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Rinnovabili e mercato elettrico, il territorio si fa infrastruttura Stampa E-mail

Rinnovabili e mercato elettrico,
il territorio si fa infrastruttura

di Fabio Armanasco /
responsabile progetto Comunità Energetiche e Autoconsumo Collettivo di RSE



AUTOCONSUMO COLLETTIVO E COMUNITÀ ENERGETICHE SONO STRUMENTI CHE AVRANNO UN RUOLO IMPORTANTE PER IL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI DI DECARBONIZZAZIONE E PER RISPONDERE A VECCHI E NUOVI BISOGNI ENERGETICI

Produrre energia in proprio e consumarla insieme. Sembra essere diventato un must-have, la moda del momento, un ritorno a mitiche origini bucoliche, la risposta migliore a bisogni non solo energetici ma anche sociali e ambientali, la soluzione per contrastare (addirittura eliminare, sostengono alcuni) la povertà energetica. Tutti ne parlano, tutti sembrano avere titoli e voce in capitolo. Eppure, gli schemi di autoconsumo collettivo e le comunità dell’energia fanno ancora fatica a tradursi in realtà e a diventare esperienza comune nel vasto e complesso sistema energetico.

Il quadro normativo
Per guardare più da vicino ciò di cui si parla e comprenderlo, partiamo da una fotografia del 2020: lo scatto che fissa lo stato dell’arte – normativo e regolatorio – a livello comunitario e italiano. La direttiva Rinnovabili (RED II 2018/2001 dell’11 dicembre 2018 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili) e quella Mercato Elettrico (IEM2 2 2019/944 del 5 giugno 2019 sulle regole comuni per il mercato interno dell’energia, che modifica la precedente direttiva 2012/27) – promosse dall’UE nell’ambito del Clean Energy for All Europeans Package – hanno riconosciuto a livello istituzionale gli schemi di autoconsumo collettivo e le comunità dell’energia rinnovabile. I cittadini europei sono stati posti al centro di un nuovo modello energetico, organizzati in comunità che operano nel mercato senza però avere una finalità di lucro prevalente, ma con l’obiettivo di soddisfare esigenze di tipo ambientale, economico e sociale e, solo in ultima istanza, di profitto.

Queste due direttive presentano di fatto dei nuovi soggetti: nello specifico, la IEM introduce il concetto di clienti attivi e comunità energetica dei cittadini, mentre la RED II il soggetto di autoconsumatore di energia rinnovabile e di comunità dell’energia rinnovabile (CER). Sono chiaramente soggetti a complessità crescente; partendo dall’autoconsumatore singolo, si arriva alle forme di autoconsumatore collettivo e quindi alle forme di comunità dei cittadini.

Da un punto di vista regolatorio, il percorso di recepimento di queste due direttive nel quadro legislativo nazionale è a questo punto: come Stato membro avremmo dovuto accogliere la direttiva IEM nel nostro ordinamento entro dicembre 2020 ed entro giugno 2021 la direttiva RED II. Uso il periodo ipotetico dell’irrealtà perché nei fatti questonon è ancora avvenuto ed è plausibile immaginarsi che il recepimento sarà differito ancora di qualche mese. A seguire andranno ovviamente provvedimenti attuativi, la misura operativa con il fine ultimo di raggiungere gli obiettivi previsti a target 2030 dal PNIEC.

La situazione pandemica non ha certo facilitato le attività ministeriali; detto ciò, il lavoro di recepimento di due direttive di questo tipo è veramente complesso. Questo perché non partiamo da una tabula rasa dove tutto è da riscrivere: esiste infatti già un sistema che funziona, che negli anni è stato promosso e proposto, ed è l’attuale sistema elettro-energetico di cui tutti godiamo i benefici. Integrare in un sistema esistente dei nuovi soggetti attivi che parteciperanno poi ai mercati è chiaramente più difficile che non riscrivere tutto dall’inizio.

