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Emission trading, ecco una proposta nel segno dello sviluppo sostenibile Stampa E-mail

di Alessandro Ortis, presidente Autorità per l'energia elettrica e il Gas

La preoccupazione per quanto riguarda l’impatto delle attività umane sul clima è oggi largamente condivisa e anche l’Autorità ritiene prioritario un atteggiamento responsabile per la salvaguardia ambientale e a favore di strategie tese a garantire uno sviluppo sostenibile.
Infatti, la vera sfida, a nostro parere, è oggi incidere alla radice del problema, mettendo in atto misure che non guardino alla questione climatica in maniera parziale e i cui effetti indotti non finiscano per risolversi in soluzioni non adeguate ai problemi.
L’attenzione dei Governi e dei cittadini è oggi giustamente fissata sul problema delle emissioni di CO2 , considerato il principale gas climalterante. L’ormai acquisita consapevolezza dell’insostenibilità dei trend attuali di emissione ha imposto anche all’agenda politica l’adozione di solleciti interventi correttivi. La Commissione europea si è impegnata, in particolare: a perseguire il 20 per cento di riduzione delle emissioni di gas climalteranti nel 2020 rispetto al livello del 1990; a raggiungere il 20 per cento di risparmio nei consumi energetici rispetto alle previsioni per il 2020; a portare al 20 per cento la quota di copertura da fonti rinnovabili sul totale dei consumi energetici entro il 2020; a prevedere una quota minima del 10 per cento per i biocarburanti nel totale dei consumi di benzina e gasolio per autotrazione.
Si tratta di misure impegnative, destinate ad avere significativi impatti sullo sviluppo del settore energetico e del settore industriale, ma a nostro avviso la prima questione che va analizzata è se siano misure in grado di cogliere effettivamente un significativo risultato in termini ambientali.
In effetti la principale misura,ovvero la riduzione del 20 per cento delle emissioni di gas climalteranti, risente di un approccio, quello utilizzato dodici anni fa per il protocollo di Kyoto, basato sulla sostanziale coincidenza, per grandi aree territoriali, tra emissioni effettive ed emissioni indotte dai consumi del territorio stesso. Ad esempio in Europa la modesta dimensione degli scambi commerciali tra Continenti rendeva in effetti sostanzialmente coincidenti un vincolo sulle emissioni prodotte o un vincolo sulle emissioni associate ai consumi europei.
L’ingresso nel WTO di importanti Paesi asiatici,e in particolare della Cina, ha tuttavia cambiato radicalmente la situazione.
L’enorme incremento delle emissioni di gas climalteranti di questi Paesi negli ultimi anni non è imputabile solo all’incremento dei consumi interni, il che da vari punti di vista potrebbe essere legittimo ed equo, ma è dovuto soprattutto al fortissimo incremento delle esportazioni; si tratta quindi di maggiori emissioni per soddisfare consumi di altri Paesi, e in particolare anche dell’Europa.
È altrettanto noto che in questi stessi territori i beni sono di norma prodotti con tecnologie e processi maggiormente inquinanti rispetto all’Europa; il che implica che, a parità di consumi europei, lo spostamento della produzione in quei Paesi induce emissioni più elevate.
La domanda è quindi: può essere un obiettivo ambientalmente accettabile per l’Europa quello di ridurre le emissioni di gas climalteranti sul proprio territorio sapendo che ciò indurrà un incremento globale delle emissioni?
Noi crediamo che sia indispensabile, per valutare correttamente le emissioni europee, considerare non soltanto quelle determinate dalle produzioni europee, ma quelle ascrivibili ai consumi del nostro Continente.
Fino a quando l’acquisto in Europa di un bene prodotto in altri Continenti non verrà computato in alcun parametro di valutazione ambientale europeo, non vi sarà alcuna garanzia di agire verso il contenimento delle emissioni; anzi è reale il rischio di concorrere a incrementarle attraverso un pur indesiderato incentivo indiretto a importare o a delocalizzare le “produzioni” in territori ove la tutela ambientale è ben poco praticata.
Non ci sfugge la complessità di passare da un approccio di limiti alle emissioni su base territoriale a un approccio di limiti alle emissioni indotte “per prodotto”; ma, sia pure nel medio termine, è necessario evitare di procedere su una strada che comporta rischi di produrre risultati opposti.
I processi in corso di revisione della direttiva Emission trading e di revisione degli strumenti di difesa commerciale dell’Unione europea potrebbero essere anche l’occasione per studiare regole idonee a contrastare gli effetti antiambientali, prima ancora che anticompetitivi, di pratiche commerciali che non garantiscono standard adeguati per l’ambiente. Lo stesso rapporto Stern, commissionato dal Governo inglese, ha indicato la necessità di stabilire un prezzo del carbonio attraverso tasse, commerci e regolamenti.
Tutto questo, naturalmente, non significa che gli strumenti finora messi in campo vadano nel frattempo abbandonati, ma, a parere di questa Autorità, essi devono al più presto essere ricalibrati nelle modalità.

