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Besseghini: " La ricerca logora chi non la fa " Stampa E-mail
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di Davide Canevari



Stefano Besseghini, presidente e amministratore delegato RSEAnno 1963. Karl Ziegler e Giulio Natta ricevono il Premio Nobel come riconoscimento per le loro scoperte nel campo della chimica e della tecnologia dei polimeri. Da allora sembra passato molto più di mezzo secolo e, soprattutto, sembra che l’Italia abbia combinato poco o nulla nella ricerca.
Ma c’è di più: oggi immaginarsi un “nuovo Natta”, un ricercatore italiano in grado di volare a Stoccolma per ricevere il prestigioso riconoscimento sembra ai limiti della fantascienza. Due malignità, forse solo due banali luoghi comuni...


Stefano Besseghini, amministratore delegato di RSE, sorride a queste provocazioni e commenta: “È una visione forse un po’ ingenerosa. In fondo un Nobel per la fisica nel 1985 lo abbiamo portato a casa, e con una personalità - Carlo Rubbia - che oltre ai propri meriti scientifici nel settore specifico ha apportato contributi anche di natura applicativa nel campo dell’energia. Non voglio poi dimenticare Riccardo Giacconi, se pure ha svolto la quasi totalità della sua attività di ricerca negli Stati Uniti”.
“In realtà, in Italia possiamo identificare un numero finito - ma non piccolo - di personalità scientifiche di assoluto rilievo nel panorama scientifico internazionale. Da poche settimane, ad esempio, si è insediato il nuovo direttore generale del CERN, Fabiola Gianotti”.




Effettivamente il tema della situazione contingente (e delle potenzialità) della ricerca italiana è tra i più ampi e ampiamente trattati. Lei cosa aggiungerebbe al dibattito?

**È noto che il settore presenta luci e ombre. Da una parte, una riconosciuta elevata qualificazione degli addetti nazionali alla ricerca (abbiamo ottimi scienziati); dall’altra, una sostanziale debolezza organizzativa (il sistema della ricerca presenta ampi spazi di miglioramento), una scarsa correlazione con il comparto industriale e una difficoltà generale a coordinarsi per raggiungere la necessaria massa critica.


Ma non è sempre stato così...
**Vero, anche perché la ricerca italiana ha saputo unire ad eccezionali personalità contesti industriali che ne hanno decretato la leadership in molti settori o che hanno connotato il nostro Paese come innovatore e anticipatore.
In alcuni comparti abbiamo ancora una chiara eccellenza industriale; in altri, per motivi che la penna dello storico dovrebbe provare ad analizzare più a fondo, abbiamo perso il vantaggio competitivo che avevamo.


Provi ad usare quella penna, anche se per poche righe.
** Mah, lei ricordava all’inizio i bei tempi andati di Natta. Credo che la differenza rispetto ad allora sia la mancanza - oggi - di quella profonda interconnessione che esisteva tra il settore industriale e il mondo della ricerca. Il Politecnico era la scuola degli industriali; intendo dire: un centro di produzione della conoscenza a cui si guardava per trovare spunti di vantaggio competitivo.
Qualche tempo fa ho visitato a Forlì la straordinaria esposizione della collezione Verzocchi, un tipico esempio di imprenditore con una visione. Mi ha molto colpito una serie di réclame, come si usava dire allora, in cui accanto alla promozione del proprio mattone refrattario si sollecitavano le aziende clienti ad impiegare i laboratori delle università. Al di là del caso specifico, l’evidente testimonianza di una solida reciproca alleanza...


Come potremmo fare tesoro di quelle esperienze?
**Come spesso accade, non è possibile ricostruire le peculiarità che hanno determinato un passato successo; è però importante porsi la questione di quali passi andrebbero svolti per mettere in condizione il settore della ricerca di essere funzionale allo sviluppo del Paese.
Dei tanti argomenti che compongono la risposta a questa domanda proviamo a svilupparne uno specifico, che è quello della continuità delle risorse. Faccio volutamente riferimento al tema della continuità e non a quello della quantità, perché quest’ultimo è già ampiamente dibattuto.
Un esempio che mi pare ben si adatti a sviluppare questo spunto è il fondo della Ricerca di Sistema (RdS) e dei progetti ad esso connessi.