L’Italia, rispetto ad altre realtà, si è mossa bene e in anticipo. Nel 2020, ben prima della data prevista per il recepimento complessivo della direttiva RED II, c’è stata una introduzione anticipata delle CER nella normativa italiana. È questo un passaggio molto importante. Proprio per sperimentare le ricadute di questi nuovi meccanismi legati all’autoconsumo collettivo e alle comunità energetiche, il 28 febbario 2020 è stata promulgata la legge 8, che ha convertito il cosiddetto decreto Milleproroghe del 2020. Questa legge è stata poi completata dalla delibera di ARERA 318/2020 in cui è definito il modello di regolazione da applicare, e il 16 settembre è arrivato anche il decreto del Ministero dello Sviluppo economico che ha introdotto uno schema di incentivazione ad hoc per questo regime. Rimangono però vincoli e limiti a cui si deve sottostare; inoltre, va sottolineato che si tratta di un recepimento parziale e anticipato, non complessivo.

Modelli di regolazione: fisico vs virtuale
La delibera 318/2020 introduce un modello di autoconsumo collettivo uno a molti (una Unità di Produzione UP e più Unità di Consumo UC), permettendo il superamento dello schema uno a uno – una Unità di Produzione UP a servizio di una singola Unità di Consumo UC. ARERA ha analizzato i benefici e i vincoli di due possibili modelli di regolazione: attraverso la promozione di uno schema fisico, con una connessione privata tra l’impianto di generazione e le utenze dome- stiche e comuni, con la presenza di un unico punto di accesso (POD – Point Of Delivery) alla rete pubblica; e attraverso la promozione di uno schema virtuale, che prevede l’utilizzo della rete pubblica per lo scambio di energia tra unità di generazione e di consumo, attraverso un calcolo successivo delle componenti da restituire ai partecipanti allo schema [...]

Lo schema di autoconsumo fisico prevede un solo POD di scambio con la rete. L’energia prodotta è autoconsumata istantaneamente all’interno del perimetro della rete privata dell’edificio e non è quindi soggetta all’applicazione delle componenti variabili degli oneri di rete e di sistema, che si continuerebbero ad applicare esclusivamente all’energia prelevata dalla rete pubblica. I partecipanti allo schema andrebbero a stipulare un unico contratto di fornitura a servizio delle utenze comuni e domestiche del condominio e dovrebbero installare un’infrastruttura di misura non fiscale per la contabilizzazione dei consumi delle utenze. Secondo l’attuale regolazione, però, ogni unità immobiliare deve essere connessa a un contatore fiscale (esercito dal DSO), pena il rischio di essere identificata come utente nascosto della rete di distribuzione pubblica.

Inoltre, secondo il principio di libero accesso al mercato elettrico, ogni cliente deve poter essere libero di scegliere il proprio fornitore di energia e deve poter decidere in ogni momento di non fare parte dello schema di autoconsumo. Questi diritti, espressamente richiamati nelle direttive Rinnovabili e Mercato, sarebbero ovviamente compromessi se gli utenti non fossero dotati di un proprio POD. Dal punto di vista della regolazione ARERA ha quindi individuato un modello di riferimento di tipo virtuale, dove ogni utente continua a essere connesso alla rete pubblica tramite un proprio POD, vedendo così garantita sia la libertà di poter scegliere il proprio fornitore di energia, sia di uscire in qualunque momento dallo schema. La configurazione di rete resta pertanto invariata – poiché la rete pubblica termina nel punto di consegna (POD) dei singoli utenti finali – non prevede modifiche alle infrastrutture esistenti e garantisce al contempo efficienza, sicurezza e qualità del servizio.