EMISSION TRADING
Nel corso del 2006 sui mercati internazionali dei gas ad effetto serra si sono svolte transazioni per più di 1.600 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente, per un valore complessivo di circa 23 miliardi di euro. Ancora prima dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto (16 febbraio 2005) è divenuto operativo il sistema europeo di scambio delle quote di emissioni climalteranti per alcuni settori produttivi (Emission Trading), introdotto dalla direttiva 2003/87/CE. Nella forma adottata a livello europeo, il meccanismo di scambio prevede la definizione di un livello massimo di emissioni tollerate a fronte del quale vengono assegnati ai soggetti partecipanti al sistema permessi di emissione in termini di unità di inquinante per anno.
Durante il periodo di conformità del sistema i partecipanti devono monitorare e valutare le proprie emissioni, poiché al termine dello stesso dovranno restituire tanti permessi quante sono state le unità di inquinante emesse. Nel caso i soggetti dovessero trovarsi nella condizione di aver superato i limiti di emissione potranno far ricorso a degli appositi mercati dei diritti di emissione, attivi su scala europea.
Nel 2006 sul mercato europeo delle emissioni sono stati scambiati circa 1.100 milioni di tonnellate di anidride carbonica per un valore di 19 miliardi di euro.
In base all’accordo europeo su Kyoto,cosiddetto Burden Sharing europeo, l’obiettivo dell’Italia corrisponde ad una riduzione del 6,5 per cento delle emissioni dei principali gas ad effetto serra rispetto ai valori del 1990. Tale impegno desta tuttavia preoccupazione; questo, almeno nel settore elettrico, perché emerge sempre più chiaramente il gap tra i tempi necessari per l’evoluzione della tecnologia di produzione del settore e i tempi che la direttiva impone per il raggiungimento degli obiettivi di contenimento delle emissioni.
Queste, a parere dell’Autorità, le potenziali criticità del meccanismo sotto il profilo della concorrenza:

  • le allocazioni gratuite dei diritti di emissione sono avvenute in presenza di una struttura di mercato ancora fortemente concentrata e non sufficientemente competitiva, che lascia margini agli operatori di maggiori dimensioni per rilevanti profitti addizionali a scapito dei consumatori finali;
  • in particolare, i settori industriali energivori, anch’essi soggetti agli obblighi della stessa direttiva sulle emissioni, rischiano di sostenerne l’onere maggiore in quanto esposti alla concorrenza internazionale, in presenza di regimi non armonizzati tra i diversi Paesi;
  • le modalità di determinazione della riserva devono essere attentamente valutate al fine di evitare possibili penalizzazioni degli impianti esistenti o barriere all’entrata per i nuovi entranti;
  • non sono ancora coinvolti alcuni settori caratterizzati da elevate emissioni, quali ad esempio i trasporti.

