veniamo alla situazione italiana.
Anche nel nostro Paese è previsto un incremento dei consumi. Dagli 86 miliardi di metri cubi all’anno del 2006 si arriverà ad oltre 90 miliardi nel 2010. Poiché la produzione nazionale è prevista in declino, si dovrà ricorrere in maniera sempre più massiccia all’import. Attualmente, il gas d’importazione raggiunge il nostro Paese attraverso quattro metanodotti, ciascuno fisicamente vincolato ai Paesi fornitori (Russia, Algeria, Libia, Nord Europa). Oggi solo una minima parte è sotto forma di gas naturale liquefatto e raggiunge il terminale di Panigaglia.

E questo è un limite al quale si sta cercando di porre rimedio.
Da tempo la realizzazione di nuovi terminali GNL in Italia è stata giudicata d’interesse nazionale; a partire dal programma di azione elaborato nell’ambito della Conferenza nazionale energia e ambiente, organizzata dall'Enea per conto del governo nel novembre del 11998. Oggi il progetto italiano di stoccaggio e rigassificazione di gas naturale liquefatto che si trova in fase più avanzata è il terminale offshore della società Terminale GNL Adriatico Srl, che sorgerà al largo della costa veneta, nel Mare Adriatico. Sarà posizionato al largo di Porto Levante, a una distanza di circa 15 km dalla costa, e posato sul fondale, in acque profonde 30 metri, dalle quali emergerà per circa 15 metri risultando praticamente invisibile dalla costa. La struttura rappresenterà una delle realizzazioni tecnologicamente più avanzate dell’intero settore energetico italiano ed europeo.
Le forniture di gas legate a questo progetto saranno estratte in Qatar dal giacimento North Field, il più grande giacimento di gas al mondo (oltre 25.000 miliardi di metri cubi). La società è una joint venture tra ExxonMobil Italiana Gas (45 per cento), Qatar Terminal Limited (45 per cento) ed Edison (10 per cento). Il Terminale GNL Adriatico è incluso nella lista delle “opere strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese” (delibera CIPE 121 del 21/12/2001). È inoltre nella lista dei progetti di comune interesse europeo (decisione del Parlamento e del Consiglio del 26 giugno 2003) che stabilisce un insieme di orientamenti relativi alle reti trans-europee nel settore dell’energia (G.U.C.E. n. L176 del 15/7/2003). Questo progetto è stato anche identificato dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas e dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato come elemento essenziale per migliorare la competitività del mercato italiano del gas naturale.

Come è stata affrontata la questione ambientale?
La localizzazione dell’area dove installare il terminale e la condotta sottomarina è stata effettuata a seguito di approfonditi studi sismici, geologici e meteomarini sviluppati a livello nazionale e che ne hanno determinato la scelta, in quanto ritenuta ottimale per la sicurezza dell’esercizio dell’impianto e per l’impatto valutato pressoché nullo sull’ambiente. Tutti gli aspetti progettuali, costruttivi e ambientali, con particolare riferimento alla sicurezza e alla tutela del paesaggio, sono stati vagliati sulla base dei più rigorosi standard internazionali ed il progetto ha quindi ottenuto la Valutazione di Impatto Ambientale positiva dal Ministero ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. In collaborazione con l’Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare e con l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto è stato definito un Piano specifico che prevede il monitoraggio dei diversi ambienti di intervento del progetto (mare, laguna, terraferma e atmosfera) prima dell’inizio dei lavori, durante la costruzione e nella fase di esercizio dell'impianto.

Eppure non sono mancate le opposizioni a livello locale. Il problema dell’accettabilità sociale di nuove infrastrutture sul territorio resta cruciale. Perché è così sentito in Italia? E come potrebbero essere superate le rigidità attuali?
Quando si parla di questi problemi si fa subito riferimento alla cosiddetta sindrome Nimby, che notoriamente è l’acronimo di una frase inglese: non in my back yard. Quindi non si può certo dire che si tratti di una “invenzione” tutta italiana. Certo, da noi assume aspetti forse più evidenti. Spesso il problema nasce da una mancanza di informazioni e da una incapacità di parlare con il cittadino sul territorio.

Ci descriva la vostra esperienza, in merito al terminale GNL.
In Italia, negli ultimi decenni, nessuno ha costruito nuovi terminali. Non è quindi stato facile promuovere la realizzazione di Porto Levante, anche perché la gente legava a quest’opera concetti di rischio, pericolo, esplosione, disturbo… Ancora oggi, pur avendo già realizzato il 65 per cento del progetto, non mancano episodi di resistenza, come se ancora si dovesse decidere se costruirlo o meno. Posso però affermare che il dialogo sul territorio e una costante informazione sulle ricadute positive dell’iniziativa hanno dato i loro frutti. Per esempio, abbiamo affrontato l’aspetto della sicurezza, evidenziando come ci siano moltissime realizzazioni di terminali in giro per il mondo che funzionano regolarmente da parecchi anni; oppure la questione ambientale. Anche in questo caso abbiamo scelto la strada della comunicazione evidenziando, ad esempio, come gli scavi per la posa in opera della condotta che collegherà alla terra ferma non possono essere ritenuti invasivi.
Basti pensare che l’Italia è percorsa da 100 mila chilometri di tubi e che una volta ricoperti gli scavi non si noterà nulla. Poi ci sono gli aspetti prettamente economici: il nuovo terminale ha permesso di assumere oltre un centinaio di persone e, a regime, richiederà di attivare contratti con decine di aziende, anche piccole, sul territorio. Quando la gente comincia a percepire queste cose, allora l’atteggiale mento cambia. D’altra parte un progetto di tali dimensioni e di tale portata economica deve avere una vita utile di almeno 40 anni; deve quindi essere accettato e “condiviso” a livello locale.

