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Acqua e megawatt, una coppia vincente Stampa E-mail

di Fabio Terni

É stata l’acqua il filo conduttore dello sviluppo energetico del piacentino; in montagna prima, in pianura poi. Quella stessa acqua che, dopo lo stop di Caorso e la conversione (forse eccessiva) al gas naturale potrebbe diventare elemento di nuovo sviluppo. Francesco Acerbi, oggi direttore generale di Autostrade Centro Padane, è stato per 24 anni direttore dell’amministrazione provinciale di Piacenza nei settori dell’energia e dell’ambiente. E proprio sull’elemento acqua richiama una maggiore attenzione. “La struttura produttiva energetica di Piacenza nasce con un idroelettrico poco noto, costruito tra il 1900 e il 1940 in montagna, e con una potenza di riferimento di pochi MW. Poi c’è stato l’idroelettrico di pianura, con i 50 MW di Isola Serafini lungo il Po; una centrale che ha permesso di accrescere di un ordine di grandezza la potenza installata. La stagione del termoelettrico e del nucleare di Caorso ha permesso l’ulteriore crescita e l’approdo a produzioni da parecchie centinaia di MW”.

Sempre grazie alla ricchezza di risorse idriche del piacentino...
Certo. Oltre all’Enel, anche l’Edison ha colto le opportunità offerte dall’area, realizzando a Piacenza l’unica centrale costruita in provincia dopo il ‘90 e una delle poche nuove installazioni italiane degli ultimi quindici anni. Un turbogas asservito allo zuccherificio, ma con buona parte della produzione immessa in rete. Strategica, al riguardo, è stata oltre all’acqua la presenza di infrastrutture di trasporto e distribuzione dell’energia elettrica. Si pensi che una linea ad alta tensione può costare tra i 400 e i 500 mila euro al chilometro.

Qual è, invece, il fabbisogno idrico di una centrale termoelettrica tradizionale?
In assenza di torri di raffreddamento, tra i 35 e i 40 metri cubi al secondo per 1.000 MW di potenza. Con le torri di raffreddamento si scende di un ordine di grandezza. Ma in Italia, stranamente, non incontrano il favore degli esperti.

Quali insegnamenti vengono dalle prime fasi di sviluppo della produzione elettrica piacentina?
L’estrema attenzione al recupero di potenziali anche ridotti; si parlava – infatti – di pochi MW. Oggi, in Italia si continua volutamente a non parlare di una possibile nuova stagione di sviluppo dell’idroelettrico, e questo è un assurdo. Ci sarebbero infatti ampi margini per incrementare la potenza degli impianti già esistenti; così come possibilità di sviluppo di nuove centrali di piccola taglia.

Partiamo dagli impianti già esistenti…
Emblematico è proprio il caso di Isola Serafini. Solo migliorando le tecnologie preesistenti si è accresciuta la potenza da 50 a 60 MW. Sono quindi possibili, anche in altre installazioni, miglioramenti nell’ordine di almeno il 10-15 per cento. Questo significa una crescita potenziale della produzione nazionale (visto il peso specifico dell’idroelettrico) di alcuni punti percentuali. E senza dover costruire alcun nuovo invaso.

Scelta, per altro, di non indifferente impatto ambientale.
Questo è tutto da vedere. L’accumulo di acqua in bacini montani non ha solo uno scopo energetico, ma è anche funzionale alle produzioni agricole e alle esigenze alimentari. Se si opera con una progettazione attenta non è affatto detto che il bilancio ambientale finale sia negativo; non sempre (quasi mai…) gli invasi sono portatori di danni, così come non sempre un torrente garantisce condizioni minime vitali migliori. D’altra parte c’è – anche nel piacentino e più in generale in tutta la Pianura Padana – una rete di canali artificiali di bonifica e di irrigazione che potrebbero essere ben sfruttati da piccole centrali. Basta un flusso di 200 litri/secondo per avere una redditività.

 
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