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De Vita: "Sviluppo sostenibile? Una piorità, per tutti" Stampa E-mail

di Danilo Corazza

La civiltà del petrolio, secondo buona parte dei mass media, sarebbe ormai al tramonto. Cosa ne pensa di queste affermazioni?
Come ribadisco spesso, citando lo sceicco Yamani, l’età della pietra non è finita perché sono finite le pietre ma perché furono scoperti i metalli. Con il petrolio sarà la stessa cosa. La consistenza delle riserve petrolifere mondiali viene aggiornata di continuo, grazie al progresso della tecnologia. È probabile che non avremo la possibilità di scoprire nuovi giacimenti giganti (l’ultimo in ordine di tempo è stato quello di Kashagan), ma sicuramente riusciremo a sfruttare meglio quelli che abbiamo con
tecniche più sofisticate. Quindi di petrolio ce ne sarà ancora per molto tempo.

Ci può fare delle previsioni a livello globale sulla possibile evoluzione del settore nei prossimi anni?

"DOBBIAMO AFFRANCARCI,
ALMENO IN PARTE,
PUNTANDO SULL'EFFICIENZA
E SULLE RINNOVABILI"

Da qui al 2030, i consumi mondiali di energia aumenteranno del 52 per cento. La fonte fossile coprirà ancora oltre l’80 per cento del fabbisogno totale. Il Medio Oriente resta l’area con la maggiore concentrazione delle riserve di idrocarburi, oltre il 50 per cento del totale mondiale, e i costi di estrazione più bassi in assoluto. La dipendenza dei Paesi Ocse dal petrolio è destinata ad aumentare, superando il 60 per cento entro il prossimo quadriennio. Dobbiamo affrancarci, almeno in parte, da questa dipendenza puntando sull’efficienza e sulle rinnovabili. L’Aie stima un possibile risparmio del 10 per cento (1,7 miliardi di Tep) nel periodo di tempo considerato.

Quali saranno le aree geografiche da tenere in maggiore considerazione, sia in termini di domanda sia di offerta?
Nuove aree, quali il Nord Africa e l’Asia, si stanno proponendo ed è lì che si concentrano i recenti investimenti. In altre aree più facili la ricerca è preclusa, con l’introduzione di nuove e penalizzanti forme contrattuali, per cui sono i Paesi produttori a controllare sempre più le risorse finali.

Nello specifico dell’Italia, come vede l ’evoluzione della domanda nei prossimi mesi e, più in generale, nei prossimi anni?
Il nostro Paese dipende per oltre l’85 per cento del proprio fabbisogno energetico dall’estero. Per il solo petrolio si sale al 90 per cento.Le nostre previsioni indicano un progressivo declino dei consumi petroliferi a favore di altre fonti quali il gas, che già dal 2013 diventerà la principale fonte di energia.I combustibili solidi si manterranno sui valori attuali.

Quale potenziale per il settore estrattivo italiano?
Le possibilità del nostro Paese non sono elevate, ma interessanti. La produzione nazionale di greggio nel 2006 ha mostrato un calo del 5,6 per cento rispetto al 2005, ammontando a 5,7 milioni di tonnellate. In declino è risultata anche la produzione di gas naturale, passata da 12 a 10,9 miliardi di metri cubi (–9,2 per cento).
Nel complesso la produzione nazionale ha soddisfatto l’8 per cento del fabbisogno, con un risparmio di 4,9 miliardi di euro in termini di fattura energetica. Abbiamo riserve, tra certe e stimate, per 2,6 e 4 miliardi di boe, che però trovano non poche dfficoltà ad essere sfruttate. Certamente occorrerebbe favorire di più la produzione nazionale.

I carburanti alternativi – gpl, metano, biocombustibili – non sembrano decollare. Per quali ragioni?
Le ragioni sono molteplici. Il consumatore italiano solo oggi sembra mostrare attenzione al tipo di alimentazione dell’auto, non tanto per una questione di convenienza economica quanto ambientale. I carburanti alternativi di origine non fossile già oggi sono disponibili, ma produrli costa di più.

