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Scuola e università, cercasi visione di futuro Stampa E-mail

Scuola e università, cercasi visione di futuro

di Roberto Napoli / professore emerito Politecnico di Torino


L’ISTRUZIONE DEVE ASSUMERE IL RUOLO DI ESTENSIONE DELLA FAMIGLIA, PER EDUCARE NON SOLO ALLE NOZIONI, MA ANCHE ALLA RESPONSABILITÀ E AL RISPETTO DI VALORI FONDAMENTALI RITENUTI SOCIALMENTE VALIDI. LA SCUOLA È ESSENZIALE PER DIFFONDERE COMPORTAMENTI CHE FORMINO BUONI CITTADINI

Nel fervore di speranze suscitate dall’insperato rimedio governativo al naufragare dei partiti e alla prevista straordinaria disponibilità di fondi, l’istruzione e la ricerca sembrano invece rimanere afflosciati in una soporifera apparente stanchezza di visione. Sin qui, per l’istruzione pre-universitaria (dall’asilo ai licei), la preoccupazione fondamentale è stata quella di sistemare il corpo docente, con assunzioni quanto più larghe e quanto meno selettive possibili.

C’è sempre un’emergenza di cattedre vuote. Non c’è mai una responsabilità per questa stramba programmazione. Non sono progettati sistemi di controllo per verificare la bontà delle assunzioni. Anche una timidissima verifica come i test Invalsi è respinta dalle corporazioni sindacali come elemento luciferino. Parlare di aggiornamento periodico obbligatorio dei docenti, tipo crediti formativi, poco più di una bestemmia. C’è una grande retorica su dedizione e capacità, senza distinzioni di sorta. E c’è un ruolo drammaticamente sottovalutato dell’importanza dei docenti. Poi ci sono deficienze strutturali da sanare. Anche in questo caso occorrerebbe molta attenzione, perché gli sprechi sono dietro l’angolo. C’è un soffocante gigantismo burocratico, che si nutre di certificazioni cartacee e di liste di professionisti sempre più ristrette per compiti molto specifici.

Prendiamo ad esempio gli impianti elettrici. Si perde il conto di quelli totalmente rifatti non perché realmente pericolosi, ma perché mancava qualche documento o una indicazione su qualche componente (ad esempio, i cavi). Per carità, rifare tutto è sempre cautelativo, ma siccome i soldi non sono infiniti bisognerebbe ragionare tenendo ben presenti le priorità. Il meccanismo delle certificazioni à gogo ha molti limiti. Se la parola d’ordine è cautelarsi contro ogni fastidio di responsabilità, dovremo sempre rifare tutto dalle fondamenta. Per esperienza professionale nel Regno Unito, ho avuto modo di apprezzare il pragmatismo anglosassone. Pochissima carta, ma ogni installazione dev’essere assicurata. Il premio per l’assicurazione dipende dalla qualità dei materiali impiegati, dall’esecuzione e, nel caso di impianti vecchi, dalla manutenzione. Avendo avuto l’idea peregrina di usare materiali italiani, per contrastare elevati costi assicurativi ho avuto il mio buon daffare per difendere la qualità dei manufatti italiani, sui quali i tecnici delle assicurazioni storcevano il naso, anche solo perché non riportati nei loro manuali. Il controllo privato – e conflittuale – fra compagnie di assicurazione e imprese basato sulla valutazione dei rischi, mi è parso molto più efficace della caterva di dichiarazioni burocratiche e molto più utile in caso di incidenti.

A parte questi problemi (importantissimi) di corpo docente e infrastrutture, c’è un altro punto cruciale su cui soffermarsi: la visione del futuro. Una cosa sembra certa: questa visione sarà tanto più attraente quanto più si discosterà dalle situazioni passate e presenti. Non è solo questione di attrazione. Non basta scervellarsi sull’ennesimo cambiamento dei programmi didattici, anche se necessario. Oggi si enfatizza – giustamente – la necessità di una preparazione STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics), discutendo sulle percentuali degli addendi. Si tende a dimenticare il contesto. Abbiamo una società divisa, con una grande crisi di valori. Molte famiglie risultano più o meno ammaccate. Fra i giovani serpeggiano sempre più prepotentemente i virus della violenza e delle droghe più o meno leggere. L’educazione alla responsabilità e al rispetto fa acqua. Abbiamo fra l’altro il dovere (e la necessità) di integrare ragazzi di altre culture, per i quali la famiglia originaria può essere un ostacolo alla formazione.

La scuola deve quindi assumere un ruolo di estensione della famiglia, per educare i ragazzi non solo alle nozioni, ma anche alla responsabilità e al rispetto sociale. Occorrerebbe quindi progettare un sistema di procedure che non si limiti alle nozioni impartite, ma che abitui i ragazzi ai valori fondamentali ritenuti socialmente validi. Piccoli gruppetti di ragazzi dovrebbero avere dei tutori che li accompagnino nelle loro esperienze anche quando sono fuori dalla scuola, magari a distanza, in modo da adattare la crescita culturale alle loro inclinazioni naturali, interagendo con le famiglie e con i servizi sociali per accrescere le loro opportunità e monitorare sul nascere ogni sintomo negativo o addirittura di devianza. Non possiamo permettere che migliaia di giovani si intossichino con modelli sociali balordi. Non possiamo abbandonare migliaia di ragazzi (e soprattutto ragazze) a oscurantismi che vedono i principali complici nelle famiglie di origine. Non possiamo chiudere gli occhi. La scuola è fondamentale per diffondere comportamenti che formino buoni cittadini.