             
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The research sector in Italy is known to have bright as well as dark sides. RSE CEO Stefano Besseghini sums them up for Nuova Energia in this issue’s cover story. “On the one hand, our national researchers are highly skilled - we do have excellent scientists - on the other hand, however, the system is weakly organized - there definitely is much room for improvement - and poorly connected with industry; also, generally it is still too difficult to establish proper coordination to achieve the critical mass we need”.
“We often long for the good old days when Mr. Natta was there. I think what mostly made the difference back then was the strong tie between industry and research. Polytechnic Universities were truly a school for industrial entrepreneurs, I mean that they were like knowledge creation centres people turned to in order to find ideas for solutions with a competitive edge”.
“Today, as never before - he adds - we are finally understanding how important the concept of system is; which is, by the way, RSE’s underlying attitude. In all areas, there is a deeply felt need for research not to be foolishly bound up with a given technology, but rather capable of looking further in space and time to try and respond to complex questions”.
So, have any steps really been taken in the last few years? The answer is yes, but not all were necessarily good.
“Sure new tools were developed and implemented to foster the growth of new companies - including possibly from research innovation - that were absolutely extraordinary. No decisive steps was taken instead insofar as establishing a merit system is concerned, and for a better identification of research threads. This last issue has mainly to do with the specificities of Ricerca di Sistema”.
And, if he could send a message to political bodies, he would definitely target the European Commission. “That should be, at a minimum, the arena for the discussion on the development of a European energy system that can capitalize on the existing strengths while softening the impact of inefficiencies at the level of individual member states as much as possible”. And what would his message be, then? “Turn difficulties into opportunities by leveraging creativity. Solutions will not emerge from old schemes but from fresh enthusiasm”.
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Da dove nasce l’esigenza di un fondo dedicato?
**La Ricerca di Sistema è stata concepita per garantire il mantenimento e il continuo rinnovo e aggiornamento di quelle attività di studio, analisi tecnico-economica, sviluppo e sperimentazione di tecnologie, che in un regime di monopolio verticalmente integrato sono garantite dal monopolista stesso.
La RdS incorpora al proprio interno le funzioni di progettazione, gestione, innovazione e ha quindi piena visibilità di ogni aspetto che può contribuire alle scelte strategiche.
Nel mercato liberalizzato le informazioni e le competenze sono necessariamente frammentate - sia in senso orizzontale sia verticale - fra diversi operatori, mentre le scelte strategiche complessive e la regolazione del mercato stesso, a tutela dell’ambiente e degli utenti finali, sono affidate ad uno o più soggetti pubblici.
Si determina quindi una sistematica situazione di asimmetria informativa, che può rendere meno efficaci le scelte che governano l’evoluzione del sistema.


E la RdS ha come obiettivo primario il superamento di tale possibile limitazione?
** Sì, attraverso l’opera di un soggetto pubblico, indipendente e competente su tutti i settori del sistema elettro-energetico e che, grazie alle interazioni con tutti i soggetti del sistema (produttori, società di trasmissione e distribuzione, fornitori di tecnologia, costruttori di componenti e impianti), mantiene e accresce la propria esperienza su tutte le articolazioni del settore elettrico ed energetico, e attraverso il rapporto con la ricerca di base e la partecipazione ai progetti di ricerca comunitari acquisisce una visione prospettica dell’evoluzione tecnologica a medio-lungo termine.
Lo svolgimento di questo essenziale ruolo di supporto tecnico nei confronti delle istituzioni non può prescindere da una diretta azione di sviluppo tecnologico, che garantisce una conoscenza approfondita e sempre aggiornata sulle tecnologie disponibili ed emergenti; ciò offre anche importanti opportunità di trasferimento di conoscenza a beneficio dello sviluppo e della competitività dell’industria di settore.
Un’adeguata posizione di neutralità tecnologica e di terzietà rispetto ai legittimi interessi in gioco si persegue peraltro presidiando anche aree di competenza che non per forza implicano una leadership di innovazione, ma consentono comunque di interloquire in modo autorevole con le realtà industriali operanti sul mercato che avanzano istanze di evoluzione normativo/ regolatoria ritenute dal proprio punto di vista necessarie.


