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Il dovere della verità Stampa E-mail

Il dovere della verità

di Giuseppe Gatti


PRIMA E AL DI LÀ DELLA PANDEMIA, DA VENT’ANNI PERDIAMO POSIZIONI IN EUROPA QUANTO A CAPACITÀ DI CRESCITA. IL RECUPERO DI UN PERCORSO DI SVILUPPO PASSA ATTRAVERSO RIFORME INELUDIBILI, PURTROPPO TOTALMENTE ESTRANEE AL DNA DELLA SOCIETÀ ITALIANA

Mi sto convincendo sempre di più che la vera scommessa di Mario Draghi
per riuscire ad acciuffare in extremis un Paese riluttante a salvarsi e riportarlo su di un impegnativo percorso di sviluppo, si giochi sul terreno della narrazione, dello storytelling come si usa dire adesso. Il ruolo politico della narrazione, come strumento che incide sul processo cognitivo e orienta il sentimento collettivo, è noto da almeno 2.500 anni, a partire dal “Qui ad Atene noi facciamo così”, dell’orgoglioso discorso con cui Pericle rivendicò la supremazia ateniese nell’Ellade.


Non sto quindi pensando al dozzinale marketing politico sciorinato nei quotidiani talk show televisivi, ma al discorso pubblico che deve dare basi concettuali all’azione di governo, se questa vuole avere ambizioni e prospettive progettuali e non ridursi al tirare a campare. Mi sembra che questa esigenza sia ben chiara a Draghi e se per un governo, che per la sua composizione non può avere nessuna qualificazione esplicita, si vuole trovare una cifra politica, mi sia consentito rifarmi alle mie radici e rintracciarla in un’espressione dialettale piemontese che nella sua trascrizione fonetica suona: A-n tuca cuntéla giüsta, cioè dobbiamo dire le cose come stanno.

In primo luogo Draghi non ha esitato ad ammettere che, per quanto non gli piacesse, lo stralcio delle cartelle esattoriali, sia pure per un periodo limitato e importi relativamente modesti, era un condono, rifiutandosi alla retorica della cosiddetta pace fiscale. Abbiamo poi avuto la qualifica di Erdogan come dittatore, e con il 25 aprile il riconoscimento che noi italiani non eravamo tutti proprio “brava gente”. A questa stessa regola mi sembra corrisponda anche la riscrittura del Recovery Plan che è risultata spiazzante nel gioco politico. Ricordate le infinite querimonie sulla lista della spesa messa a punto con il Conte II, con le rivendicazioni da parte di ciascuna componente di un qualche bonus in più?

La vicenda ha rischiato di ripetersi con il Superbonus al 110%, una misura, sia detto per inciso, la cui abnormità è testimoniata dal fatto che in Europa misure analoghe non superano l’agevolazione del 75%. E a ruota stava montando il gioco delle bandierine di partito issate su questo o quel progetto. A troncare queste voci di disturbo e a far calare un inusuale silenzio sono venute le quattro pagine di premessa al Next Generation EU italiano, esplicitamente firmate Mario Draghi, e le successive 38 dedicate alle riforme di contesto: pubblica amministrazione, giustizia, concorrenza, fisco. Sono queste 42 pagine ad aver troncato il gioco delle bandierine, e in esse è racchiusa la differenza sostanziale tra l’amorfo Recovery Plan edizione Conte e il testo inviato a Bruxelles, che si qualifica non soltanto per un maggior volume di investimenti, ma soprattutto per imperniarsi sulla linea delle riforme.[...]

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