In questo caso, i benefici legati all’autoconsumo sono frutto di un’operazione di tipo commerciale svolta da un responsabile nominato dai condòmini – il gestore dello schema – che quantifica le quote di autoconsumo attribuibili a ogni partecipante sulla base dei dati di misura fiscali di produzione dell’impianto e di consumo delle utenze domestiche e condominiali. Il calcolo della ripartizione dell’autoconsumo virtuale è frutto di accordi contrattuali tra i condòmini e può basarsi su un criterio energetico (per esempio, in proporzione ai coonsumi energetici delle singole abitazioniai in ogni intervallo temporale di misura) o su un criterio fisso (per esempio, di tipo millesimale o in funzione della compartecipazione all’investimento da parte del singolo). Per quantificare i benefici apportati al sistema elettrico da questi nuovi soggetti e adottare un approccio cost-reflective, ARERA ha introdotto le definizioni di:
  1. energia elettrica effettivamente immessa: l’elettricità immessa in rete al netto dei coefficienti di perdite convenzionali;
  2. energia elettrica prelevata: l’elettricità prelevata dalla rete da ciascuna utenza che partecipa allo schema;
  3. energia elettrica condivisa: in ogni ora, il minimo tra la somma dell’elettricità effettiva mente immessa e la somma di quella prelevata per il tramite dei punti di connessione che rilevano ai fini di un gruppo di autoconsumatori che agiscono collettivamente o di una comunità di energia rinnovabile.

Sulla base di questo modello virtuale, l’energia prodotta su base oraria e condivisa fra i partecipanti allo schema di autoconsumo o fra i membri della comunità gode di alcuni benefici. Da un punto di vista regolatorio è previsto un ristoro legato principalmente alla quota variabile degli oneri di rete e che si diversifica tra 8 euro/MWh per le CER e 10 euro/MWh per gli schemi di autoconsumo. Ci sono, però, dei vincoli. La potenza massima per singolo impianto non può essere superiore ai 200 kW e sistemi di generazione e utenti devono essere sottesi alla medesima cabina di media-bassa tensione. Il limite qui è segnato non tanto dalla potenza per singolo impianto quanto dal perimetro, che è individuato dall’allacciamento alla medesima cabina secondaria, che quindi prevede un numero limitato di utenti connessi. Se per lo schema di autoconsumo collettivo il perimetro è l’edificio stesso, per la comunità energetica è la cabina.

Anche dal punto di vista legislativo abbiamo una distinzione, a seconda del tipo di schema istituito. L’incentivazione sulla quota parte di energia prodotta e condivisa è pari a 110 euro MW/h per le CER e 100 euro MW/h per l’autoconsumo collettivo. L’incentivazione va quindi a favore delle comunità. Essendo un modello con una configurazione virtuale, l’energia che transita realmente in rete è valorizzata a prezzi di mercato (in media 50 euro/MWh), per una valorizzazione totale quindi di circa 160 euro/MWh. Il GSE, nel dicembre 2020, ha pubblicato le regole tecniche che regolano l’accesso al servizio di valorizzazione e incentivazione dell’energia condivisa. In questo momento schemi di autoconsumo e comunità energetiche sono fondamentalmente posti sullo stesso piano, così come l’energia condivisa coincide al momento con quella autoconsumata. Questo risulta limitante per le comunità mentre sposa pienamente i modelli di autoconsumo, dove l’obiettivo principale è – appunto – proprio quello di autoconsumare e la tecnologia di riferimento solitamente è il fotovoltaico.

Il ruolo di RSE: progetti pilota
Nel 2019 RSE – Ricerca sul Si- stema Energetico ha pubblicato due avvisi per l’invio di manifestazione d’interesse a partecipare a due studi, uno sulle Comunità Energetiche Rinnovabili e uno sull’autoconsumo. Tra le risposte ricevute, sono stati individuati e selezionati 9 pro- getti pilota per gli schemi d’auto- consumo collettivo tra quei soggetti che hanno dato maggiori garanzie di buona riuscita della sperimentazione e che hanno offerto la possibilità di diversificare la sperimentazione stessa in termini di tecnologia adot- tata, tipologia d’utenza e dimensio- ne del progetto. Con riferimento alle CER e nell’ottica di una visione prospettica di più ampio respiro, RSE ha inteso avviare uno studio che va oltre l’attuale quadro normativo e regolatorio, promuovendo 6 progetti pilota che, diversamente da quanto proposto dalla Legge 8/2020, non prevedono limitazioni alla potenza di generazione installata e considerano punti di immissione e di prelievo sottesi alla medesima cabina primaria.