Con riferimento al settore termoelettrico, è possibile valutare in circa 0,53 euro/MWh il costo medio unitario nel triennio 2005-2007 per l’acquisto di permessi di emissioni finalizzati a coprire la differenza (pari a circa 44 milioni di tonnellate di anidride carbonica nel triennio) tra emissioni effettive e quote assegnate dal Piano di allocazione nazionale.
Nel successivo quinquennio 2008-2012, corrispondente al periodo di applicazione del Protocollo di Kyoto, il disavanzo medio annuo di quote a carico del settore termoelettrico potrebbe aumentare sensibilmente, con un prevedibile aggravio del costo dell’energia elettrica nel nostro Paese, soprattutto qualora i produttori di energia elettrica, meno esposti alla concorrenza internazionale rispetto ai settori industriali energivori, decidessero di traslare sui prezzi l’intero valore unitario della quota di emissione, anziché il costo medio per l’acquisto delle quote mancanti: l’effetto sui prezzi medi potrebbe in tal caso superare anche i 5 euro/MWh.
Infatti, l’ancor scarsa concorrenzialità del mercato elettrico italiano ha permesso ad alcuni produttori/fornitori di introdurre clausole contrattuali per il reintegro dei costi derivanti dall’ETS che di fatto possono aver limitato gli incentivi alla riduzione di CO2 previsti dal sistema; si tratta in questo caso, ancora una volta,di distorsioni derivanti dall’applicazione di un sistema uniforme in un contesto complesso e ancora estremamente variegato.
A livello europeo i risultati raggiunti nei primi due anni di attuazione del meccanismo dell’Emission Trading indicano chiaramente come la generale sovrallocazione delle quote abbia determinato un risultato complessivo poco soddisfacente: come conseguenza della sovrallocazione, infatti, il prezzo dei permessi di emissione sui mercati a pronti è crollato dai circa 30 euro per tonnellata di anidride carbonica nell’aprile 2006 agli attuali 50 centesimi di euro, con potenziali risvolti negativi in termini di segnali di prezzo per i nuovi investimenti in tecnologie a più basso impatto ambientale.
L’Italia, in forte controtendenza rispetto al trend europeo, oltre ad aver avuto un deficit di quote nel 2005, ha visto aumentare il livello di sottoallocazione nel corso del 2006, ancorché in parte compensato dalle recenti assegnazioni ai nuovi entranti.
Tra gli altri Paesi solo il Regno Unito e la Spagna hanno sperimentato una sottoallocazione maggiore o comunque comparabile a quella italiana nei primi due anni di operatività del sistema. Occorre tuttavia evidenziare che Regno Unito, Spagna e Italia, in sede di predisposizione dei rispettivi Piani di assegnazione nazionale, hanno destinato a riserva una quota significativa di permessi di emissione per far fronte ai nuovi investimenti in potenza di generazione. Ciò potrebbe quindi in parte compensare il deficit di permessi ad oggi registrato, qualora ai nuovi entranti nel mercato vengano effettivamente assegnate quote in linea con quelle previste ex-ante.
Nel 2006 la Commissione europea, nell’ambito dell’attività di monitoraggio sull’implementazione del sistema europeo Emission Trading, ha attivato un processo di revisione della Direttiva per definire le modifiche che entreranno in vigore nel 2013.
Alcuni elementi riceveranno particolare attenzione nell’ambito di un ampio processo di consultazione con tutti gli stakeholder. In particolare:

  • l’eventuale estensione della Direttiva agli impianti di combustione di piccole dimensioni, ad altri settori industriali e ad altri gas ad effetto serra (in primis protossido di azoto e metano);
  • la necessità di armonizzare i Piani di assegnazione nazionale dei diversi Stati membri, eventualmente con un tetto unico a livello europeo; l’esperienza di questi primi anni ha rivelato notevoli differenze nell’interpretazione e nell’applicazione di alcune norme per la stesura dei Piani di assegnazione nazionale da parte dei diversi Stati, differenze che potrebbero generare distorsioni e asimmetrie e rappresentano uno dei punti più critici di questo meccanismo;
  • la necessità di operare su un orizzonte temporale più esteso per aumentare la credibilità e la prevedibilità del sistema;
  • l’introduzione di regole uniformi per il monitoraggio e la certificazione delle emissioni;
  • l’eventuale armonizzazione con sistemi di Emission Trading di Paesi terzi dei criteri di ammissibilità dei progetti previsti dai meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto;
  • l’analisi delle interazioni tra il sistema Emission Trading e la tassazione energetica.

L’Autorità, nell’ambito delle attività del CEER, è impegnata a fornire il proprio contributo nel processo di revisione del sistema europeo dell’Emission Trading affinché ne scaturisca una soluzione più equa e soprattutto, come detto in premessa, più efficace dal punto di vista ambientale e nel contempo non distorsiva sotto il profilo della concorrenza.

 

 

 
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