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Caro mercato della capacità... Ego te carpam baptizo! Stampa E-mail

Caro mercato della capacità…
Ego te carpam baptizo!

di GIUSEPPE GATTIVisita il profilo LinkedIn


La capacità di sconcertare i mercati da parte del governo è indubbiamente eccezionale e non si applica soltanto al terreno propriamente economico (con una manovra di bilancio che volendo essere espansiva risulta invece recessiva per le sue intrinseche contraddizioni)...

...ma ha incominciato a esprimersi anche nel campo della politica energetica, con il primo passo compiuto, il ritiro della firma italiana al Working Paper 10008/2018. Questo documento, che si colloca nel dialogo inter-istituzionale per la definizione del nuovo Regolamento per il mercato interno dell’energia elettrica, è stato diramato il 4 settembre e nasceva su iniziativa di Francia e Polonia, trovando poi l’adesione di Regno Unito, Italia, Grecia, Ungheria e Irlanda.

Passa poco più di una settimana e il 13 settembre l’Italia ritira la sua firma. Questa mossa repentina di per sé non fa ancora molti danni: l’affidabilità italiana in Europa è stata compromessa in questi mesi da ben altre inadempienze e giravolte e non è il ritiro di una firma ad aggravare più che tanto la situazione. Più rilevanti sono le motivazioni che vengono addotte, perché da un lato rendono incomprensibile la posizione italiana e da un altro introducono elementi di incertezza che pesano sull’evoluzione del settore e in particolare rendono oggi difficile, per gli operatori della generazione, la definizione dei budget per il 2019, non sapendo più se e quando collocare un possibile avvio del mercato della capacità.

Sul sito del MiSE il comunicato stampa con cui si annunciava e si spiegava la decisione di abbandonare il gruppo dei sette firmatari è scomparso (io almeno non sono più riuscito a trovarlo), ma rimangono le dichiarazioni del sottosegretario Davide Crippa, ampiamente riprese dalla stampa. Leggiamo cosa dice l’onorevole Crippa: “Ci siamo fermati perché riteniamo necessario valutare (…) se siano più convenienti meccanismi flessibili di
capacity o una riserva strategica sul modello tedesco che, anche se attiva solo nei picchi di domanda, possa comunque causare danni alla salute dei cittadini”.

Ad una prima lettura condotta nel rispetto delle regole sintattiche della lingua italiana l’interrogativo su quale soluzione sia preferibile pare retorico, dato che non possono esserci dubbi: se la riserva strategica - pur usata limitatamente - può causare danni alla salute, è ovvio che sia da scegliere il capacity market. Non si comprende così quale ulteriore valutazione sia necessaria e cosa fermi il governo dal proseguire sulla strada intrapresa da ormai quattro anni.

Forse è meglio abbandonare la sintassi e pensare che il sottosegretario intendesse dire che dobbiamo vedere quale meccanismo, tra capacity market e riserva strategica sia meno dannoso per la salute. Posto il quesito in questi termini non possiamo che rivolgerci all’Istituto Superiore di Sanità e consigliare all’onorevole Crippa di passare la palla al Ministro Grillo, dal momento che non vi è né legge termodinamica, né teoria economica che possa sciogliere il dilemma. L’alternativa, per come è stata posta, è semplicemente priva di senso. Entrambe le soluzioni consentono di definire criteri con cui selezionare gli impianti che possono accedervi e quindi non è la tutela della salute la discriminante da assumere.

Rimane così del tutto misteriosa la ragione per cui si debba rimettere in discussione una scelta fatta da tempo e che, come detto, ha richiesto quattro anni per essere messa a punto e ottenere l’approvazione di Bruxelles. Eppure, tra le poche cose sufficientemente sicure di questa strana vicenda, vi è senza dubbio la rimessa in discussione del capacity market, anche perché il punto chiave del Working Paper era proprio la difesa di questo meccanismo, contestando l’indirizzo emerso in sede di Commissione Industria del Parlamento europeo di considerare la riserva strategica come strumento migliore e preferibile per risolvere i problemi di adeguatezza.

Allora perché ritirare la firma se non si voleva mettere in discussione il capacity? Una possibile spiegazione alternativa viene tentata facendo riferimento alla richiesta contenuta nel
Working Paper di gestire con ragionevolezza il phase-out dal carbone, esigenza per altro propria anche dell’Italia, che non può permettersi velleitarie fughe in avanti, tenendo conto del ruolo essenziale del nodo di Brindisi e della situazione della Sardegna, per cui un’uscita totale dal carbone nel 2025 risulta per noi quanto mai ardua.

Al tempo stesso il documento ripudiato richiama però con forza l’esigenza che i diversi sistemi abbiano regole comuni per quanto concerne i livelli di emissione. Nessun lassismo al riguardo. Se è la guerra al carbone a dettare il ritiro della firma, allora si può ben dire che si è fatto un autogoal, e in ogni caso ritorniamo al discorso già fatto. Sia il
capacity market, sia la riserva strategica possono tanto ammettere quanto escludere gli impianti a carbone, come graduare la loro ammissibilità in base agli EP (emission performance). Insomma non si rintraccia alcun elemento razionale che spieghi perché siamo ritornati in alto mare.

La spiegazione più plausibile è allora che si vogliano comunque rimettere in discussione le scelte dei precedenti governi in nome del cambiamento per il cambiamento, a prescindere dal merito. A questo serve la scoperta dell’analisi costi-benefici che è diventata la foglia di fico per cassare gli interventi infrastrutturali già ideologicamente condannati (vedasi TAV Torino-Lione), come “la valutazione dell’appropriatezza dei meccanismi” per dirla con l’onorevole Crippa nel caso del
capacity market. Se questa è la logica del nuovo corso, allora bisogna unire alla più radicale contestazione concettuale di un’impostazione spregiudicata che unisce luddismo e incompetenza, una altrettanto spregiudicata tattica di camouflage.

Di un mercato della capacità abbiamo bisogno. Il recente report
Midterm Adequacy Forecast dei TSO europei (Entso-E) dice chiaramente che al 2025, in assenza di interventi strutturali, per l’Italia si presenterà una “situazione altamente critica”. Certo, Entso-E fa parte della tecnocrazia europea e il Governo del popolo può quindi ignorarne l’avviso, ma per gli operatori e il mercato elettrico non è un messaggio da trascurare. Ricordate il prelato medioevale che di venerdì voleva mangiare un cosciotto di carne, rispettando però il precetto della vigilia? Ego te carpam baptizo, fu la soluzione.

Riverniciamo allora il capacity market, chiamiamolo ad esempio mercato della riserva, che è un termine diverso anche dalla riserva strategica tedesca. Avremo così un prodotto originale, unici in Europa, ma con un copyright sotto piena sovranità italiana.

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