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La guida autonoma e i suoi gradini Stampa E-mail

La guida autonoma e i suoi gradini

di Lorenzo Principali, Senior Research Fellow di I-Com e Antonio Sileo, direttore Osservatorio Innov-E di I-Com

SAE INTERNATIONAL E ISO HANNO RILASCIATO UN AGGIORNAMENTO SIGNIFICATIVO RISPETTO ALLA TASSONOMIA CLASSICA DEI LIVELLI DI GUIDA AUTONOMA. CON IMPORTANTI CHIARIMENTI SU ALCUNI TERMINI.
E QUALCHE DISTINZIONE...

Di guida autonoma si sente parlare sempre più spesso, tanto da essere citata anche nelle pubblicità delle autovetture. Ma cos’è quest’autonomia e a quale livello viene davvero offerta? A maggio 2020, SAE International e ISO (International Organization for Standardization) hanno rilasciato congiuntamente un aggiornamento significativo rispetto alla tassonomia classica dei livelli di guida autonoma pubblicati da SAE (nel documento J3016). Sebbene lo schema - suddiviso in 5 livelli - rimanga lo stesso, sono stati chiariti alcuni aspetti in particolare relativi alle differenze tra il livello 2 e il livello 3 e rispetto alla distinzione nell’automazione di livello 3 e 4, così come l’utilizzo di termini per definire più specificamente la funzionalità di supporto remoto.

Per chiarire la distinzione tra livello 2 e livello 3 è stato posto l’accento sulla differenza tra un OEDR (ovvero il rilevamento e la risposta rispetto ad oggetti ed eventi) parziale e uno completo. A tal proposito, la presidente di SAE, Barbara Wendling ha sottolineato anche l’inesistenza dei cosiddetti livelli intermedi o plus (ad esempio, il livello 2 plus).
Rispetto a questi, infatti, sebbene il marketing provi a giocare sulla complicazione, la stessa Wendling ha evidenziato come non sia appropriato definire di livello 3 un veicolo cui l’utente deve continuamente prestare attenzione e ogni due secondi viene richiamato all’operatività (non potendo quindi fruire al contempo dei sistemi di infotainment) relegando questa modalità di assistenza alla guida inevitabilmente al livello inferiore. In particolare, la differenza chiave tra livello 2 e livello 3 sta proprio nel fatto che, nel primo caso, l’utente debba sempre essere pronto a prendere il controllo del veicolo. Nel livello 3, invece, la possibilità di prendere il comando dovrebbe essere limitata a situazioni particolari, che evidentemente non devono costituire situazioni critiche per la sicurezza e che dovrebbero essere segnalate dal sistema di guida.
Nel livello 4, il sistema dovrebbe essere in grado di gestire automaticamente il fallback, ovvero l’intervento in caso di imprevisti. Per chiarire il punto, qualora il veicolo si trovi a dover superare un altro veicolo in doppia fila, e per questo sia necessario entrare nella corsia opposta, un sistema di livello 3 dovrebbe assegnare la guida al pilota umano, mentre un sistema di livello 4 dovrebbe essere in grado di ricevere dal sistema stesso (in senso allargato), sotto forma di istruzioni, il modo per gestire autonomamente l’operazione, senza la diretta assistenza umana.

Come ormai noto, la sostanziale differenza tra il livello 4 e il livello 5 consiste nella capacità di quest’ultimo di svolgere questi task in ogni contesto geografico e orografico (qualsivoglia città, quartiere, strada extraurbana, autostrada) e in ogni contesto meteoclimatico inclusa forte pioggia, neve e scarsa visibilità.
Dal punto di vista tecnologico, ciò rende la creazione dei sistemi di guida autonoma di livello 5 un’operazione estremamente complessa, secondo alcuni esperti addirittura impossibile da raggiungere. In un articolo di aprile 2021, dal titolo Why AI is Harder Than We Think, Melanie Mitchell riassume bene la situazione, sottolineando come al momento vi sia la necessità, per tutti i progetti sperimentali in corso, di circoscrivere le aree in cui questi avvengono sia geograficamente, sia rispetto alle condizioni climatiche, peraltro utilizzando piloti umani sempre pronti a prendere il controllo dei veicoli (in presenza o in remoto). Nella pratica, osservando le tecnologie effettivamente operative, si osserva come sul mercato siano presenti soltanto il Super Cruise di GM, che si concretizza in un cruise control avanzato e l’Autopilot (una denominazione piuttosto ottimistica se non equivoca) di Tesla, con funzioni analoghe.

Una denominazione accattivante sul piano del marketing, ma fin troppo rischiosa sul piano reputazionale e della corretta comunicazione nei confronti dei clienti. Dopo numerose critiche, incidenti, denunce e indagini locali (30 i fascicoli aperti, 10 le vittime di incidenti in cui l’Autopilot era inserito) ad agosto scorso la National Highway Traffic Safety Administration (NHTSA), l’agenzia governativa americana per la sicurezza stradale, ha notificato l’indagine e chiesto specifiche informazioni sulla tecnologia utilizzata per garantire il riconoscimento di un veicolo in sosta di emergenza: 17 feriti e una vittima tra gli episodi contestati.
Per l’Europa citiamo solo la prima Corte regionale di Monaco che a luglio 2020 ha proibito a Tesla Germany di utilizzare alcune descrizioni del software Autopilot nelle pubblicità, considerate fuorvianti. In particolare, l’azienda statunitense, o meglio la sua filiale tedesca, non potrà più utilizzare negli spot frasi come Pieno potenziale di guida autonoma e Pilota automatico incluso.
Mentre, alla chiusura di questo articolo, la Kba, l’autorità tedesca dei trasporti, ha approvato l’utilizzo del Drive Pilot di Mercedes che offre una guida assistita di livello 3 su diversi tratti autostradali, ponendo così le basi per una diffusione europea del sistema.

