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Un vertice debole e imperfetto. Ma resta un punto di svolta Stampa E-mail

Torna al sommario del dossier di Paola Faggian | RSE






Anticipata da manifestazioni in tutto il mondo e definita come ultima chiamata per trovare una risposta all’allarme legato al surriscaldamento del Pianeta, la COP21 di Parigi che si è svolta dal 30 novembre al 12 dicembre 2015 è stata considerata un evento di portata storica.


Infatti l’Accordo siglato, definito “giusto, sostenibile, dinamico, equilibrato e vincolante” da Laurent Fabius (ministro degli Esteri francese e presidente della Conferenza) è risultato ben più ambizioso rispetto a quello annunciato, ovvero il contenimento dell’aumento della temperatura media globale rispetto all’era preindustriale al di sotto di 2 °C.
I 195 Stati membri delle Nazioni Unite hanno infatti affermato la necessità di limitare il riscaldamento sotto 1,5 °C e, per raggiungere tale obiettivo, tutti i grandi emettitori di gas serra (Cina e USA compresi, Figura 1) hanno dichiarato, su base volontaria, impegni rilevanti.


I Paesi partecipanti si sono impegnati a intraprendere strategie di mitigazione per la riduzione delle emissioni dei gas serra e azioni di adattamento alle future condizioni climatiche più severe, riconoscendo il ruolo delle foreste per l’assorbimento delle emissioni.
In particolare, i Paesi più ricchi dovranno supportare i Paesi in via di sviluppo con operazioni concrete, attraverso la realizzazione e il trasferimento di tecnologie tese a rafforzare la resilienza dei sistemi sociali, ambientali ed economici, soprattutto nelle aree più vulnerabili ai cambiamenti climatici. [...]

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