Quali politiche suggerisce al riguardo l’Unione Petrolifera?
L’Unione Petrolifera è attiva su questo tema. Di recente abbiamo firmato un protocollo di intesa con il ministero dell’Ambiente e un altro con la Regione Lombardia per la promozione del metano. La rete di distribuzione del Gpl italiana è uno delle più estese d’Europa. Quanto ai biocarburanti, non manca l’impegno delle compagnie in vista dei nuovi obblighi previsti dalla Finanziaria 2007. Proprio in questi giorni i Ministeri competenti stanno predisponendo i decreti attuativi che sembrano andare nella giusta direzione.
L’unica cosa che l’industria ha sempre chiesto è flessibilità e condizioni di mercato competitive…

Anche le compagnie del settore oil&gas stanno guardando con crescente interesse alle rinnovabili. Nel futuro delle maggiori company vede un ruolo primario anche nella generazione eolica o fotovoltaica?
Molte nostre associate sono ormai delle società multienergy a tutti gli effetti. Gli investimenti nelle fonti rinnovabili in questi ultimi anni non sono mancati, soprattutto nell’eolico che è la fonte realmente più competitiva agli attuali prezzi del petrolio. Anche in questo caso gli ostacoli sono stati molti, soprattutto per la ferma opposizione delle amministrazioni locali e di alcune associazioni ambientaliste. Il fotovoltaico sembra ancora molto costoso, anche se il nuovo sistema di incentivi appare positivo. Chiaramente, bisogna impegnarsi molto nella ricerca di nuovi materiali.

Appurato che molti degli associati all’Unione Petrolifera hanno anche interessi – crescenti – nel settore gas, nella generazione elettrica, addirittura nella vendita del kWh al cliente finale… come si conciliano queste attività con la raffinazione e la tradizionale vendita dei carburanti?
L’assetto societario delle compagnie è molto cambiato negli anni, per rispondere all’evoluzione del mercato. Come detto, le società sono ormai multienergy. L’energia è un business globale che va dal petrolio, al gas, al gnl e alle fonti rinnovabili. Non ci sono separazioni così nette: sono fonti in concorrenza tra loro ma perfettamente integrate.

Questione cambiamenti climatici: ci illustra il punto di vista (e il possibile ruolo) delle compagnie petrolifere?
L’ambiente è diventato negli anni la vera discriminante. L’attenzione ai cambiamenti climatici è un dovere e le compagnie petrolifere lo sanno bene. Il contributo che danno è concreto in termini di ricerca e sviluppo di forme di energia pulita. Diversi progetti sono stati avviati, con investimenti miliardari, e qualche risultato si comincia a vedere.

Un parere sull’Emission Trading. Come sta funzionando? Avete proposte alternative che ritenete più efficaci?

"RITENIAMO CHE GLI IMPEGNI
PRESI A SUO TEMPO
SIANO STATI TROPPO SEVERI
PER IL NOSTRO PAESE
"

Sull’Emission Trading la nostra posizione è nota. Riteniamo che gli impegni presi a suo tempo siano stati troppo severi per il nostro Paese e che oggi stiamo pagando il frutto di quelle scelte. La recente richiesta della Commissione europea di tagliare di altri 13 milioni di tonnellate il tetto previsto per le emissioni di CO2 nella seconda fase di attuazione della direttiva (2008-2012), sarà un duro colpo per tutta l’industria italiana. Si stima che l’inevitabile acquisto dei diritti di emissione sul mercato per la sola industria petrolifera comporterà (con una tonnellata di CO2 a 20 euro) un onere aggiuntivo di 200-300 milioni di euro che le imprese non potranno addossarsi. Non c’è margine per ulteriori riduzioni. La produzione di carburanti senza zolfo – obbligatori dal 2009 – richiederà lavorazioni più complesse e dunque maggiori emissioni. In questo scenario occorre condividere l’onere con chi oggi non è soggetto agli obblighi.

