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È pensabile in Italia un rilancio dell’atomo? Stampa E-mail

È pensabile in Italia
un rilancio dell’atomo?

di RICCARDO VARVELLI / Politecnico di Torino


In un momento in cui l’opinione pubblica italiana è distratta da altre priorità, proviamo ad affrontare con maggiore serenità e minore faziosità un tema/problema che nel giro di 10-15 anni diventerà nuovamente attuale (e forse urgente).

Intendiamo ragionare sulla possibilità di un rilancio della energia nucleare anche in Italia malgrado il referendum del 1987 e l’azione propagandistica martellante dei “media” a vantaggio delle fonti energetiche rinnovabili (FER). Tutti (o quasi) concordano sulla proposta di una totale decarbonizzazione (cioè il non utilizzo delle fonti inquinanti che producono CO2: carbone, petrolio, gas naturale e legno) il più presto possibile. L’Unione Europea ha fissato il traguardo per il 2050 ma il resto del mondo (USA, Cina, India) all’ultimo incontro internazionale dell’IPCC (Intergovernamental Panel of Climate Change) tenutosi a Madrid nel 2019 non si è trovato d’accordo.

Vale allora la domanda che si è posto giustamente Dominique Finon, direttore del Centre Nationale de la Recherche Scientifique (CNRS):
“Cosa accadrà quando i governi contrari al nucleare scopriranno e ammetteranno che l’energia rinnovabile non può essere l’unico o il principale vettore per la decarbonizzazione? Il rischio è quello di arrivare impreparati all’appuntamento con il clima se il nucleare continuerà ad essere escluso dall’elenco delle tecnologie a bassa emissione di carbonio”.

Il contempoeraneo processo di decarbonizzazione e di denuclearizzazione mondiale è improponibile, ed è impraticabile anche nel medio e lungo termine. Lo attestano le 449 centrali oggi in funzione in 31 nazioni (fra cui 104 negli USA, 58 in Francia, 40 in Cina, 36 in Russia, 24 in Corea del Sud e 21 in India), le 67 attualmente in costruzione (delle quali 17 in Cina) e le 157 pianificate (30 previste in Russia entro il 2030) più 140 sottomarini e portaerei a propulsione nucleare.

Malgrado i problemi ben conosciuti inerenti al processo nucleare (vita delle scorie e gestione dei depositi), gli elevati costi di investimento (una media centrale nucleare costa da 5 a 8 miliardi di dollari) e il rischio di incidenti (1957 Kystym in URSS e Sellafield in Gran Bretagna; 1979 Three Mile Island in USA; 1989 Chernobyl in Ucraina; 2011 Fukushima in Giappone), l’investimento nel nucleare da “fissione” procede, anche se in misura contenuta rispetto al fabbisogno mondiale di energia.
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