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Energia da biomasse, quando il GSE chiede troppo... Stampa E-mail

Energia da biomasse, quando il GSE chiede troppo...

di Giovanni Battista Conte / Avvocato in Roma


NEL 2013, SENZA ALCUN SUPPORTO NORMATIVO, IL GESTORE DEI SERVIZI ENERGETICI HA RICHIESTO AI PRODUTTORI DI ENERGIA DA BIOMASSE DELLE SOMME MAGGIORI RISPETTO AL CONTRIBUTO DOVUTO, COMMISURATO ALL’ENERGIA INCENTIVATA. LA VICENDA SI È CONCLUSA NEL 2021

Tutti i produttori di energia da fonte rinnovabile riconoscono un contributo al GSE per l’attività che questo svolge nel loro settore; contributo previsto dal decreto legislativo (d.lgs.) 28/2011 e che è commisurato all’energia incentivata. Nel 2013, senza alcun supporto normativo, il GSE ha pubblicato delle procedure applicative relative all’articolo 21 del dm 6 luglio 2012 dove affermava che “il Soggetto Responsabile di un impianto incentivato mediante il rilascio dei Certificati Verdi deve corrispondere per ogni certificato percepito un contributo pari a 0,5 euro. Ciò in ragione del fatto che il CV emesso corrisponde all’energia incentivata...”.

Conseguentemente, il GSE ha iniziato a chiedere ai produttori di biomasse delle somme maggiori rispetto a quelle dovute, in quanto ha preso come parametro non l’energia incentivata ma i Certificati Verdi che, notoriamente, per questo tipo di impianti erano attribuiti nella misura di 1,3 per MWh e, nel caso di filiera corta, 1,8 per MWh. In tal modo, il contributo preteso era superiore dal 30 all’80 per cento rispetto a quello dovuto, motivo per il quale la questione è stata subito contestata dai produttori che ne hanno rilevato l’assoluta mancanza di base normativa.

La contestazione è dovuta apparire non del tutto peregrina, tanto che un paio di mesi dopo la comunicazione esposta dai produttori di biomasse, nel dicembre 2014 il ministero dello Sviluppo economico approvò un decreto ministeriale che prevedeva per il futuro il metodo di calcolo del contributo basato proprio sulla tesi sostenuta dal GSE. Decreto che i produttori di energia da biomassa impugnarono allora al TAR che, con sentenza 24 maggio 2016 n. 6102, lo annullò.
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