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Spirerà vento di bufera sul mercato dell’energia Stampa E-mail
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di Giuseppe Gatti






262 imprese che si battono sul mercato e tutte insieme riescono a catturarne il 2 per cento. Altre 62 che parimenti lottano con offerte strepitose (almeno all’apparenza) e ne conquistano l’11,5. Insomma 324 società che utilizzano le più sofisticate, moderne, digitalizzate tecniche di vendita (telemarketing, teleselling, tutto il 2.0 disponibile), senza rinunciare al più banale e tradizionale porta a porta, per un 13,5 per cento del mercato.


Questi numeri sarebbero comprensibili se parlassimo di un mercato globale, quanto meno su scala europea. Parliamo invece, più modestamente, del mercato libero dell’energia in Italia, poco meno di 200 TWh/anno che vale sugli 8 miliardi di euro (mi riferisco ovviamente al valore della sola componente energia; le altre voci in fattura, trasporto, distribuzione, dispacciamento, oneri di sistema, eccetera, non riguardano l’attività di vendita).

Insomma 324 imprese lottano per poco più di 1 miliardo di euro.
È di immediata evidenza che c’è qualcosa che non torna e, in effetti, più si ragiona sui numeri più diventa chiaro che questo sistema non può reggere e se finora ha retto è grazie a qualche stortura che ne ha consentito l’esistenza. Torniamo ai numeri di base.

Nella vendita di energia operano in Italia (al 2015) 359 soggetti di cui circa cento sono attivi sia sul mercato libero sia su quello di maggior tutela. Le società di distribuzione alle quali è riservato il servizio di maggior tutela sono 135; non sappiamo quante di queste siano presenti anche sul mercato libero, penso la maggior parte, e per questo ho detto circa cento.
Di queste 359 le prime 10, con vendite superiori ai 5 TWh assorbono il 56,2 per cento del mercato, le successive 25, con vendite comprese tra 1 e 5 TWh hanno un altro 30,3 per cento. Seguono 62 imprese con vendite da 0,1 ad 1 TWh (in media 357 GWh) e infine le 262 da cui siamo partiti, con volumi inferiori a 0,1 TWh, con vendite medie unitarie di 15 GWh.


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