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Scompare l’Unione Petrolifera,
rimane il petrolio

di GIUSEPPE GATTIVisita il profilo LinkedIn


La transizione energetica fa la sua prima vittima con un suicidio eccellente. A immolare la propria vita è stata l’Unione Petrolifera...

...che ha chiuso la propria esistenza, dopo 72 anni, con l’assemblea annuale del 6 ottobre scorso, ha abbandonato la sua denominazione storica e si è ribattezzata Unem (Unione energie per la mobilità). Un sacrificio sull’altare della politically correctness o i primi effetti della damnatio memoriae a cui è stato ormai condannato il petrolio? Quello che colpisce è soprattutto l’indifferenza con cui la grande stampa e di riflesso l’opinione pubblica hanno accolto questa operazione di chirurgia estetica.

Proprio il silenzio che ha accolto questa volontà di cambiamento è la testimonianza di come l’oil sia ormai considerato morto e sepolto.
Quello che un tempo era considerato l’
oro nero, ormai è nero soltanto.
Questa la percezione generale e come corollario abbiamo che le tematiche legate al petrolio sono state espunte dal dibattito pubblico, anche sulla politica energetica. Questo atteggiamento genera due conseguenze, entrambe estremamente negative e che dal sentimento collettivo risalgono al decisore politico. La prima è una fuga in avanti, ignorando barriere tecnologiche ancora da superare come
economics che non tornano.

La seconda è che viene offuscata la percezione della rilevanza che l’oil conserva e conserverà ancora per oltre un decennio all’interno del sistema energetico e si trascurano gli interventi necessari per mantenere in efficienza tutta la filiera. Già condannato, per furore ideologico, l’
upstream (le maledette trivellle), il disinteresse generale investe ormai tutto il downstream, dalla raffinazione alla distribuzione carburanti. Chiaro esempio di fuga in avanti sono gli obiettivi assunti nel PNIEC quanto al contributo delle rinnovabili nei trasporti, posto per il 2030 al 21,6 per cento contro il 14 per cento fissato dall’Unione Europea con la Direttiva RED II (e per di più in Italia con il contributo dell’8 per cento di biocarburanti avanzati, contro il 3,5 per cento previsto a livello europeo).

Pensare di raddoppiare in pochi anni la quota di rinnovabili nei trasporti (il target al 2020 era del 10 per cento) è del tutto irrealistico, tanto più che mentre oggi c’è un unico obiettivo per benzina e gasolio, domani si dovrebbero avere quote separate per i due prodotti e una più elevata miscelazione del gasolio (oggi siamo al 9 per cento) pone problemi motoristici non indifferenti, che si presentano per altro anche volendo esasperare l’impiego del bioetanolo nelle benzine. Per carità, non sono problemi insolubili, i motori Flex (idonei per i diversi carburanti) sono largamente diffusi in Sud America e alcuni modelli sono disponibili anche in Europa, ma in ogni caso l’impatto sull’
automotive non può essere tranquillamente ignorato

Non è infatti del tutto trascurabile che, anche scontando la sensazionale crescita dell’auto elettrica annunciata dal PNIEC con 6 milioni di vetture al 2030, vi sarebbero a quella data sempre 25 milioni di unità con motore a combustione interna (magari in formula ibrida). Quanto poi all’incapacità del decisore politico di cogliere la sostanza dei problemi legati alla filiera petrolifera c’è solo l’imbarazzo della scelta e mi limito a un caso emblematico, l’ostinata battaglia del Ministro dell’Ambiente per aumentare l’accisa sul gasolio, parificandola a quella sulla benzina, nel nome della guerra ai SAD (Sussidi Ambientalmente Dannosi).
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