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Recovery Plan: meno illusioni e più concretezza Stampa E-mail

Recovery Plan: meno illusioni
e più concretezza

di GIUSEPPE GATTI


Secondo un sondaggio IPSOS di fine gennaio, il 23 per cento degli italiani dà un giudizio positivo sull’apertura della crisi di governo,“considerandola un’opportunità di rilancio per il Paese”.

È una minoranza alla quale mi iscrivo senza esitazioni. Perché trovo non solo pienamente comprensibile, ma altrettanto pienamente giustificato il precipitare della crisi? Mi rifaccio al riguardo all’analisi proposta da un acuto osservatore come Sergio Fabbrini su il Sole-24 Ore del 31 gennaio. Fabbrini individua, a mio avviso correttamente, il punto d’innesco della crisi nella mancata soluzione di un nodo politico essenziale, quale la struttura della governance per gestire il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), comunemente chiamato Recovery Plan. La rilevanza di questo punto è di tutta evidenza, perché dalla definizione della governance dipende in larga parte la credibilità stessa del Pnrr.

Ora, caduta rapidamente la implausibile architettura ipotizzata in un primo momento da Palazzo Chigi, con una cabina di regia di sei super-manager (!) con un codazzo di trecento assistenti, è rimasto il vuoto pneumatico.
Senza aver strutturato la guida di un complesso processo di gestione di una molteplicità di progetti, che saranno monitorati costantemente a livello europeo e che richiedono una capacità di spesa che in Italia non si è mai manifestata, non si va però da nessuna parte e neppure si può presentare a Bruxelles alcun Piano. Questo è il punto dirimente e il nuovo Governo, quale che sia, sarà qualificato dalla risposta che saprà dare al riguardo, non dalle alchimie con cui saranno composte le controversie tra e nei partiti.

Non meno rilevante è poi l’intero impianto del Recovery Plan. Nella sua prima versione era poco più che una lista della spesa e un elenco di sussidi a pioggia, tanto che da più parti si parlò di un piano da Sussidistan. Dopo gli ultimi miglioramenti, mi riferisco alla bozza del 12 gennaio, si sono ridotti i sussidi e sono aumentati gli investimenti. Continua però a mancare una chiara gerarchia nelle priorità, come rimane indefinito il rapporto tra strumenti e obiettivi e per molte iniziative, anche di per sé non disprezzabili, non si capisce come potranno essere realizzate. Manca insomma un filo conduttore coerente che sappia disegnare un credibile percorso di crescita.

Ora, è proprio la crescita la bussola che deve orientare il Pnrr, perché è la leva che rende sostenibile l’espansione del debito pubblico a cui comunque andiamo incontro, perché i vagheggiati 209 miliardi che attendiamo dall’Europa sono debito, per lo più interamente italiano, e in parte europeo, e quindi anche questo, almeno pro-quota, italiano. La fragilità del quadro che si è cercato di comporre mettendo insieme collaudate iniziative, vecchi progetti riesumati dal cassetto di qualche ministero e scintillanti iniziative tanto avveniristiche quanto improbabili, risulta di tutta evidenza dal complesso delle misure proposte nella Missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, che dispone della non disprezzabile dotazione di 68,9 miliardi. [...]

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