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Bettonte: "Siamo in prima linea nel contrasto al climate change" Stampa E-mail

Bettonte: “Siamo in prima linea
nel contrasto al
climate change

di PAOLA SESTI


Se i numeri della pandemia continuano purtroppo a essere i protagonisti non solo della comunicazione ma anche - soprattutto - dell’agenda politica, non va dimenticata un’altra, decisiva sfida che riguarda anch’essa tutti noi: la salvaguardia ambientale.

In questo caso, con un punto a nostro vantaggio. Uno dei vaccini per contrastare il cambiamento climatico lo abbiamo già scoperto e testato, ne conosciamo il funzionamento e ne abbiamo disponibilità: sono le fonti rinnovabili. Dello sviluppo delle FER, di come traguardare gli obiettivi dettati dal Green Deal europeo e delle opportunità che anche l’Italia si trova a potere (dovere) cogliere, Nuova Energia ha parlato con
Luca Bettonte, amministratore delegato di ERG, una delle prime company oil ad avere sposato totalmente una scelta industriale green.


Il 2030 è ormai dietro l’angolo. Come si possono raggiungere i target previsti dal PNIEC? E secondo lei sono realmente raggiungibili?
Gli obiettivi del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima presentato dal Governo alla Commissione Europea prevedono una forte crescita della capacità solare ed eolica rispetto a quella attuale: dai 20 GW oggi installati nel solare è necessario arrivare a oltre 50 GW, e i 10 GW dell’eolico devono raggiungere quota 18 GW, che diventano 21 GW se si considera la perdita di potenza dovuta alle dismissioni per obsolescenza degli impianti.
Si tratta di obiettivi che impongono un ritmo di crescita ben diverso dai timidi incrementi degli ultimi 3-4 anni. Negli ultimi due anni e mezzo sono stati autorizzati complessivamente meno di 1.500 MW fra eolico e fotovoltaico, mentre il Piano ne richiederebbe più del doppio installati ogni anno: a questa velocità gli obiettivi del PNIEC non saranno raggiunti.

Dunque, come si esce da questo che sembra un vicolo cieco?

Lo sfruttamento del potenziale del repowering del parco eolico italiano sarà fondamentale per provare a colmare il gap; repowering che del resto è previsto dallo stesso PNIEC. In base ad uno studio condotto da Elemens, quasi la metà dell’installato eolico italiano attuale si presta – per caratteristiche tecnologiche e livelli di performance – a operazioni di repowering. Parliamo di 5,1 GW su 10,8 GW. La capacità di tali impianti potrebbe essere aumentata a 8,5 GW. La produzione aggiuntiva che ne scaturirebbe ammonterebbe al 2030 a 12,1 TWh, quasi il 60 per cento dell’incremento di produzione da eolico previsto dal PNIEC.
Il repowering consentirebbe lo sfruttamento dell’infrastruttura già esistente sul territorio e non richiederebbe utilizzo di nuovo suolo. Verrebbe ridotto di oltre la metà il numero di aerogeneratori installati, eliminando il cosiddetto effetto selva. Per non parlare delle ricadute sul sistema Paese: investimenti rapidamente cantierabili e concentrati nel Sud Italia, adeguamento tecnologico del parco di produzione; minori emissioni di CO2 per 25 milioni di tonnellate. Parliamo di circa 8 miliardi di euro di investimenti potenziali nel periodo 2021-2030; oltre 4.000 addetti l’anno impegnati e quasi 5 miliardi di euro di benefici economici in termini di riduzione del PUN, valore aggiunto e gettito fiscale nel periodo; ad essi andrebbero aggiunti minori costi per lo sviluppo della rete elettrica, in termini sia ambientali che economici.

Quanto aiutano le novità introdotte dal DL Semplificazioni, recentemente convertito in legge?

Aprono la possibilità ai progetti di repowering di partecipare alle aste DM FER 1 in corso, seppur in coda ai progetti greenfield e con una penalizzazione del 5 per cento relativamente ai prezzi d’asta, e a ulteriori meccanismi di sostegno alle FER post 2021 correlati agli obiettivi del PNIEC. Sono state inoltre apportate modifiche che razionalizzano e accelerano il permitting: la valutazione di impatto ambientale differenziale dei progetti di repowering, ad esempio, che considera l’impatto basandosi sulla differenza rispetto al layout dell’impianto esistente. Per il reblading invece, ovvero la sostituzione delle sole pale, la novità è che, se l’aumento di dimensione della pala è inferiore al 15 per cento, non servono autorizzazioni ma solo una comunicazione di inizio lavori al Comune.