Quest’ultimo punto è uno dei più difficili da digerire per i non addetti ai lavori. Sembra più che altro materia di confronto solo per burocrati...
**Non lo è affatto. Il ruolo di intelligence a supporto delle scelte strategiche relative al sistema elettro-energetico era una evidenza essenziale nella transizione fra monopolio e mercato, quando occorreva tradurre in modo per quanto possibile rapido le linee politiche di indirizzo generale in regole operative e soluzioni efficaci. L’esigenza resta oggi più che mai attuale ed è destinata a restarlo, come è reso evidente dal perdurare e dall’intensificarsi delle attività legislative e regolatorie relative al settore.
Anche la presenza italiana nel contesto della normativa tecnica internazionale (IEC/CENELEC e ISO/CEN) rappresenta una risorsa che deve essere accuratamente preservata e se possibile arricchita.
A questo proposito, il contributo di RSE è fondamentale, anche perché si basa su adeguate capacità tecniche derivanti dalla ricerca sperimentale condotta nei nostri laboratori, e garantisce poi un beneficio soprattutto a vantaggio delle PMI italiane che - proprio per la loro dimensione - non sempre hanno la forza e la coesione per presidiare autonomamente tali contesti.


Fra le forzanti che in tempi recenti hanno determinato la necessità di una frequente revisione delle regole che cosa citerebbe?
**Senza l’ambizione di stilare un elenco esaustivo: l’affermazione delle rinnovabili, la necessità di fornire nuove risposte al controllo di un sistema sempre più influenzato dalle risorse distribuite e aleatorie, l’affacciarsi nel sistema elettrico di nuove tecnologie come l’accumulo e la mobilità elettrica, ma soprattutto l’inevitabile tendenza verso una visione integrata del tema energetico (elettricità-calore-gassistema idrico).
Vanno peraltro delinenandosi nuovi elementi che avranno un’influenza forse decisiva sull’evoluzione del sistema elettrico ed energetico italiano, come l’Energy Union, che pone sfide del tutto nuove al nostro sistema, travalicando i confini del settore elettrico e investendo il futuro dell’industria italiana.

A proposito di Europa, davvero con Horizion 2020 siamo entrati in una nuova era? Quali sono i suoi punti di forza?
**Sul fatto che siamo entrati in una nuova era non saprei. Certamente la prima fase, diciamo il primo anno di H2020, è stata densa di sorprese spesso non piacevoli per il settore della ricerca italiana.
Non sono più una novità i dati delle prime call in cui anche noi, che solitamente avevamo un tasso di successo prossimo al 45 per cento delle proposte presentate, abbiamo subito una forte (e dolorosa) contrazione. Solo un intenso lavoro di riesame delle proposte presentate e di rafforzamento delle partnership ci ha permesso di riguadagnare posizioni.
Una cosa che abbiamo visto funzionare, almeno nelle call dello scorso anno (e speriamo di ripeterci nel 2016), è stato il lavoro di coordinamento all’interno di EERA, la European Energy Research Alliance.
Sul tema delle smart grid, l’applicazione di una procedura per il confronto sin dalle prime fasi della costruzione del partenariato e la sistematica attenzione a evitare duplicazioni e sovrapposizioni sembra siano state apprezzate dai valutatori, tanto che tutte le proposte sono andate a segno. Una rondine non fa primavera, ma…


