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IL GIORNALIERO | In corsa per la Casa Bianca ci sono anche i fossili e le rinnovabili Stampa E-mail

3 NOVEMBRE 2016 - In una campagna elettorale - quella americana - dove si sono uditi più insulti che slogan e più pernacchie che programmi, che fine ha fatto - o meglio che fine farà - l’energia? Le visioni dei due candidati appaiono profondamente divergenti e, qualunque sia l’esito elettorale, secondo la Reuters sarà un remarkable drama per il settore, con “pesanti implicazioni sui prezzi dell’elettricità e dei carburanti, così come sul futuro di un settore che nel complesso occupa 10 milioni di statunitensi”.
Il Trump pensiero potrebbe essere riassunto in “Make America drill again”; l’auspicio della Clinton in “We want half a billion solar panels power homes”. Ridotto ai minimi termini, lo scontro si configura come una sorta di referendum - “Volete le fonti fossili o quelle rinnovabili” - hanno commentato gli esperti della Energy Security Analysis di Boston. Con un’altra chiave di lettura (suggerita dalla stessa fonte) si tratterebbe di esprimere anche una sorta di voto climatico pro o contro il recente accordo della COP21. Accordo, per altro, già sottoscritto e vincolante.
Donald Trump non ha certo nascosto il suo pensiero al riguardo, dichiarando l’intenzione, una volta insediatosi alla Casa Bianca, di “ridare slancio (e incentivi) a quelle industrie che hanno fatto grande l’America e che in questi anni sono state penalizzate da accordi internazionali”.
E anche Hillary Clinton è stata più che esplicita descrivendo la sua America ideale con “mezzo miliardo di pannelli solari, auto alimentate ad energia elettrica, consumi di petrolio tagliati di un terzo e nuovi posti di lavoro green grazie a specifici sussidi e supporti governativi (destinati anche alle smart grid), così da trasformare l’America in una clean energy superpower”.
Ancora più esplicite sono le posizioni dei cittadini che si dichiarano apertamente a favore di ciascuno dei due candidati. Tra i trumpiani il 69 per cento è favorevole a una campagna di riapertura delle miniere, il 66 per cento vede con favore l’espansione della trivellazione offshore e il 58 per cento appoggia nuove attività di fracking.
Sulla sponda opposta, quella dei votanti di Hillary Clinton, le percentuali sono rispettivamente 22, 28 e 28 per cento. E sul nucleare il 58 per cento di “pro” espresso dai seguaci di Trump si confronta con il 28 dei suoi avversari.
D’altra parte sarebbe un errore grossolano bollare i supporter di Trump come degli anti-rinnovabili. L’84 per cento di loro è comunque favorevole ad una ulteriore espansione della generazione fotovoltaica (rispetto al 91 per cento dei clintoniani); per le wind farm si scende al 77 per cento (88 per cento in casa Clinton) ma siamo comunque su livelli di consenso nettamente superiori rispetto a quelli espressi per le fonti fossili e il nucleare. L’America che verrà sarà dunque drill or clean?

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