Tra i servizi più sviluppati vi è quello della consociata di GM Cruise a San Francisco, che sta conducendo test con veicoli autonomi senza conducente al volante ma con un essere umano che monitora le prestazioni del veicolo dal sedile posteriore, e un servizio di robotaxi commerciale di Waymo (la controllata da Alphabet Inc. - ovvero Google - che opera nel campo dei veicoli a guida autonoma) che opera negli Stati Uniti senza alcun conducente umano, limitata però ad un’area piuttosto ristretta della città metropolitana di Phoenix. Nel caso di Aurora – start up di autotrasporti a guida autonoma, che ha recentemente acquisito la divisione di guida autonoma di Uber (e Uber ha investito 400 milioni di dollari nella stessa Aurora) - il progetto prevede di far operare i veicoli solo su autostrade per le quali l’azienda ha sviluppato una mappa tridimensionale ad alta risoluzione.
In questa fase, il limite tecnologico nello sviluppo di servizi di guida completamente autonoma giace nelle attuali modalità di funzionamento dell’intelligenza artificiale. Come spiegato da Mary Cummings, professoressa di informatica e direttrice dello Humans and Autonomy Lab della Duke University, nel suo articolo Rethinking the maturity of artificial intelligence in safety-critical settings, esistono tre tipi di apprendimento ragionato: quello basato sulle regole, quello basato sulla conoscenza e quello esperto. Nel primo caso, lo scopo consiste nel far seguire alle auto una serie di regole fisse (ad esempio, come comportarsi di fronte ad un segnale di stop); nel secondo, occorre addestrarle su cosa fare nel caso di regole non completamente chiare e univoche (se lo stop è semi-coperto da un albero); il terzo, il più complesso, riguarda cosa fare in uno scenario completamente nuovo.

Gli attuali sistemi di guida autonoma non sono in grado di elaborare una rappresentazione del mondo basata sulla conoscenza, e i tentativi di compensare questa mancanza con la creazione di mappe ultra-dettagliate - attualmente necessarie per riempire gli spazi vuoti nei dati raccolti dai sensori - tendono ad avere molteplici criticità, dovute in particolare alla frequenze degli aggiornamenti (ad esempio, un cantiere stradale non mappato) e alla precisione delle informazioni che occorrono per far fronte a tutti i possibili imprevisti. In particolare, si osserva come i sistemi di apprendimento automatico, eccellenti nell’abbinamento dei modelli, non siano ancora efficaci nell’estrapolazione, ovvero nel trasferire da un dominio a un altro ciò che hanno appreso.
Un interessantissimo esempio chiarisce la questione: mentre un bambino, una volta capito che un forno è caldo (perché avvertito o dopo essersi scottato) tende ad applicare tale nozione a tutti i forni che incontra, un’intelligenza artificiale ha bisogno di ricevere e apprendere tale nozione potenzialmente per ogni forno del mondo.
Di fronte a tali criticità, si comprende lo scetticismo nei confronti della possibilità di realizzare veicoli in grado di guidare autonomamente in tutti i contesti geografici e in tutte le condizioni climatiche.
Molto più praticabile appare quindi l’introduzione a livello commerciale di autoveicoli a guida autonoma operanti a bassa velocità e in aree ben mappate e piene di sensori, come ad esempio in corsie dedicate (o addirittura costruite ad hoc). In tal modo, secondo Cummings, si potrebbe ridurre la quantità di incertezza a un livello che sia regolatori, sia opinione pubblica potrebbero trovare accettabile.

Anche secondo alcuni esperti come Raj Rajkumar, professore di ingegneria alla Carnegie Mellon University, lo stesso Urmson di Aurora e Nathaniel Fairfield, ingegnere di Waymo, l’utilizzo combinato di intelligenza artificiale con altre tecnologie - finalizzate alla creazione di sistemi in grado di applicare regole generali a situazioni nuove, come farebbe un essere umano - possono consentire lo sviluppo di sistemi di trasporto e robotaxi sufficientemente affidabili (si veda a questo proposito l’articolo di Christopher Mims sul Wall Street Journal del 5 giugno 2021).
Una nuova e imprevista criticità, infine, si è palesata con il dilagare dell’epidemia di Covid-19: la crisi di microchip, semiconduttori e anche materie prima, la cui scarsità ha messo a dura prova l’industria dell’automobile costretta a ridurre la disponibilità di modelli - spesso venduti senza accessori digitali - e a riorganizzare le filiere con un inevitabile aumento dei costi, che certo non avvicina gli orizzonti della guida autonoma.
Resta poi ancora poco dibattuto un altro fondamentale aspetto su cui tuttavia inevitabilmente si concentreranno le policy: l’impatto della guida autonoma sui consumi. Sarebbe ben difficile, infatti, giustificare la diffusione di autoveicoli che nella produzione o nell’uso consumino più risorse di quelli che guidiamo attualmente.

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