Previsioni e non profezie |
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di Riccardo Varvelli| Politecnico di Torino
Alcuni fatti di cronaca lasciano allibiti soprattutto chi, come noi, crede fermamente nella necessità di anticipare i probabili fatti per arrivare più preparati all’eventuale accadimento. Prevedere non è un esercizio facile, soprattutto quando l’utilizzatore delle previsioni è persona di scarsa cultura matematica probabilistica.
Succede (come ultimamente nelle elezioni americane nella sfi da Clinton-Trump) ogni volta che enti specializzati in ricerche di opinione facciano delle previsioni in occasione di future e prossime elezioni, anticipando l’esito della votazione, annunciando la percentuale di voti che avrà un certo partito e dimenticando di corredare la previsione con l’avverbio probabilmente.
Così, se l’esito non è esattamente pari a quanto previsto, si alzano alte grida di critica e di inutilità delle previsioni, dimenticando che esse, in quanto tali, non sono certezze ma solo ordini di grandezza.
L’errore sta nel fatto di non corredare sempre i dati con il campo di escursione entro il quale essi sono attendibili. In tal modo le alte grida si ridurrebbero fortemente.
Succede comunque che anche il campo di escursione non basti; e allora può accadere che gli albergatori della Liguria minaccino di fare causa all’uffi cio meteorologico per previsioni relative al tempo non avvenute esattamente nei giorni dichiarati e a danno loro.
Un limite di cui tenere conto nel fare previsioni è anche quello di applicarle a fenomeni di scarsa serie storica, come i terremoti. Volendolo comunque fare, si può giocare non tanto sull’aumento del campo di escursione del dato, quanto sulla variazione del fattore di affidabilità della previsione.[...]
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