Siamo a metà percorso e per ora ha fatto solo qualche cenno a RSE. Nello spazio di poche righe, ci racconti chi è oggi RSE e perché è una realtà indispensabile per il Paese.
**Mai come oggi si sta comprendendo l’importanza del presidio del concetto di sistema (che è il mood di RSE). In tutti i contesti matura chiaramente la necessità di svolgere una indagine che non sia stolidamente agganciata alla singola tecnologia, ma che sappia sollevare lo sguardo sia nella dimensione spaziale, sia in quella temporale per cercare di rispondere a domande complesse. Anche dal settore industriale, consapevole della propria forza tecnologica, viene una richiesta più ampia, di visione.
La stessa politica chiama a valutazioni che sappiano indicare l’impatto delle scelte di oggi nella evoluzione dei mercati, delle infrastrutture, delle città e delle comunità. Se il tema di questo periodo storico è una visione più matura del concetto di sostenibilità, è chiaro che affrontarlo in un’ottica di sistema è, perlomeno, il punto di partenza giusto. Purché a farlo sia un soggetto terzo, indipendente, credibile e competente, quale è appunto RSE.
È chiaro che la proposta della sola tecnologia non è più in grado di rispondere ad una società che si pone domande più ampie, che ha maturato una visione complessiva della vita dei prodotti e si chiede (con scelte consapevoli di acquisto) da dove vengono le materie prime e dove andranno a finire i rifiuti.


Proviamo a tradurre tutto ciò in qualcosa di ancora più tangibile?
**Ho esempi precisi di questo approccio, ma penso sia semplice richiamarne due molto recenti: il lavoro fatto come RSE con ANIE sul Libro Bianco degli accumuli (un report che ha genuinamente interpretato i rispettivi ruoli e di cui stiamo curando una nuova edizione per il prossimo anno) e il progetto straordinario di Smartainability.
All’interno di EXPO abbiamo letto in chiave di sostenibilità le soluzioni smart che venivano proposte dai fornitori e ne è venuto un prodotto che ora stiamo implementando in un lighthouse project con Milano, Lisbona e Londra per misurare il grado di sostenibilità delle smart city.
Queste metriche, questi indicatori, non sono importanti solo in sé: rappresentano una condizione necessaria per la comprensione e la corretta valutazione di progetti che rischiano di sfuggire ad una corretta valutazione per le loro inevitabili caratteristiche di ampiezza e varietà.


Insomma, c’è parecchio lavoro da fare. E questo riporta il discorso sul tema delle risorse, e in particolare della continuità...
**Concordo. Non si confonda però continuità con certezza di finanziamento. Dobbiamo tenerci ben lontani da qualunque meccanismo di finanziamento a prescindere. È fondamentale la valutazione ma è altrettanto fondamentale sapere che esistono meccanismi stabili di finanziamento con processi stabili.
Da questo punto di vista mi pare che l’enorme pregio del meccanismo dei Programmi Quadro sia proprio quello di offrire un agone competitivo stabile dove è anche possibile costruire esperienza.


Come vive RSE la profonda transizione in atto nel settore delle utility?
**Certo non da spettatore. Il momento, come noto, è particolarmente rilevante per il mondo delle utility, specie per quelle pubbliche. La richiesta del Governo di dare vita ad aggregazioni e razionalizzazioni può, a mio avviso, permettere anche alla tecnologia e all’innovazione di essere collanti per l’integrazione operativa di soggetti che operano nei servizi energetici o, più in generale, in quelli di pubblica utilità.
RSE può contribuire - grazie al suo know-how, alla sua visione dell’innovazione e alla sua capacità di guardare al sistema - alla creazione di piattaforme comuni, ad esempio per i sistemi di processo, di interoperabilità e di comunicazione, che possono semplificare e ottimizzare le fusioni e le aggregazioni delle utility.