Più in generale, il settore oil&gas è per forza un “nemico” dello sviluppo sostenibile o può essere anche considerato un alleato? A quali condizioni?
Non vedo perché debba essere considerato in questo modo. Forse è un po’ colpa di chi continua a dipingerlo più cattivo di quel che realmente è. Su questo Pianeta ci viviamo tutti e lo sviluppo sostenibile è una priorità per ciascuno di noi. Non dimentichiamo – come visto in precedenza – che gli investimenti maggiori nella ricerca di fonti alternative vengono proprio dal settore petrolifero. Ciò potrà risultare paradossale, ma è così.

Dopo le benzine senza zolfo, quale sarà il prossimo traguardo nella ricerca di carburanti sempre più puliti?
I carburanti italiani qualitativamente sono già tra i migliori al mondo. Abbiamo anticipato molte delle scadenze comunitarie in materia di piombo, benzene e zolfo. Esportiamo anche circa 30 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi ogni anno, la maggior parte benzina diretta verso gli Stati Uniti dove l’aspetto qualitativo è determinante.

Il gasolio va erodendo quote di mercato sempre più elevate alla benzina. Quale sarà, secondo lei, il punto di equilibrio?
In questi ultimi due anni i consumi complessivi di carburanti (benzina+gasolio) hanno mostrato un calo. Il progresso del gasolio non riesce più a compensare il calo della benzina; e questa tendenza si accentuerà in futuro. Solo l’euro forte ci ha un po’ aiutato a limitare gli effetti al consumo.

Il miglioramento dei rendimenti dei motori, la riduzione delle emissioni, la crescita qualitativa delle benzine, si “scontra” con l’aumento costante della flotta e del chilometraggio medio dei mezzi privati. Alla fine, quindi,che bilancio si può fare delle emissioni del settore trasporti?
Le emissioni del settore trasporti sono una delle principali cause di inquinamento. L’evoluzione della qualità dei carburanti e delle motorizzazioni ha permesso di ridurre drasticamente le emissioni di inquinanti.
Basti pensare alla benzina senza piombo che ha permesso l’introduzione della marmitta catalitica. Molte Regioni sono impegnate nella lotta all’inquinamento urbano e noi contribuiamo proponendo carburanti sempre più puliti. Il problema si dovrà risolvere con interventi di tipo strutturale: nuove infrastrutture,regolamentazione del traffico, spostamento su rotaia del traffico pesante, eccetera.

A che punto è la ristrutturazione della rete italiana?
La rete di distribuzione italiana si trova ad un bivio. Il DDL sulle liberalizzazioni all’esame del Parlamento ha introdotto elementi di novità che però sono parziali e non risolvono il problema. Lo abbiamo detto sin dall’inizio: la sola eliminazione delle distanze non serve a nulla e il rischio è di produrre una proliferazione di piccoli impianti. Non si può pensare di accordare vie preferenziali alla grande distribuzione organizzata (GDO) in termini di orari, discriminando gli altri operatori. Come settore, siamo seriamente preoccupati, perché a rischio ci sono investimenti per almeno 4 miliardi di euro da qui al 2010.

Ci fa l’identikit del consumatore italiano? Abitudini, aspettative, eventuali differenze rispetto al tipico cliente europeo.
Il consumatore italiano è atipico se confrontato con quello europeo. Indagini di mercato ci dicono che meno del 40 per cento sceglie il self-service. Oltre il 53 per cento ritiene di scarsa utilità la diffusione dei punti vendita presso i supermercati, mentre oltre il 46 per cento vorrebbe una piena liberalizzazione del servizio. Valori ben lontani dalla media europea. Il prezzo non è la componente fondamentale nella scelta, piuttosto lo è la comodità.

