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Chighine: “Creativi, competenti e affidabili: non solo esperti di tecnologia” Stampa E-mail

Chighine: “Creativi, competenti e affidabili: non solo esperti di tecnologia”

di Paola Sesti

DA UN ANNO A QUESTA PARTE LE IMPRESE - NON SOLO QUELLE ENERGETICHE - SONO STATE CHIAMATE A COMUNICARE IN MODO NUOVO LA LORO CON-FORMAZIONE PER ADATTARSI AL MUTAMENTO DI SCENARIO. L’ESPERIENZA DI CESI

Dopo la fase più critica della pandemia, da un anno a questa parte tutte le imprese - non solo quelle energetiche - sono state impegnate a ri-disegnarsi, a ri-pensarsi (perché in parte sono cambiati i valori di riferimento) e sono state chiamate a comunicare in modo nuovo la loro nuova con-formazione. Nuova Energia ha incontrato Paolo Chighine, Group External Relations Executive Vice President di CESI, per raccontare come è cambiata l’azienda in questo anno e mezzo e se con essa sono cambiate anche le modalità della comunicazione. “Indubbiamente la pandemia, pur nella sua tragicità, ha rappresentato un’occasione per accelerare verso il cambiamento. Come tante altre organizzazioni, le aziende si sono dovute adattare al nuovo scenario”.

Cosa è successo in CESI?
Siamo un Gruppo che fa dello sviluppo di soluzioni innovative a beneficio dei clienti una componente essenziale delle proprie attività. Questa attenzione al cambiamento, spesso unita alla capacità di anticiparlo, ci ha aiutato ad adattarci al contesto creato dalla pandemia. Per esempio, la nuova realtà ci ha stimolato ancora di più a lavorare proprio sull’innovazione: mobilità elettrica, smart grid, 5G... Abbiamo anche iniziato a percorrere nuove strade nei servizi offerti, come, tra gli altri, il remote lab, ovvero la possibilità di svolgere i nostri test attraverso la realtà aumentata, con i clienti collegati da remoto in tempo reale.
Sul fronte organizzativo, in pochissimi giorni siamo riusciti a mettere la maggior parte dei colleghi, nel mondo, nella condizione di poter lavorare da remoto, fatto salvo ovviamente chi opera nei laboratori dove è necessario essere presenti fisicamente. In questa situazione, abbiamo portato avanti e completato il processo di inclusione nel Gruppo dei colleghi di KEMA Labs, la società olandese acquisita alla fine del 2019.

Il virtuale ha invaso molti aspetti della vita, passando da efficace soluzione di un problema a prassi dematerializzante che depaupera le persone illudendole di guadagnare tempo e riducendo le relazioni. Che cosa si rischia di smarrire?
Non sarei così negativo, anzi. Sicuramente, però, c’è un portato di emozionalità, nella costruzione e nel mantenimento di un team, che non può prescindere dal lavorare in presenza: la battuta, lo scherzo, il darsi di gomito… Siamo animali sociali, abbiamo necessità di un contatto fisico vero, di stare insieme.
Detto questo, però, se si riesce a mantenere una continuità nelle occasioni di incontro in virtuale con i colleghi, è possibile anche non impoverire le relazioni. Anzi, parlarsi da luoghi meno formali dell’ufficio, per esempio da casa, magari può condurre, nei casi migliori, anche alla creazione di rapporti più diretti e amichevoli. Come spesso accade, è fondamentale trovare il giusto equilibrio.

Quindi bisognerebbe mantenere alcuni frutti del lavoro da remoto?
Certo. Personalmente, ritengo ci siano dei benefici concreti, il primo fra questi è la possibilità di organizzare in modo più indipendente la propria quotidianità, per esempio cancellando il tempo dedicato al commuting: spostarsi nel traffico per arrivare in ufficio…
Ma il maggiore beneficio è lavorare per obiettivi e sentirsi pienamente responsabilizzati rispetto alle proprie attività. Questo a tutti i livelli, non solo in ambito manageriale. Insomma, credo sia fondamentale riuscire a trovare un efficace equilibrio tra i due aspetti: lavoro in presenza e da remoto. Sicuramente si è aperta una nuova strada dalla quale non si può tornare indietro.