E poi ci sono i problemi geopolitici e di sicurezza nelle aree di estrazione. Ormai sembrano diventati più “pressanti” del tema dell’esaurimento delle riserve. Quali scenari vede per l’immediato futuro?
Attualmente i principali giacimenti di gas naturale si trovano in Russia e in Iran, due Paesi che destano qualche preoccupazione a livello internazionale. L’unica soluzione possibile per attenuare l’effetto di eventuali tensioni è proprio quella di diversificare le aree (e i mezzi) di approvvigionamento, di aumentare l’interconnessione tra le reti, di accrescere le alternative. La scelta del nostro terminale va proprio in questa direzione. Apre a nuovi Paesi – nella fattispecie il Qatar – e ha meno vincoli di un gasdotto che, giocoforza, ha un solo punto di partenza. È vero che all’atto della costruzione di un terminale di rigassificazione vengono già previsti contratti pluriennali di fornitura. Ma è altrettanto evidente che in caso di crisi o di problemi contingenti è più facile continuare a ricevere gas da altre aree.

Torniamo alla situazione dell’estrazione in Italia. Le prospettive sono di un sempre più accentuato calo per il gas. E per il petrolio? Quali obiettivi si pone il nostro Paese per i prossimi anni?
La situazione del gas non è rosea. Lo scorso anno in Italia sono stati estratti 12 miliardi di metri cubi di gas, con un calo di 9 punti percentuali rispetto all’anno prima. A metà degli Anni ’90 si raggiungeva, invece, il picco di circa 25 miliardi/anno. Il vero problema non riguarda l’esaurimento – fisiologico – dei pozzi già conosciuti, ma lo stop assoluto alla scoperta e alla messa in produzione di nuovi giacimenti.
Per quanto riguarda il petrolio, nel 2006 sono state estrattei 5,6 milioni di tonnellate con un calo, anche in questo caso, rispetto al 2005 (meno 5,6 per cento). La recente partenza di Val d’Agri è molto promettente e dovrebbe arrivare, una volta a regime, a 100 mila barili al giorno. Però non mancano i problemi. In Italia dalle prime esplorazioni alla messa in produzione di un sito possono passare 9/10 anni rispetto ai cinque medi degli altri Paesi. E questo scoraggia parecchio i grandi operatori internazionali.

Exxon Mobil compresa?
Abbiamo vissuto in prima persona un’esperienza di questo genere in Basilicata, nel giacimento di Tempa Rossa, una joint venture ExxonMobil (25 per cento), Shell Italia (25 per cento) e Total Italia (50 per cento). La scoperta risale ai primi anni Novanta; nel 1999 sono stati effettuati i primi test di pompaggio e produzione e le valutazioni sulla consistenza del giacimento: 200 milioni di barili estraibili con buone probabilità di andare oltre. L’accordo con la Regione sulle compensazioni ambientali è stato fir- mato nel settembre del 2006. Ora le previsioni più rosee per una partenza della produzionie si attestano al 2011. È sinceramente troppo. L’Italia ha delle potenzialità importanti; secondo Assomineraria 2 miliardi di barili di olio come riserve certe e da 2 a 4 miliardi come riserve probabili. Ma se le prospettive sono di tempi così lunghii…

Alcune compagnie petrolifere stanno diversificando nelle rinnovabili. Per quali motivi e con quali obiettivi? Si arriverà, in futuro, ad avere “sette sorelle” del solare o dell’eolico?
Difficile rispondere. Le nostre previsioni come ExxonMobil Corporation sono che al 2030, nonostante i forti tassi di crescita attuali, eolico e fotovoltaicao non forniranno più dell’1 per cento del fabbisogno totale di energia a livello mondiale. Siamo quindi solo agli inizi di un processo di crescita e sviluppo che avrà tempi molto lunghi. In questa fase, secondo noi, è molto importante investire in ricerca, ancora più che iniziare a produrre. Occorre trovare soluzionei tecnologiche perché queste (o altre) fonti diventino davvero competitive, efficienti, funzionali. Questa, ad esempio, è la strada che abbiamo scelto come ExxonMobil.
Allo stesso modo, proprio per le cifre che abbiamo detto in precedenza, pensiamo che sia altrettanto basilare investire in ricerca sulle fonti tradizionali perché anche la generazione da combustibili fossili possa diventare sempre più rispettosa dell’ambiente ed efficiente.

 
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