Tra questi, tre realtà in particolare – due cooperative elettriche storiche (Storo e Prato allo Stelvio) e una municipalizzata (ACSM di Primiero di San Martino di Castrozza) – ci hanno permesso di capire come avvengono gli scambi con la rete, facendo analisi a livello di cabina primaria, e grazie al loro parco di generazione esistente e a una serie di dati molto corposa a livello elettro-energetico e territoriale ci hanno consentito di fare una fotografia allo stato zero. Abbiamo potuto constatare un comportamento energetico estremamente virtuoso, un senso di appartenenza elevatissimo e un livello di autoconsumo prossimo all’unità, vicino quindi al 100 per cento. Mediamente, facendo una media pesata su base annua, abbiamo riscontrato un autoconsumo e un’autoproduzione del 70-80 per cento, con un ruolo centrale dell’idroelettrico. La flessibilità è piuttosto limitata, in quanto avendo già un comportamento particolarmente virtuoso con autoproduzione e consumo già prossimi all’80 per cento non c’è molto margine per l’introduzione di nuove FER per soddisfare i bisogni della collettività.

Diverso il caso studio che riguarda la città di Tirano (SO) dove, con un’autoproduzione da fonti rinnovabili solo del 50 per cento e un autoconsumo del 100 per cento, si può lavorare pensando di introdurre nuove FER sul territorio. Avviando la collaborazione con RSE, tutti i soggetti hanno deciso di farsi promotori a livello locale della più ampia partecipazione, mettendo a disposizione le loro competenze e il know-how, e di supportare la promozione di comunità energetiche rinnovabili individuando nuove aree dove intervenire. La cooperativa storica di Storo, per esempio, ha predisposto un nuovo impianto fotovoltaico a servizio di un piccolo borgo che non godeva della connessione con la rete. Questo sarà uno dei primi progetti pilota ad accreditarsi secondo la regolazione attuale. Interessante perché apre per RSE l’opportunità di indagare come saranno regolate le partite economiche tra investitore – la cooperativa storica – e la comunità energetica rinnovabile che va a costituirsi; la cooperativa, avendo effettuato l’investimento, dovrà avere dei ritorni e dei benefici, sempre però promuovendo un comportamento virtuoso da parte degli utenti e con un coinvolgimento attivo della collettività che consenta di massimizzare l’indicatore dell’energia autoconsumata.

Dimensionamento sui consumi e senso di appartenenza
L’aspetto elettro-energetico è quindi fondante e fondamentale per la costituzione delle CER, ma è una parte del tutto e non va dunque confusa con il tutto. Le comunità energetiche sono infatti soggetti giuridici che hanno come obiettivo principale quello di fornire benefici ambientali, economici o sociali piuttosto che profitti finanziari. È qui il netto cambio di para- digma. Se prima si ragionava con la logica dell’incentivazione e di un di- mensionamento volto alla massima produttività dell’impianto (se posso produrre 100, produco 100 perché mi viene pagato ciò che immetto in rete), nel caso delle CER è richiesto un dimensionamento sulla base di quello che è il profilo di consumo. Se si vuole quindi aumentare la potenza installata, si dovranno promuovere una serie di azioni come l’elettrificazione dei carichi e dei consumi – per esempio con l’utilizzo di pompe di calore, piastre a induzione, o con la mobilità sostenibile. Mantenendo sempre fermo il principio per cui là dove produco, lì consumo, perché l’obiettivo è fornire un servizio – ad esempio il bilanciamento – che potrà essere eventualmente remunerato e non creare ulteriori problemi alla rete. Ecco perché è importante la diversificazione tecnologica e stabilire qual è il migliore assetto in cui far operare gli impianti.