In tutto questo, come è cambiata la comunicazione di CESI?
Il cambiamento - già in atto prima del Covid, perché la transizione energetica stava già modificando il settore – rispetto al passato interessa essenzialmente due aspetti. Il primo riguarda il nostro posizionamento: vogliamo essere percepiti come un’azienda che aiuta i propri stakeholder nel capire e poi affrontare efficacemente le sfide della transizione energetica, attraverso la nostra capacità di innovazione e le nostre competenze.
Il secondo riguarda il linguaggio e il tono della nostra comunicazione. In questo caso, vogliamo far emergere la nostra capacità di comprendere i bisogni degli stakeholder, a cui cerchiamo di rispondere con creatività, competenza e affidabilità. Non ci interessa essere percepiti solo come esperti di tecnologia. Siamo un’azienda di persone che pensano e si emozionano. Nel nostro linguaggio veicoliamo fantasia, colore ed empatia. Ci stiamo impegnando per costruire un percorso di comunicazione articolato, coerente, che delinei un’identità riconoscibile, una storia lunga decenni.

In che modo è possibile comunicare tutto questo all’esterno - a clienti, fornitori, istituzioni, stakeholder?
Cercando di parlare alle persone e mettendole, il più possibile, al centro della nostra comunicazione. Anche se abbiamo clienti B2B, stiamo sempre comunicando a persone. Il decisore dell’azienda che fruisce di un nostro servizio è un essere umano che, come tanti in questo periodo, potrebbe vivere una fase di incertezza.
Noi cerchiamo di presentarci al nostro interlocutore, citando Jacques Séguéla, come una forza tranquilla che si sforza il più possibile di comprenderne le esigenze per aiutarlo a capire e a scegliere, attraverso i nostri servizi, la strada migliore verso il futuro.

Come ci siete riusciti?
Speriamo di esserci riusciti! In concreto, abbiamo utilizzato i diversi canali a nostra disposizione. Per esempio abbiamo continuato a parlare attraverso i media tradizionali, anche generalisti, cercando di individuare contenuti notiziabili e di interesse per i lettori. Anche a questo scopo, pubblichiamo studi divulgativi su tematiche importanti come l’idrogeno verde o la mobilità sostenibile. La nostra ambizione è di aiutare i lettori a capire cosa sta succedendo nel settore energetico. Cerchiamo di pensare al loro bisogno di comprensione piuttosto che parlarci addosso, raccontando unicamente del nostro ultimo progetto di successo.
Per questo tentiamo, il più possibile, di utilizzare un linguaggio chiaro. Lo sforzo è quello di raggiungere un pubblico più vasto di quello rappresentato dai nostri clienti. Il tentativo, inoltre, è quello di innescare un circolo virtuoso, in cui le storie che raccontiamo, costruite con logiche crossmediali, siano veicolate sui media generalisti per poi essere riprese sui nostri canali social, e viceversa. I social, per noi Twitter e Linkedin, giocano un ruolo importante: postiamo, più volte giorno, contenuti di interesse per il settore, entrando nel dibattito in corso, fornendo notizie e offrendo dati.
In più, con l’obiettivo di offrire ai nostri stakeholder un servizio già attraverso la comunicazione, abbiamo fortemente incrementato, dal primo lockdown, l’offerta di webinar gratuiti su tematiche di interesse nel settore energetico. Anche qui, il nostro obiettivo è di informare e aiutare il nostro pubblico a comprendere.
Poi, nei webinar, come nelle altre comunicazioni, parliamo anche di CESI e dei nostri servizi, ma come esempio concreto, quasi una testimonianza che aiuta a capire meglio i contenuti affrontati. Il nostro obiettivo è di portare i nostri stakeholder a pensare che CESI sia utile e affidabile nei servizi che offre, così come nella comunicazione.