In questo percorso di evoluzione tecnologica e normativa, assolutamente indispensabile al processo di decarbonizzazione, qual è stato il ruolo di ERG?
Siamo stati i pionieri del repowering, presentando già a marzo del 2018 un piano quinquennale da oltre 400 milioni di investimenti, e abbiamo svolto un’intensa attività di sensibilizzazione presso tutti gli stakeholder coinvolti, in Italia e in Europa, per far comprendere l’importanza del rinnovamento tecnologico dell’industria eolica.
Nel frattempo, abbiamo lavorato su un portafoglio di progetti più ampio di quello incluso nel Piano Industriale: se trovassimo le condizioni giuste per svilupparlo interamente parliamo di quasi 1 miliardo di euro di investimenti in Italia. In tal senso sarebbe auspicabile che venissero eliminati sia il meccanismo che prevede che la nuova capacità attribuibile al repowering venga assegnata solo a valle di quella disponibile per i cosiddetti greenfield, sia la penalizzazione del 5 per cento non comprensibile e giustificata sul livello di prezzo d’asta.
Due previsioni normative che fra l’altro sono contrarie al principio del Level Playing Field contenuto nella RED II, la direttiva europea che dovrà essere adottata dall’Italia nel 2021.

Resta il problema della lunghezza e polverizzazione burocratica, che ostacola, rallenta - se non frena del tutto - i progetti e gli investimenti. È una criticità solo italiana? Quali soluzioni adottare, anche a livello politico?
Oggi la procedura di permitting per gli interventi di repowering è la stessa che caratterizza gli impianti greenfield; la direttiva europea RED II prevede invece che il repowering abbia diritto a tempistiche dimezzate rispetto ai greenfield e i tempi dell’iter autorizzativo siano molto più brevi rispetto agli attuali: due anni per i greenfield e un anno per il repowering. Il PNIEC cita espressamente tale necessità e l’intenzione di emanare una specifica normativa, ma omette il perimetro di tale emanazione e soprattutto i tempi di emissione. Oggi in Italia in media occorrono più di cinque anni per ottenere l’autorizzazione unica nell’eolico, di cui oltre quattro solo per la VIA, da cui si potrebbe già facilmente dedurre un fallimento annunciato del PNIEC.

Occorre quindi ridurre in modo drastico i tempi di autorizzazione e semplificare l’iter procedurale...
Sì, perché siamo di fronte a una grave carenza di progetti autorizzati in Italia e lo ha dimostrato anche il risultato della terza asta del DM FER 1 pubblicata a settembre: a fronte di un contingente per gli impianti eolici e solari utility scale di 774,7 MW, ne sono stati assegnati meno della metà, 313,9 MW. Il DL Semplificazioni ha apportato delle novità positive importanti, ma non supera ancora i problemi legati alla complessità e alla lunghezza dei processi autorizzativi, che sono l’ostacolo principale alla realizzazione delle politiche di decarbonizzazione.
L’ammissione del repowering alla graduatoria delle aste in subordine agli impianti greenfield e fino al raggiungimento della capacità prevista ad asta, e la decurtazione del 5 per cento rispetto al prezzo offerto in asta, sono in chiaro contrasto con quanto dispongono PNIEC ed European Green Deal, che prescrivono di preferire le soluzioni di decarbonizzazione che non richiedono, o tutt’al più limitano, l’utilizzo di nuovo suolo, oltre a essere in contraddizione con l’obiettivo previsto dalla stessa normativa di assicurare un playing level field tra le diverse tipologie di investimento.

Un altro nodo da sciogliere è quello della valutazione dell’impatto paesaggistico.
Occorre che questo tipo di valutazione da parte delle Sopraintendenze, che fanno capo al Ministero dei Beni Culturali, avvenga sulla base di linee guida condivise, con criteri chiari e non meramente discrezionali.
E aggiungo che occorre circoscrivere la necessità di pareri paesaggistici alle aree dove sussistono effettivamente vincoli previsti dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.
Una volta superato con difficoltà il NIMBY (Not In My Back Yard), a livello istituzionale è anche necessario che si superi il fenomeno del NIMTOO (Not In My Term Of Office), per cui gli amministratori locali rimandano le decisioni ai loro successori. Occorre che i funzionari delegati al permitting degli impianti collegati alla transizione energetica ricevano istruzioni chiare rispetto agli obiettivi collegati al PNIEC.
I processi autorizzativi dovrebbero essere rivisti alla luce dei danni che la loro lentezza e inefficienza causa alla necessità di rilancio degli investimenti nella Penisola, in particolare al Sud Italia, e al processo di decarbonizzazione fondamentale per combattere il cambiamento climatico: oggi le priorità dovrebbero essere diverse, a meno che ciò non rappresenti una mal celata mancanza di convinzione politico-istituzionale in tale senso.[...]

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