Non è facile. Può anche generare tensioni. Occorre investire moltissimo in personale qualificato e prolungare l’impegno scolastico molto al di là di quello attuale. Per i ragazzi, meno compiti, ma lavori responsabili di ausilio alla vita interna delle classi, in stile magari pseudo- giapponese (divise uguali per tutti, pulizia nelle classi, aiuto nella distribuzione dei pasti, regole minuziose, rispetto delle gerarchie, ...). Dobbiamo assolutamente contrastare i sintomi di decadenza della nostra società e formare cittadini abituati al rispetto delle norme, senza narchismi pseudo-libertari o buonismi d’accatto. Occorre anche rivedere il ruolo delle famiglie all’interno delle scuole, ruolo risultato sempre più orientato alla difesa sempre e comunque anche degli errori dei propri figli, come in una variante di sindacalismo a prescindere. La scuola deve diventare una sorta di nido per i ragazzi, in cui crescere armoniosamente, in sinergia con le famiglie, con i servizi sociali e con l’ambiente circostante, ma se necessario anche a correzione delle famiglie. E occorre ovviamente prevedere anche i necessari correttivi in caso di insufficienza o deliri di onnipotenza delle strutture scolastiche.

Sul fronte universitario la situazione è diversa, ma neanche in questo caso si percepisce un sostanziale cambio nella visione del futuro. I mali di fondo rimangono sempre gli stessi e sono affrontati più o meno allo stesso modo. Si stanno varando gli ennesimi correttivi alle assunzioni universitarie, all’insegna di una sostanziale sfiducia nelle capacità e nella correttezza del personale interno. Si mescolano le carte con gli Enti di ricerca, per spalancare una pericolosa via di fuga verso le Università, senza rivedere a fondo l’evidente deterioramento di questi Enti. Ci si prepara all’ennesimo rimaneggiamento (comunque opportuno) dell’articolazione del sapere in categorie concorsuali. Rimangono sotto tono i problemi del contrasto all’aumento delle divisioni qualitative fra gli Atenei delle varie parti del Paese e al ringiovanimento del corpo docente. Prevale ancora la logica dell’allevamento in batteria, con sviluppo delle carriere principalmente all’interno dello stesso Ateneo. I vincoli sulla mobilità, con quote obbligatorie di rimescolamento con docenti provenienti dall’esterno (universitario e non), rimangono sempre sulla carta, sempre pieni di buchi.

La messa in ruolo dei giovani avviene con molto ritardo e dopo uno sfiancamento che trasforma l’agognato traguardo in un lasciapassare per tirare il fiato e rifarsi su quelli che seguono. Per le scuole di ingegneria l’osmosi – anche temporanea – fra Università e mondo industriale rimane sempre carente. Lo Stato dovrebbe obbligare all’effettuazione di periodi di lavoro in realtà esterne, senza oneri per le imprese, ma finanziando adeguatamente queste dislocazioni temporanee. Servono idee e coraggio anticonformista. In Germania alcuni concorsi universitari a professore ordinario sono addirittura inibiti al personale interno e riservati solo a chi abbia un curriculum con almeno dieci anni di permanenza nel mondo industriale. Si parla di lauree abilitanti, da prevedere anche per gli IFTS (Istruzione e Formazione Tecnica Superiore). Questi IFTS potrebbero anche essere l’anticamera di un appalto esterno della formazione a gruppi privati, con tutti i rischi e vantaggi che ciò comporta. Una laurea triennale pubblica in competizione con un IFTS privato egualmente abilitante avrebbe seri problemi di concorrenza. Si vedrà se gli Atenei rimarranno inerti e se magari rimetteranno mano alle lauree quinquennali.

A un livello molto più basso ma estremamente significativo, c’è il problema incancrenito delle semplificazioni amministrative e procedurali. Ogni nuovo ministro crea tavoli di consulenza per affrontare il problema, ma il risultato rimane sin qui quello di una sostanziale limacciosità. D’altra parte, se in quei posti vengono chiamati a sedere in maggioranza proprio quei personaggi che hanno messo in piedi tutte le possibili complicazioni procedurali, sarà ben difficile che quei tavoli smentiscano sé stessi, segando i rami su cui continuano a prosperare ragioni e vantaggi dell’immobilismo. Ai nuovi ministri non manca la competenza. Sin qui registriamo però ritardi nel varo di soluzioni veramente innovative. Di nuova visione per il futuro si vede ben poco. Il dibattito concettuale langue. Azioni realmente coraggiose latitano. È una situazione temporanea? Lasciamo ai fatti la risposta.



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