Comunicazione interna: ha assunto un nuovo peso, ha ampliato i propri spazi?
La comunicazione interna ha un ruolo sempre più centrale nell’accompagnare le aziende, e le persone che le formano, nell’adattarsi al meglio ai nuovi modelli lavorativi integrati, fisico-virtuali. È fondamentale per offrire una serie di informazioni e modalità utili per le attività lavorative ma, soprattutto, perché mette a disposizione delle persone contenuti e opportunità di condivisione, anche virtuali, per continuare a sentirsi parte di una stessa comunità, proprio in un periodo in cui il lavoro da remoto ha un ruolo così importante.
In concreto, in CESI abbiamo avuto modo di sopperire all’impossibilità di realizzare eventi fisici, sostituendoli con eventi digitali realizzati in ambienti virtuali immersivi, in cui i nostri colleghi hanno potuto interagire in tempo reale.
Un ruolo importante è svolto anche dal nostro nuovo magazine digitale WeCESI, nato durante il lockdown con lo scopo di mettere al centro i nostri colleghi, contribuendo sia alla condivisione di un sistema di valori comuni sia all’inclusione delle diverse culture, non solo professionali, che compongono il nostro Gruppo. Il magazine, parte integrante della intranet, fa parlare direttamente i colleghi dei progetti che stanno seguendo, dà visibilità ai team e, attraverso interviste, approfondisce i percorsi individuali, professionali e di vita. È caratterizzato anche da un’area Coffee break, uno spazio libero in cui condividere hobby e interessi, fatto unicamente dei materiali condivisi liberamente dai colleghi: dalle recensioni di libri e film alle ricette, fino alle foto dei propri animali o dei posti in cui si vive. Proprio attraverso queste foto abbiamo viaggiato tra il deserto di Dubai e le rive del Reno, tra i boschi del Tennessee e i vicoli di Praga. Allo stesso modo, abbiamo scoperto di avere tra noi mastri birrai e arcieri, body painter e ottimi chef!

CESI è una realtà globale: esiste una comunicazione globale? Come si comunica su mercati differenti?
In ambiti diversi, studi di autori come Propp, Levi Strauss o Jung ci hanno indicato l’esistenza di schemi narrativi, comportamenti e valori, trasversali alle diverse culture umane. Riuscire a far emergere questi elementi archetipici dai temi che si vogliono trattare vuol dire rendere questi ultimi universali e coinvolgenti per il fruitore.
Provo a spiegarmi meglio. Per aiutare a diffondere globalmente nel settore energetico temi come la resilienza, la transizione e la digitalizzazione può essere efficace ricondurli ad archetipi universali. Ad esempio, per la resilienza il bisogno di sicurezza e la capacità di adattamento; per la transizione energetica, il bisogno di crescita ed evoluzione; per la digitalizzazione, la capacità, attraverso la tecnologia, di mutare con successo l’ambiente circostante.
Non dobbiamo dimenticare, però, che esistono culture differenti, figlie di storie diverse, che hanno dato vita a linguaggi eterogenei. Questi temi vanno quindi raccontati in modo peculiare, attraverso esempi e linguaggi più vicini possibile all’esperienza diretta di ciascuno.

Scendendo nel concreto, il testing parla la stessa lingua in ogni continente?
Si può comunicare il testing, ad esempio, usando la chiave della resilienza, un tema che, a sua volta, può essere presentato in modo universale. In concreto, il testing può essere descritto come un’attività che aiuta a rendere le reti elettriche più resilienti, poiché, testandone i componenti, le rende più affidabili e sicure, quindi più capaci di rispondere efficacemente agli eventi avversi. Poi, a chi vive in Canada si porteranno esempi di cavi che si ghiacciano, a chi è in Congo, invece, si parlerà di calore estremo, magari utilizzando, per farsi capire meglio, anche metafore specifiche di quelle culture.