Ma è il senso di appartenenza il vero driver per far sviluppare queste forme di aggregazione: garantire alla collettività un beneficio, far ricadere i proventi sulla comunità sotto forma di servizi e welfare, migliorare la qualità di vita. Tra gli obiettivi delle CER c’è anche quello di contrastare la povertà energetica e l’abbandono delle aree interne attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro e sfruttando maggior- mente le filiere locali. Nei casi oggetto di studio daparte di RSE, il senso di appartenenza è elevatissimo e l’elettività sociale fondamentale. Le cooperative elettriche storiche italiane possono infatti essere definite proto-comunità energetiche, che vivono veramente in maniera cooperativistica, al di là del vantaggio economico e della creazione di posti di lavoro locali e di nuove filiere. Dove predominanti diventano i luoghi e le tradizioni più dei vantaggi puramente economici. Senza contare che queste realtà sono anche proprietarie delle reti di distribuzione e a livello normativo, pur se previsto, si cerca proprio di non promuovere una duplicazione dell’infrastruttura di rete ma di mantenere quella esistente.

A Tirano con l’amministrazione locale si è deciso di intraprendere una serie di analisi per individuare un modello di sviluppo energetico e socio-territoriale per garantire la costituzione di una comunità energetica rinnovabile che guardi oltre l’attuale perimetro regolatorio. L’obiettivo è quello di supportare il legislatore nell’individuare quegli strumenti che potrebbero essere promossi per favorire lo sviluppo di questi nuovi soggetti: dai modelli di valorizzazione territoriale a nuove addizionalità (per la creazione di nuovi posti di lavoro), dal permettere il mantenimento in esercizio del parco di generazione esistente a come intervenire sul trasporto pubblico locale elettrificando la flotta, con uno scambio anche bidirezionale attraverso il V2G (vehicle to grid) che fungerebbe quindi da bilanciamento interno. Si passa così da un territorio che viene attraversato dall’infrastruttura a un territorio che diventa infrastruttura, in risposta alle peculiari esigenze sito-specifiche delle realtà locali: salvaguardando i valori e integrando nuova generazione da FER, ottimizzando il suolo (ad esempio con l’agrofotovoltaico), fino a rivitalizzare le economie del territorio.

Sviluppi futuri
Se oggi analizziamo le possibilità di intervento per introdurre nuova FER sul territorio, ci troviamo davanti due strade: individuare aree idonee dove poter installare grossi impianti di generazione, oppure promuovere soluzioni distribuite dove, ovviamente, le taglie impiantistiche sono più modeste. La prima ipotesi si autosostiene da un punto di vista puramente economico, ma la seconda permetterà di avere una serie di ricadute sul tessuto sociale che giustificano l’investimento. In questo caso risulta decisivo però il coinvolgimento della pubblica amministrazione, che con incentivazioni mirate può concorrere a supportare ulteriormente le nuove iniziative, oltre a essere una garanzia per l’utente finale e un agevolatore del progetto stesso. Per questo è fondamentale veicolare al meglio una informazione corretta e completa presso tutti quei soggetti istituzionali che possono fungere da aggregatori sul territorio.

Guardando in avanti, nell’ottica di un recepimento complessivo della direttiva, dovremo aspettarci una ridefinizione del perimetro elettrico per le Comunità Energetiche, oppure una ridefinizione su base geografica. Una ipotesi potrebbe essere il passaggio dalla cabina secondaria a quella primaria; o prevedere più canine secondarie, mettendo un limite al loro numero, e non per forza sottese alla stessa primaria. Questo, per meglio rispondere alle caratteristiche sito-specifiche dei territori. Analogamente, si andrà a modificare la potenza degli impianti, abbandonando il limite dei 200 kW per permettere l’impiego di tutte le tecnologie.


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