L’Italia avrà sempre un differenziale di prezzo “alla pompa” rispetto agli altri Paesi d’Europa, o in futuro è possibile un allineamento?

"IL NOSTRO MODELLO
DI DISTRIBUZIONE
HA DEI COSTI MAGGIORI
CHE POTRANNO
ESSERE RIDOTTI
MA NON ANNULLATI
"

Il nostro differenziale con l’Europa è in parte frutto delle rigidità non risolte del sistema, e in parte strutturale. Negli ultimi tre anni tale delta si è mantenuto in media intorno ai 3,5-4 centesimi di euro/litro. All ’inizio dell’anno per la benzina si era intorno a 4,6 centesimi, in aprile si è scesi sotto i 2. Il nostro modello di distribuzione ha dei costi maggiori, che potranno essere ridotti ma non annullati. Paghiamo un servizio più diffuso e capillare. Il futuro della rete dipenderà molto da come la nuova legge sulle liberalizzazioni uscirà dal Parlamento.

Una domanda “obbligatoria”. Se cala il prezzo del greggio al barile, il consumatore non ne beneficia...
Vedo che anche Nuova Energia ha ceduto alla tentazione... I prezzi dei carburanti non guardano all’evoluzione delle quotazioni del petrolio, ma dei prodotti rilevati dal Platts.
Esiste una correlazione tra i due andamenti ma non così automatica come si pensa. Se il petrolio scende non è detto che altrettanto facciano i prodotti. Nel caso della benzina, l’indice di correlazione con il Platts supera il 97 per cento. Nel 2006, i nostri prezzi industriali hanno seguito l’evoluzione dei mercati internazionali, sia in aumento che in discesa. Nessuna doppia velocità.

E per quanto riguarda le stazioni di servizio, qual è oggi il modello o la tipologia più efficiente? Con quale ruolo per l’oil e il non oil?
Negli ultimi anni si è andato affermando il concetto di stazione di servizio piuttosto che di solo rifornimento. Oggi l’oil è ancora il business principale, essenzialmente poiché il non oil trova molte difficoltà a decollare. Le attività collaterali più interessanti (bar, tabacchi, edicole) a livello comunale sono contingentate e gli orari e i turni sono ancora legati alle 52 ore settimanali.

Una risposta flash:favorevole o contrario alla vendita dei carburanti nei supermercati? E per quale ragione?
In un quadro di regole uguali per tutti, non abbiamo alcuna preclusione nei confronti della GDO. Sono convinto che le compagnie petrolifere siano ancora le più indicate per fare questo mestiere. La partita si gioca soprattutto sul servizio.

Le piccole compagnie indipendenti, presenti magari solo in limitati ambiti territoriali sembrano una realtà abbastanza dinamica. Ci commenta questo fenomeno?
Il progressivo affermarsi delle cosiddette “pompe bianche” è segno di un mercato concorrenziale e dinamico.

L’ingresso dei nuovi Paesi membri nella Ue, ha creato pressioni sulla domanda di prodotti petroliferi italiani raffinati?
Non vedo tensioni particolari. Per l’Italia si aprono,caso mai, nuove opportunità di mercato.

Le raffinerie italiane esportano notevoli quantitativi di benzine, soprattutto negli Stati Uniti. È vero che sono in “difetto” nella produzione di gasolio?
Il sistema di raffinazione nazionale è all’avanguardia in Europa ed è autosufficiente. Come ho detto prima, ogni anno esportiamo circa 30 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi, principalmente benzina. Quanto al gasolio, si tratta di un problema europeo. La domanda in questi ultimi anni è cresciuta in modo repentino e starle dietro è divenuto un problema.

Come valuta la politica di espansione sui mercati stranieri del principale produttore italiano, l’Eni?
Che una compagnia italiana sia in grado di competere a livello internazionale è un fatto sicuramente positivo.

 
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