Comunicare il mondo dell’energia è un’impresa, perché è di per sé un settore complesso e cruciale nel quale la riduzione banale e la semplificazione grossolana ai puri fini di marketing hanno prodotto e producono danni a livello economico e sociale.
Comunicare l’energia non è facile, perché si tratta, il più delle volte, di temi complessi, di difficile comprensione, in cui gli aspetti tecnologici sono spesso preponderanti. Nel settore convivono, inoltre, interessi diversi, sostenuti a volte da attori con obiettivi confliggenti e questo non aiuta nella comprensione delle posizioni rappresentate e nell’affidabilità delle fonti.
Dato questo scenario, credo che il principio da cui partire sia sempre quello di mettersi nei panni di chi riceverà la nostra comunicazione per offrirgli un contenuto utile, che aiuti realmente a risolvere un bisogno. Mi ripeto: evitiamo di parlarci addosso altrimenti facciamo fuggire i lettori, a parte pochi addetti ai lavori.
La prima azione da mettere in atto, allo stesso tempo, è quella di stringere un patto con il proprio pubblico, di dichiarare, in modo trasparente, gli interessi che si sostengono. Solo così, infatti, si potrà avere la credibilità necessaria per essere ritenuti affidabili e farsi ascoltare. Da questo patto discende la ricerca continua di chiarezza e comprensibilità nell’esposizione dei contenuti. Attenzione: comprensibile non significa per forza semplice. La soluzione efficace non è quella di semplificare, riducendo la complessità di un fenomeno, rischiando così di perderne parti di significato, magari le più profonde. Bisogna invece sforzarsi di spiegare un fenomeno complesso in modo chiaro e coinvolgente, avvalendosi di esempi, metafore e, soprattutto, evitando di utilizzare linguaggi iniziatici.
In questa fase di grande cambiamento del settore energetico, la comunicazione riveste un ruolo essenziale per sostenere l’accettazione delle nuove modalità di utilizzo dell’energia da parte degli utenti. Ci sono temi cruciali per lo sviluppo del settore e delle economie mondiali, che devono essere messi al centro dell’interesse dell’opinione pubblica. In questo senso, credo sarebbe un vantaggio, per tutti gli attori presenti nel settore, contribuire a sviluppare sempre più una cultura dell’energia presso il grande pubblico, cultura che poggi su una base di informazioni e dati oggettivi. È vitale, poi, non manipolare questa base di informazioni, pena la perdita di credibilità per tutto il settore. Vaste programme, direbbe qualcuno, ma tant’è.

“Avere figli fa di te un genitore non più di quanto avere un pianoforte faccia di te un pianista”. Cito a memoria Michael Levine. Il paradosso dell’epoca dell’iper-specializzazione è che ha prodotto come contraltare un mondo dove tutti credono di potere e sapere fare tutto. E allora le domando: comunicare è un mestiere? E se sì, è un mestiere difficile?
Comunicare non è un mestiere. Soprattutto, non è una tecnica. Molti invece sono convinti del contrario. Lasciatemi utilizzare una metafora: non basta saper strisciare esattamente l’archetto sulle corde e posizionare in modo esatto le dita sulla tastiera per essere dei violinisti. Un artista deve capire e sentire profondamente il brano che sta suonando, deve saperne coglierne l’essenza e, soprattutto, avere emozioni da esprimere e condividerle con il proprio pubblico, usando la tecnica come strumento.

Sta suggerendo che la comunicazione è un’arte?
Non proprio, il dominio dell’arte è quello dell’emozione e della ricerca di nuovi linguaggi. Non sempre la comunicazione agisce nello stesso dominio. In realtà, comunicare attraverso un linguaggio strutturato è una delle caratteristiche naturali e distintive della specie umana. Tanti pensano che ciò sia sufficiente per occuparsi di comunicazione. In questo senso, mi permetta di utilizzare un’altra metafora, ispirata proprio dai tempi in cui stiamo vivendo: anche respirare è un’attività necessaria per ogni essere vivente ma non siamo tutti pneumologi, salvo chi ha studiato la materia per nove anni, tra laurea in medicina e scuola di specializzazione, ed esercita tale professione quotidianamente.
Per tornare, quindi, alla domanda, in un mondo complesso come quello attuale la comunicazione è una professione che si esercita dopo averne studiato in modo organico e strutturato gli aspetti fondamentali, comprese le tecniche, e in cui l’esperienza quotidiana riveste, ovviamente, un ruolo essenziale. A ciò si aggiunge anche un che di artistico, ovvero possedere la sensibilità sufficiente per poter cogliere e agire anche le componenti emozionali, così importanti per una comunicazione efficace. Questo è un aspetto che non si impara, ma che si può cercare di far emergere.

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