Torniamo ad una visione di insieme sulSistema Italia. Lei è già stato ospite di queste pagine nel gennaio 2012. Allora aveva posto alcune questioni, tra cui il (mancato) riconoscimento della meritocrazia, la scarsa libertà lasciata ai ricercatori nella scelta dei temi sui quali fare ricerca, la valutazione e il trasferimento dei risultati. Pensa che sia cambiato qualcosa in questi quattro anni?
**Intanto considero che il tempo vola! Venendo al merito, sì penso che siano cambiate alcune cose. Ahimè, non sempre in meglio.


Partiamo dal buono.
**Mi pare si debba dare atto che sono stati sviluppati e implementati strumenti assolutamente straordinari per favorire la crescita di nuove aziende. Temo non siano conosciute come meriterebbero (anche se mi sembrano discretamente impiegate), ma ritengo tutte le politiche legate al fondo per le start-up e per le PMI innovative molto efficaci, concepite per poter essere effettivamente utili. Lo stesso sistema bancario le ha (pur un po’ timidamente) recepite.
Si sta lavorando intensamente anche per implementare in Italia strumenti come il green public procurement o il pre-competitive procurement. Strumenti che, meglio dei finanziamenti, permettono alle start-up di emergere lavorando Stefano Besseghiniattorno alla proposizione al mercato del loro prodotto, che rimane pur sempre il modo migliore (forse l’unico...) per far sviluppare le aziende.
È di recente attivazione anche un nuovo strumento a supporto della proprietà intellettuale, il patent-box. Forse è presto per trarne conclusioni, ma mi pare che vi sia parecchia attenzione; e questo è positivo, stante la tradizionale diffidenza verso lo strumento brevettuale.


Veniamo alle note meno incoraggianti.
**Sul lato della meritocrazia e del processo di definizione dei temi di ricerca - quest’ultimo aspetto connesso allo specifico della Ricerca di Sistema - non abbiamo invece visto miglioramenti decisivi. Nel corso del triennio 2012-2014 si era attivato il meccanismo dei bandi di “tipo A” per gli affidatari dei progetti (RSE, ENEA e CNR) ma, di fatto, non sono mai partiti. Una buona idea che non ha potuto (ancora) essere testata.
Una cosa, invece, mi pare sia peggiorata in maniera preoccupante: il sistema della ricerca pubblica si sta progressivamente, ma spero non inesorabilmente, irrigidendo in una visione da pubblica amministrazione. Resto profondamente convinto (e ne ho già parlato proprio su questa rivista...) che si dovrebbe fare uno sforzo di progettazione per immaginare una diversa organizzazione della ricerca pubblica, non legata solo ad un differente assetto degli organismi che se ne occupano, ma alla loro stessa natura e tipologia di azione.


Come ricercatore, c’è oggi un Paese che ritiene ideale o che vorrebbe fosse preso a modello dall’Italia?
**Penso siano due temi da affrontare singolarmente. Non necessariamente il Paese che ho in mente come “modello della ricerca” potrebbe essere utile per l’Italia, dato che la ricerca non vive in un mondo a sé, fissa e immutabile in un modello ideale, ma deve essere parte di un più ampio “modello Paese”.
Penso, dunque, che un sistema della ricerca come quello tedesco, con una articolata organizzazione di soggetti che presidiano fasi diverse della terna “ricerca - sviluppo - innovazione”, possa essere un modello a cui tendere nel medio termine. Ne siamo ovviamente lontani ad oggi; non perché non ci siano gli elementi costitutivi, ma perché facciamo da sempre molta fatica a organizzare la filiera evitando duplicazioni e sovrapposizioni. Tuttavia, certamente, sarebbe il meccanismo più coerente con le caratteristiche delle nostre PMI.


E il modello ideale in senso assoluto?
**Per la ricerca (che peraltro riguarda una specifica fase del complesso ecosistema dell’innovazione) io credo che in generale l’approccio anglosassone sia molto stimolante. La visione del ricercatore in qualche modo imprenditore di sé stesso e della propria attività mi sembra quella che meglio si sposa con le caratteristiche proprie della ricerca, che dell’eccellenza dell’individuo e di un ristretto team fortemente committed all’obiettivo non può fare a meno.
Anche in questo senso, però, mi sembra di vedere segnali importanti, ancora una volta a livello europeo, con il meccanismo dei grant di ricerca comunitari. Un atteggiamento diverso, positivo, proattivo ad accaparrarsi i vincitori di questi grant sarebbe una ottima strategia anche per il sistema ricerca nel suo complesso.


