Clima e infezioni non devono viaggiare insieme |
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Clima e infezioni non devono viaggiare insieme
di ELIO SMEDILE
![](http://www.nuova-energia.com/images/images2020/2-2020-elio.jpg)
In un articolo apparso negli ultimi giorni di aprile su Le Monde Eduard Bard ha messo in relazione le due maggiori crisi globali del nostro tempo: la pandemia causata dal Covid-19 e il cambiamento climatico.
A giudizio del giornalista francese si potrebbe primariamente escludere che la diffusione del virus possa essere ritenuto di origine climatica. Ciononostante – aggiunge – l’attuale pandemia potrebbe fornire spunti ai climatologi in previsione della diffusione accelerata del riscaldamento globale prevista per i prossimi decenni. La crisi causata dal coronavirus costituirebbe quindi una sorta di prova generale, un crash test per le società umane. È una tesi suggestiva ma - a parer mio - nel concreto difficilmente sostenibile.
Va peraltro segnalato che le interrelazioni tra cambiamento climatico e pandemie sono state già analizzate in differenti contesti, dando seguito spesso a molteplici interpretazioni. Tra esse, la più corrente è quella per cui lo spillover del Covid 19 possa essere stato determinato dalle migrazioni di specie selvatiche per effetto dalla perdita di habitat causata dal cambiamento climatico. A tal proposito lo scienziato americano Aaron Bernstein è persuaso che se si vuole prevenire la diffusione di agenti patogeni occorre anzitutto non trasformare il clima, perché questo costringe le specie a venire a contatto con altre che potrebbero essere vulnerabili alle infezioni.
Quando si tratta della diffusione dell’infezione attraverso diversi potenziali percorsi - afferma lo scienziato - il cambiamento climatico è una forza destabilizzante. Per quanto concerne il rapporto salute/ambiente, il collegamento ha fatto riemergere alcuni interrogativi concernenti il rapporto tra la salute umana e gli squilibri ambientali e più specificatamente il modo con cui gli inquinanti ambientali possono alterare la risposta immunitaria e facilitare l’azione di virus e batteri. Questa alterità sembra trovare conferma in un contesto particolare del nostro Paese, quello dell’area più fortemente industrializzata del Nord.
In quest’area, infatti, dove si registrano i tassi più elevati di inquinamento atmosferico e del suolo, si sono per primi sviluppati i maggiori focolai del Covid-19. Per inciso, occorre far presente che allo stato attuale non vi sono dati di riconosciuta validità scientifica che provino l’esistenza di una correlazione diretta tra la severità di una pandemia e la (pessima) qualità dell’aria e del suolo di una determinata regione. D’altro canto, sicuramente le popolazioni di determinate aree della Pianura Padana sono esposte a un inquinamento dell’aria che certamente bene non fa all’apparato respiratorio e non è quindi infondato ipotizzare che esso possa essere un co-fattore che determini la durezza della pandemia. [...]
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