di DAVIDE CANEVARI
Ogni volta ci ricadiamo. Arriva la stagione calda e torna la siccità. L’opinione pubblica e i mass media iniziano febbrilmente a occuparsi di acqua - in una logica rigorosamente emergenziale - fino alle prime piogge... Poi tutti sembrano dimenticarsi del problema.
Come uscire da questa situazione passando dai fiumi di parole a fatti concreti?
Nuova Energia ha incontrato il direttore generale di Utilitalia, Giordano Colarullo, partendo proprio da questa considerazione.
“Sì, la stagione calda... Però, bisogna tener presente che la crisi idrica che si è presentata quest’anno - è il primo commento di Colarullo - era tipica della fine dell’estate; normalmente avviene a settembre. Invece, quest’anno ci siano trovati di fronte a un anticipo di tre mesi sulla tabella di marcia cui la natura ci aveva abituato. Ormai è evidente: le acque superficiali - fiumi, laghi, bacini, sorgenti - appaiono sempre più esposte al caldo e in generale ai cambiamenti climatici”.
Possibili risposte?
Una delle soluzioni da mettere in campo contro l’ondata di siccità è il riuso dell’acqua; si tratta di qualcosa che dovrebbe diventare strutturale e ordinario - specie per l’agricoltura – e non soltanto in situazioni di carenza. Le infrastrutture di rete, gli acquedotti, hanno una percentuale media di perdita pari al 39 per cento, il che significa che si perdono nei tubi 39 litri d’acqua ogni 100 litri immessi.
Quando siamo in una situazione di abbondanza d’acqua, il problema sembra dimenticato, ma se si è alle prese con la scarsità idrica le ripercussioni sono quasi immediate su portata e pressione. Siamo stati presenti su tutti gli organi di stampa possibili per spiegare che è necessaria una pianificazione nazionale che sia in grado di coordinare gli usi concorrenti e pianificare gli interventi, di concerto con tutti gli attori che a diverso titolo intervengono nella tutela e nell’uso della risorsa.
L’equazione acqua pubblica = acqua gratis sembra guidare molte iniziative nel Paese. Come si fa a far passare il messaggio dei costi di gestione delle infrastrutture?
Evidentemente è più difficile da spiegare di quanto immaginiamo, se due sentenze del TAR e la pronuncia definitiva del Consiglio di Stato a giugno non sono sufficienti a considerare conclusa la polemica.
Che l’acqua sia un bene comune è fuori di dubbio, che la sua gestione - e quindi tutti i passaggi che dalla sorgente la portano al rubinetto di casa - abbia dei costi è altrettanto vero.
La logica in questo settore deve guardare alla qualità del servizio offerto all’utente finale. Questo dipende dalla qualità delle infrastrutture, che a sua volta dipende dagli investimenti. Dopo un periodo di forte flessione che ha avuto il suo picco in negativo nel 2013, dal 2014 hanno ripreso a ripartire, almeno un po’. Questo è tanto più vero quanto più i gestori dei vari ambiti sono costituiti a livello industriale ed è tanto meno vero dove le gestioni sono ancora in economia. Nel Paese ce ne sono in oltre 2.000 Comuni.
Dunque, possiamo essere contenti del fatto che si sia ripartiti, ma ancora non è sufficiente...
Vero. Se vogliamo cambiare marcia e modernizzare il settore servono investimenti per 5 miliardi l’anno; e questa cifra va considerata come il minimo necessario per coprire il fabbisogno di infrastrutture del nostro Paese. Siamo a meno della metà dell’effettivo fabbisogno, e questo appare evidente non appena si verifica un evento fuori dall’ordinario come l’assenza di piogge per un periodo prolungato. [...]
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