Come manager di impresa, risponderebbe allo stesso modo?
**No! Ammesso e non concesso che io sia titolato a presentare questo punto di vista, direi che il modello tedesco non è proprio replicabile in Italia, perché diversi sono i percorsi storici di evoluzione e perché noi più o meno scientemente siamo stati capaci di annichilire interi settori industriali.
Piuttosto, osservo con qualche curiosità il tentativo tedesco di “vendere” il proprio modello delle piccole e medie imprese nei contesti della cooperazione internazionale, ambito in cui forse noi avremmo qualche cosa in più da dire. Industrialmente non credo che abbiamo da imparare molto; siamo un Paese che ha dimostrato di sapere essere autorevole protagonista. Piuttosto dovremmo fare un grande sforzo per liberare il nostro sistema industriale.


Qualcosa si sta forse muovendo...
**È vero, ma non basta. Dobbiamo accelerare con ancora maggiore determinazione; la capacità di fare impresa deve trovare briglie più sciolte. Il rischio di impresa è una grande sfida anche umana che non si deve complicare oltre il necessario.
Sono ben consapevole che la paura dell’illecito porta ad una ipertrofia normativa e regolatoria, ma credo che si dovrebbe rifondare un sostanziale patto di fiducia su cui costruire un rinnovamento industriale del nostro Paese. Sarà una banalità, ma poche norme, sanzioni certe e una giustizia rapida “il giusto” sarebbero assai più utili di incentivi sempre troppo inadeguati o nei tempi o nei modi.


Efficienza, green economy e smart grid... Quanta sostanza e quanto marketing c’è, a suo avviso, dietro ciascuno di questi termini?
**Non credo sia un problema di marketing in senso negativo. Tutti i settori che cita hanno contenuti chiari e offrono opportunità concrete. Purtroppo temo ci sia invece nel loro uso, spesso a sproposito, una terribile necessità di semplificazione. Viviamo ormai in una società in cui la sintesi viene confusa con l’analisi, mentre la sintesi è frutto dell’analisi. C’è una bellissima frase che cito spesso: Scusa se ti ho scritto una lettera lunga, ma non ho avuto il tempo di scriverne una breve.
Abbiamo un forte desiderio, forse una necessità, di identificare in una società che diviene sempre più complessa dei temi che possano essere la soluzione a problemi che invece non possono prescindere da soluzioni articolate e complesse. Nessuno dei temi che ha indicato sono la soluzione, per esempio, alle questioni portanti del sistema energetico. Ma tutti vi concorrono.
Ecco, di nuovo, perché la visione di sistema è preziosa. È importante saper indagare le opportunità ma, soprattutto, i limiti, di ciascuna tecnologia.


Ci è rimasto il tempo di un tweet: in questo momento lo indirizzerebbe alla Commissione Europea o al Ministero dello sviluppo economico? E cosa scriverebbe?
**“Lo manderei certamente alla Commissione Europea, perchè quella è la dimensione minima con cui dovremmo ragionare per lo sviluppo di un sistema energetico europeo che sappia coniugare gli elementi d forza che ci sono, stemperando per quanto possibile le inefficienze dei singoli Stati.
Mi sembrerebbe il messaggio più importante dell’Energy Union, anche se siamo consapevoli della difficoltà di un percorso cha va a toccare un settore così strategico e in cui le resistenze alla cessione di sovranità sono da sempre enormi. Devo anche dire che, vista la pragmatica stolidità di alcuni apparati di Bruxelles, le resistenze potrebbero avere anche un loro senso...


E il messaggio?
Turn difficulties into opportunities leveraging on creativity. Solutions will not emerge from old schemes but from new enthusiasms.


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